De Gregorie Zalone: che coppia “Noi nel disco-marachella”
COVER, INEDITI E DUE CONCERTI - Zalone, nel progetto, fa l’accompagnatore, punteggia, monta e sfronda la scenografia interiore del racconto
di Stefano Mannucci
Era su un gommone con un amico, “a fare polpi” nel mare della sua Bari, gli arrivò un messaggio. “Vorrei tanto conoscerti, firmato Francesco DG”. Zalone pensò si trattasse di “DJ Francesco”. Invece lo stalkerava il Principe, che aveva “chiesto il numero a tutti quelli che potevano averlo”. Una prima cena, poi tante altre nella casa romana di De Gregori, carbonare e cacio e pepe. “Un gran cuoco”, concede Checco, “e ha uno Steinway che non ha mai suonato così bene come quando ci ho messo le mani io”.
L’amicizia, inevitabile, è nata lì. “Il primo marchettone per lui fu in una libreria, dove senza preavviso lo spinsi a cantare la mia Uomini sessuali”, sottolinea il regista, aggiungendo che “il verso ‘gli uomini sessuali non hanno gli assorbenti ma però hanno le ali’ secondo il cantautore avrebbe dovuto vincere il Premio Montale”. L’hanno rieseguita ieri, fuori busta, alla Santeria Toscana di Milano, per il vernissage del loro album in ditta, Pastiche. Che non contiene Uomini sessuali (“I capolavori non si toccano”, celia Zalone) e neppure Generale, azzardata per la prima volta davanti alla stampa dopo l’aneddoto di una traduzione che De Gregori aveva a suo tempo azzardato su una versione in inglese della sua perla (“Era diventata Field Commander”, precisa l’autore; l’altro lo fulmina: “No, il vero titolo era Vannacci”). Cose così, work in progress improvvisativo di un doppio live a Caracalla (5 e 9 giugno, con band), che non diventerà un tour perché “è un suicidio se gli artisti non dicono dei no alla gente”, ammette Francesco. Alle Terme sarà dunque evento, l’uno a cantare l’altro a pigiare tasti.
Zalone si conferma musicista coi controfiocchi, capace di giocare con arrangiamenti very unplugged e jazz o soluzioni orchestrali. Pastiche è una “marachella discografica” – come la definiscono loro – a dir poco preziosa. La copertina è l’affettuosa citazione-semi-plagio da Carosello Carosone vol. 2, dentro ci trovi gioiellini: la rilucidatura (per sottrazione, luci soffuse e declamazione degregoriana spogliata di ogni enfasi) dell’argenteria della casa, da Pezzi di vetro a Ciao Ciao, passando per Rimmel, Buonanotte fiorellino, Atlantide, Falso movimento; uno struggente tributo a Pino Daniele (Putesse essere allero), la vendittiana Le cose della vita, una sosta al monumento di Nino Manfredi (Storia di Pinocchio), la doppia versione dell’elegiaca Pittori della Domenica di Conte. Qui spiega De Gregori: “La vidi incidere da Paolo negli studi Rca, una di quelle canzoni che ti cattura di più perché è rimasta nascosta. Mi colpisce la descrizione di chi, diversamente da noi, non ha avuto riconoscimenti con l’arte, non è compreso in famiglia, la moglie sempre arrabbiata mentre dipingi pensando al colore delle tempeste della tua vita”. Due arrangiamenti alternativi anche per l’inedito scritto a quattro mani dai corresponsabili di Pastiche, quel Giusto o sbagliato che, nota ancora Francesco, è un rimbalzo creativo italiano di My way “con un uomo che arrivato a una certa età si trova a fare, o a non voler fare, il bilancio dell’esistenza. Ho composto questo brano, il primo dopo tanto tempo, dopo aver provato a tradurre My Way: nella nostra lingua non regge, e avrei dovuto confrontarmi con i mostri sacri Sinatra e Presley”.
Zalone, nel progetto, fa l’accompagnatore, punteggia, monta e sfronda la scenografia interiore del racconto. Canta il giusto, un brano e mezzo. Si inserisce sulla ripresa della sua strepitosa La prima Repubblica (dalla colonna sonora di Quo vado?, con l’accenno strumentale di Viva l’Italia), e prende il sopravvento sul proprio inedito, Alejandro: esilarante disavventura di un hombre sivigliano in andropausa alle prese con il “lui” che moravianamente non reagisce come una volta ai comandi; nell’insert del Principe il pistolino diventa genialmente “Pedro, con la faccia che somiglia al crollo di una diga”. Due rimandi in un verso, e l’ombroso cantautore cede al gusto sovrano del cazzeggio. Che è la cifra inestimabile di Pastiche.
Prendi un poeta laureato, gli metti vicino il re della commedia, e se uno forgia parole per volare altissimo, l’altro finge di tirarlo giù coi calembour ma insieme pilotano l’aliante che è una bellezza. Col passare degli anni si diventa meno malmostosi, c’è voglia di rivendicare se stessi baloccandosi con quel che resta del giorno e del talento. Divertissement sotto l’inusitato marchio bicefalo “Franchecco”. I due si stimano, si piacciono. Dice Zalone: “Ne amo l’assenza di retorica e moralismo, e il profondo senso etico”. Il compare ribatte: “Nei suoi film c’è uno sguardo innocente, seppur corrosivo, sulla società, come in Sordi o Gassman. Mette la stessa cura nella musica, da suonatore istintivo”. Vagheggiano uno stesso set, chissà. Una cosa per volta, tra valigie dell’attore e pianisti di piano bar.
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