lunedì 8 aprile 2024

E noi mangiamo|

 

“ Food for profit” il film che dà fastidio ai signori della carne
File di spettatori incassi inaspettati il doc sugli allevamenti diventa un fenomeno
DI ROBERTO NEPOTI
Una cosa è riempire il carrello di carne a basso prezzo per il barbecue, un’altra vedere l’agonia degli animali che finiranno sulle nostre tavole. Dietro gli ottanta milioni di chili di carne consumati ogni anno da un italiano, ci sono infinite sofferenze e torture, tutte in nome del profitto. Come mostra il documentario di Giulia Innocenzi (già collaboratrice di Report) e Pablo d’Ambrosi Food for profit, che rivela il lato oscuro della carne mostrando, grazie a un lavoro investigativo durato cinque anni, l’atroce realtà degli allevamenti intensivi.
All’inizio sembrava impossibile realizzarlo: e invece è diventato un vero e proprio “caso”, con file di spettatori alle casse, proiezioni sold out e, a volte, incassi superiori ai blockbuster. E numerosi esercenti in tutta Italia lo stanno richiedendo. Ciò è stato possibile grazie a una distribuzione capillare in sale di circuito (occhio alla locandina che annuncia la proiezione), circoli Arci, cineclub, associazioni culturali, licei occupati, passaparola: una mobilitazione senza precedenti dell’universo ambientalista e vegan che suona come un monito per tutti.
Ciò che ha dato più fastidio ai signori della carne sono le indagini compiute sotto copertura, intervistando eurodeputati e lobbisti, che a Bruxelles sono circa 2500 (Pekka Pesonen, numero uno dei lobbisti della carne, nega l’esistenza di allevamenti intensivi); mentre si discuteva di un presunto Green Deal che, in realtà, ha destinato quasi 400 miliardi alla Politica Agricola Comune lasciando le cose pressoché immutate fino al 2027. Così, inconsapevole, ogni contribuente paga le sofferenze degli animali e l’arricchimento degli allevatori.
Il documentario inizia in Polesine, dove gli allevamenti intensivi sono spuntati come funghi (si contano due milioni di polli, 15-16 mila malati), stipati in immense gabbie sporche e maltrattati. I più piccoli, che non possono generare profitto, vengono soppressi per non sprecare mangime. Si passa poi in Germania, dove l’industria del latte usa antibiotici sulle mucche, per farle crescere di più. Negli allevamenti di massa (che ormai sono la norma: il 90 per cento in Italia, il 99 per cento in Usa. Addio vecchia fattoria…), i sussidi pubbliciispirano progetti di editing genetico degni del nazismo applicato al mondo animale: razze Frankenstein prodotte con mutazioni del DNA per ottenere più carne, polli senza piume, fino all’idea di suini a sei zampe per ottenere più prosciutti (come se le scene del film riservate ai maiali non fossero già abbastanza orripilanti).
Food for profit non addita solo la vergogna degli allevamenti intensivi e le connivenze politiche di cui godono, ma richiama (col conforto di esperti e scrittori come David Quammen e Jonathan Safran Foer) la nostra attenzione su altre conseguenze di questo tipo di produzione industriale: inquinamento delle acque, perdita della biodiversità, sfruttamento dei migranti, antibiotico resistenza. E l’influenza aviaria (nel 2022 sono stati abbattuti 50 milioni di polli), che contagia altre specie animali compreso l’uomo, potrebbe diventare la prossima pandemia, più pericolosa di quella che abbiamo appena attraversato.

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