Uno due tre quattro cinque sei e sette
DI MICHELE SERRA
I“manel” (panel di soli maschi) sono un incidente molto frequente, la cui caratteristica fondamentale è che nessuno se ne accorge, tanto normale pare ai maschi partecipanti la composizione mono-genere.
Da qualche anno, per esclusivo merito della critica femminile, non accorgersene è decisamente più difficile; e diventa poi madornale, questo non accorgersene, se l’argomento in questione è l’interruzione di gravidanza, come è accaduto l’altra sera da Bruno Vespa con conseguente putiferio mediatico e politico.
Le giustificazioni a posteriori di Vespa (un paio di donne le avevamo invitate, ma non potevano venire) non mitigano l’offesa al buon senso — prima ancora che alla parità di genere — inflitta dallo spettacolo: sette maschi che parlano della più materialmente femminile delle questioni. Qualcosa sarebbe cambiato, in leggermente meno peggio, se anche uno solo dei partecipanti — meglio ancora il conduttore — avesse rilevato in tempo reale quello che stava accadendo, scusandosi con chi era in ascolto. Bastava una sola frase, tipo: ci rendiamo conto che un dibattito di soli maschi sul corpo delle donne, prima ancora che una prepotenza, è una scemenza, ma non siamo riusciti a evitarla.
Ma quella frase non ha potuto essere pronunciata perché la situazione deve essere sembrata, a tutti i presenti, di assoluta normalità. Maschi dai quaranta ai settanta che si azzuffano tra loro sull’universo mondo: non è forse la norma?
Se ancora qualcuno ritiene che il femminismo sia questione ideologica, beh, no. Il femminismo è una constatazione.
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