mercoledì 10 aprile 2024

Robecchi

 

Trash condicio. Il fascino discreto della libertà (vigilata) d’espressione
di Alessandro Robecchi
Se ci fate caso quando vogliono tirarvi una fregatura, ma di quelle belle grosse, la battezzano con qualche parola inglese, tipo il Jobs Act, per intenderci. Eccezione notevole, ormai più che ventennale, una fregatura, ma di quelle grosse, battezzata con qualche parola latina: la par condicio. Luminosissimo esempio di brutta legge che andava fatta perché Silvio buonanima aveva le sue tivù, e poi aveva anche le tivù di tutti, cioè quelle pubbliche, e allora si dovette tentare un argine, per quanto risibile, e regolare gli spazi, in modo che non parlasse solo lui.
Che oggi si discuta su come modificare quell’obbrobrio per cui se arriva uno che dice A ci vuole per forza uno che dica B è abbastanza logico: tutti tirano la coperta dalla loro parte. Il governo vuole che i suoi ministri siano considerati esterni al meccanismo, per esempio. Cioè in un dibattito potremmo avere la parola del governo, poi la parola di uno di destra, e poi la parola di uno di sinistra (mi scuso per le parolacce), e quindi ecco che avremmo la tris condicio.
Poi c’è la proposta Boschi, povera stella, che vorrebbe applicare la par condicio anche ai non politici, cioè praticamente fare un esame del sangue a giornalisti e commentatori, per ammettere ai dibattiti televisivi solo quelli neutri come il sapone per neonati, che non sporchino, che non stiano da nessuna parte, che non rompano i coglioni con le domande, tanto varrebbe mettere un vaso col ficus. Ricorda un po’ quei film americani dove gli avvocati scelgono le giurie: questo no perché è portoricano, questo no perché ha un figlio che fa il marine, questo no perché nel 2013 ha fatto un tweet contro la Leopolda, eccetera eccetera. Piuttosto divertente. Chi decide come e quanto, e in quale nuance o sfumatura un giornalista sia schierato, non si capisce, ma forse ci sarebbe una speciale commissione, e poi una commissione per scegliere la commissione, e in sostanza farei fare tutto alla Boschi, così finalmente si trova un lavoro.
La par condicio, o quel che le somiglia ormai molto vagamente, si applica fortunatamente solo nell’imminenza delle scadenze elettorali e non tutto il resto dell’anno, quando gente che ha il 2 o il 3 per cento – non voglio fare nomi, non è che ce l’ho con Calenda – passa le sue giornate e serate in tivù a pontificare come in una dittatura dell’Asia centrale. In quel caso – e solo quando parli qualcuno che non si allinea – il refrain è un altro, quello intramontabile del “contraddittorio”. Meccanismo geniale e micidiale, per cui ogni affermazione dovrebbe essere corredata da un’affermazione speculare e contraria, pena il drizzarsi in piedi di qualche solerte pipicchiotto che urla: “E senza contraddittorio!”. Suggerirei in questo caso di applicarla a tutto lo scibile umano e a ogni espressione di pensiero, che so, alla lettura del Quinto Comandamento, “Non uccidere”, dovrebbe intervenire qualche serial killer con i suoi solidi argomenti: “Be’, parliamone…”.
Ciò che si desidera, alla fine, è una neutralità inodore, insapore, vuota, che equipari le cose sensate alle scemenze, i cacciaballe professionali a gente più critica e informata, che comunque potrebbe risultare “schierata” e quindi nemmeno invitata alla festa. Insomma, una difesa preventiva, che serve ad agevolare chi comanda al momento, e che era nata – per paradosso e strabiliante contrappasso – proprio per arginarne lo strapotere di chi comandava in un altro momento, sempre nell’ottica ideologico-tranviaria che non si disturba il manovratore.

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