Quanto è fragile la civiltà
DI MICHELE SERRA
So che è scontato dirlo, ma le immagini dei nuovi, magnifici affreschi riportati alla luce a Pompei fanno riflettere, una volta di più, sulla raffinatezza culturale e artistica della civiltà classica, quella fiorita intorno al Mediterraneo; sulla sua capacità quasi “rinascimentale” (mi perdonino gli esperti, è per farmi capire) di raffigurare le cose umane; e di conseguenza sull’impressionante lasso di tempo, ben più di mille anni, che è stato necessario, dopo il collasso della civiltà greco-romana, per riguadagnare la stessa destrezza figurativa e concettuale. Direi: la stessa confidenza con il mondo.
Con lo stesso stupore vidi a Verghina, vicino a Salonicco, i reperti trovati nel monumentale complesso funerario di Filippo II, il padre di Alessandro Magno.
Oggetti e manufatti che sfiorano la maestria di un Cellini, ma un paio di millenni in anticipo, e in una società di contadini e di soldati molto meno sviluppata socialmente e tecnologicamente. Inevitabile pensare alla fragilità delle civiltà umane, al loro repentino decadere, al vuoto che può rimpiazzare il pieno nel battere di poche generazioni.
Viene da domandarsi se le nuove tecnologie, per prima l’Intelligenza Artificiale, sarebbero in grado di rimediare in tempi brevi a un eventuale sprofondo della nostra civiltà, o addirittura di scongiurarlo. Oppure se saranno anch’esse sepolte per essere poi disseppellite e riesumate, chissà quando, dai posteri. Siamo tentati di dare una dimensione quasi “metafisica” all’elettronica e al digitale. Ma un computer e una banca dati, nonché le loro fonti di alimentazione, possono rimanere sotto le macerie tanto quanto un affresco, un bracciale, un’anfora.
Nessun commento:
Posta un commento