sabato 8 marzo 2025

Driiiin!!!


E venne il giorno… driin (suonano dal portone) 
“Chi è?!”
“Salve volevo chiederle se normalmente è felice e se vorrrebbe esserlo per sempre!”

Geova!!!

“Guardi a essere sincero lo ero pochi attimi fa, prima che mi suonasse al citofono: stavo cagando, fumandomi una paglia!” 

…………….

Mi sente? Pronto!

(Li ho debellati!!!)

Profezia


"Quando ti renderai conto che, per produrre, devi ottenere l’autorizzazione da coloro che non producono nulla; quando vedrai che il denaro scorre verso chi non commercia beni, ma favori; quando ti accorgerai che molti si arricchiscono tramite la corruzione e le influenze, piuttosto che con il proprio lavoro, e che le leggi non ti proteggono da loro, ma anzi, sono loro ad essere protetti contro di te; quando scoprirai che la corruzione è premiata e l’onestà diventa un sacrificio personale, allora potrai affermare, senza timore di sbagliarti, che la tua società è condannata."

(Ayn Rand - La rivolta di Atlante 1957)

Chapeau!




Daje Giorgia!

 



Emozionati

 



Freddura

 



Ma daiiii!

 

“Diversamente disarmo” e altre perifrasi per Ursula
SATIRA - Giorgia vuole un altro nome, le diamo un po’ di idee
DI TOMMASO RODANO
La premier ne fa una questione cosmetica. Investire centinaia di milioni in armi va bene, ma non le piace il nome. “Riarmo non è la parola adatta – ha detto Giorgia Meloni – il tema difesa riguarda materie prime e tantissimi altri domini. Stiamo dando messaggi non chiari ai cittadini”. O forse la paura è che siano troppo chiari e che le parole coincidano con la realtà dei fatti: riarmo significa proprio riarmo, è difficile fraintendere. Meloni potrebbe aver pensato che in un Paese assetato di sanità pubblica, scuole, lavoro; oberato dal costo della vita che sale mentre i salari ristagnano, i cittadini non siano entusiasti di scoprire che il debito si può fare – o che le spese possano essere scomputate dal calcolo del rapporto tra deficit e Pil – purché si tratti di ingrossare l’apparato militare.
Meloni, insomma, ne fa una questione di brand: “Rearm Europe” non le va giù. Magari ha ragione. Non sarebbe nemmeno la prima volta nella storia della politica – in particolare quando si tratta di armi o di guerre – che il nome di una campagna genera malintesi o imbarazzi. Nel 2001 gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan sotto le insegne dell’operazione Infinite Justice, non il massimo per portare la democrazia nel mondo islamico, dove solo a Dio appartiene la facoltà di impartire giustizia eterna. Per questa ragione, quella guerra fu ribattezzata Enduring freedom (“libertà duratura”): sarebbe stata la Storia (col ritorno dei talebani) a ridicolizzare anche quella soluzione. Un altro nome sfortunato è quello con cui nel 1988 la Germania dell’Est battezzò un’esercitazione militare che simulava la difesa contro un ipotetico attacco occidentale. Era l’operazione Friedenssturm ovvero “Tempesta di pace”, un ossimoro a suo modo straordinario, molto appropriato anche per il piano di Ursula Von der Leyen. Meloni potrebbe suggerirlo all’Europa, in modo da togliere la fastidiosa parola “riarmo” da una monumentale operazione di riarmo.
A tal fine abbiamo raccolto il contributo di alcune delle penne satiriche di questo giornale: la premier può attingervi liberamente, senza pagare i diritti, magari con una cortese citazione. Francesca Fornario la butta lì: perché non chiamarlo “Diversamente disarmo”? Non fa una piega, sarebbe di una delicatezza quasi woke. Alessandro Robecchi propone ben tre brand ripuliti, nuovi di zecca. Il primo è atomico: “NuclearPeaceEurope”. Il secondo ha un sapore finanziario: “Make Cambiali Great Again”. Il terzo è definitivo: “DeadGenerationEU”.
Riccardo Mannelli propone una svolta lisergica, in apprezzabile dialetto romano (forse un po’ complicata da tradurre a Ursula): “E famoselo sto cannone”. Infine Vauro, che la tocca piano, nel suo stile: “Più che un nome, ci vorrebbe una faccina. In questo caso, una faccina da culo sarebbe perfetta”. Disarmante.

Portateje altro vino!

 


Grazie dei fior
di Marco Travaglio
L’unica cosa onesta del pornografico piano di riarmo da 800 miliardi è il nome che gli ha dato la Von der Leyen: ReArm Europe. Del resto era difficile immaginarne un altro: il riarmo si chiama riarmo (in inglese rearm). Ma vallo a spiegare alla Meloni, che al Consiglio europeo ha chiesto di cambiargli il nome: “Riarmo non è la parola adatta: il 74% degli italiani vuole investimenti nella sanità, non nelle armi”. Giusto: quindi avrebbe dovuto bocciare il piano, non chiedere di chiamarlo in un altro modo. Uno può pure ribattezzarlo “Grazie dei fior” (Thanks for the flowers) o “Fiori rosa fiori di pesco” (Pink flowers peach blossoms), ma poi gli 800 miliardi vanno sempre alle armi. Quindi la polemica semantica ha un solo movente: fregare gli italiani e buttare tutti quei soldi in armi senza farglielo sapere. ReArm Europe non è il nome adatto perché lo capiscono tutti. E magari votano chi si oppone e non chi approva. Il guaio delle monache ursuline è che hanno grossi problemi a spiegare perché l’Europa, già alla canna del gas per le autosanzioni, dovrebbe darsi il colpo di grazia. La storiella della Russia che sta per invadere l’Europa non attacca. Anche perché chi la racconta ha passato tre anni a ripetere che la Russia era in default, Putin aveva pochi giorni di vita, la sua “Armata Rotta” stava perdendo la guerra, combatteva con le pale (“ma non pale qualsiasi: pale del 1869”, Open) e con le dita, aveva finito i soldati, le divise, i calzini, le munizioni, i razzi, i missili ed era ridotta a rubare i microchip dei carri armati dai freezer e dai tiralatte delle puerpere.
L’altra sera, a Otto e mezzo, Beppe Severgnini esibiva il broncetto dell’invaso e si spellava le mani per gli Eurobomb, ma contemporaneamente sosteneva che “stiamo sopravvalutando la Russia”. Il che, per l’autore del celebre assioma “Se non ci fosse la Nato, le armate di Putin sarebbero già arrivate a Lisbona” (24.3.2022), non è niente male. La prima regola della propaganda è scegliere una balla e insistere solo su quella: se ne racconti due che si elidono a vicenda, la gente non si beve né l’una né l’altra. Se la Russia è fallita tre anni fa e ha perso la guerra contro l’esercito ucraino, come farebbe a invadere l’Europa contro i 32 eserciti della Nato? Perché mai dovremmo spendere 800 miliardi per difenderci da quelle pippe lesse? E, se le quattro regioni ucraine occupate (più la Crimea) sono la prova della sconfitta della Russia, in che senso Trump che intende lasciargliele vuole la “resa” di Zelensky e la “vittoria” di Putin (parlandone da vivo)? Si dirà: ma Macron assicura che Putin vuole invadere l’Europa. Già, ma tre anni fa diceva: “Stiamo attenti a non umiliare Putin”, prima che Putin umiliasse lui. Quando arriva l’ambulanza?

L'Amaca

 

Chi sono i veri antiamericani

DI MICHELE SERRA
La ricca signora McMahon, 76 anni, una luminosa carriera come impresaria di incontri di wrestling, è la nuova responsabile del dipartimento per l’Istruzione nell’amministrazione Trump. Ha ricevuto dal suo capo l’incarico di abolire il dipartimento stesso, lasciando a ogni singolo Stato il compito di farsi una scuola “a misura delle famiglie”. Vanno bene le scuole religiose e le scuole private, basta con la scuola pubblica che indottrina i bambini con diavolerie tipo l’evoluzionismo, le scienze sociali e altre discipline corruttive.
McMahon ne è entusiasta. «Sono mamma e sono nonna, e so che nessuno è più indicato dei genitori per decidere quale istruzione dare ai figli». Un paio di secoli di pedagogia liquidati come una fesseria inutile, l’idea di istruzione pubblica uguale per tutti, e dunque fondativa di una comunità che si rispetti, buttata alle ortiche. Finalmente le scuole degli Stati repubblicani potranno vietare 1984 di Orwell e Il buio oltre la siepe, e tutti quei romanzi sconci che parlano di omosessualità e di sesso, e minano alle fondamenta la famiglia tradizionale.
Trump invera il sogno dei reazionari di tutto il mondo, nello specifico i reazionari confessionali per i quali la croce non ha alcun significato evangelico (tipo amore per il prossimo e altre smancerie) ma è un’arma ideologica da brandire. Il solo concetto di “pubblica istruzione” contiene, a ben vedere, l’anima del nemico: niente deve essere pubblico, niente dev’essere di tutti, niente uguale per tutti.
Smonteranno l’America democratica pezzo dopo pezzo. Lo hanno detto e lo stanno facendo. I veri antiamericani sono quelli che assistono a questo scempio senza battere ciglio.

venerdì 7 marzo 2025

Commosso




Grazie Signore! Grazie!

Esempio



La stazione di Kami-Shirataki, situata a Hokkaidō, in Giappone, era destinata alla chiusura a causa del numero estremamente ridotto di passeggeri. Tuttavia, i responsabili della compagnia ferroviaria si accorsero che un'unica studentessa utilizzava quotidianamente il treno per andare a scuola.

Invece di chiudere la stazione, le autorità presero una decisione sorprendente: mantenere il servizio attivo fino a quando la ragazza non avesse completato gli studi.

Per diversi anni, il treno arrivava e partiva esclusivamente in base agli orari scolastici della giovane, permettendole di raggiungere la scuola al mattino e di tornare a casa nel pomeriggio.

Quando la studentessa concluse il suo percorso di studi, la stazione venne definitivamente chiusa, segnando la fine di una straordinaria storia di responsabilità e rispetto per l'istruzione.

Attenzionatevi!

 



Basta un dito e tutto...

 



Ringraziamenti

 



Natangelo

 



Massimo oltre altlantico

 

Gli yankee son sempre stati così, anche prima di Trump
TRA LIBERTÀ E OPPRESSIONE - Gli umiliatori dei vinti. Dal genocidio degli indiani alle volgarità dei modi: il popolo che ci salvò nella 2ª guerra mondiale odiato da tutti
DI MASSIMO FINI
Incontrando l’inviato speciale di Trump, Paolo Zampolli, Salvini ha affermato che “gli Stati Uniti sono un modello”. Solo un uomo superficiale come il leader della Lega può pensare, ma non è certamente il solo, che gli Usa di oggi siano un modello. Modello di violenze, all’esterno e all’interno con le continue sparatorie soprattutto di giovani e giovanissimi che evidentemente non stanno bene in quella società e all’esterno con le aggressioni a Stati sovrani.
Certamente oggi i Dik Dik non canterebbero Sognando la California (1966) che è la maggior economia ‘sub-nazionale’ del mondo, ma ai cui ingressi stazionano decine di migliaia di homeless che inalberano un cartello dove è scritto “venite nello Stato più ricco del mondo”, perché le sperequazioni sociali ci sono dappertutto ma negli Usa sono più evidenti e colossali perché tutto in quel Paese è colossale a cominciare dai suoi grattacieli.
Ma partiamo dall’America di ieri. La storia americana inizia con un genocidio quello dei Pellerossa, un popolo spirituale come spirituali sono quasi tutti i popoli indigeni. Genocidio vilissimo, Winchester contro frecce, con l’aiuto delle armi chimiche dell’epoca: l’alcool. Gli americani sono razzisti, del resto ancora oggi esistono “riserve pellerossa”. La mia infanzia è stata funestata da decine di film dove i pellerossa apparivano come crudeli scalpatori e gli americani naturalmente come i buoni. Soldato blu (1970) era di là da venire. Non è quindi solo colpa di Trump se gli immigrati messicani vengono fermati brutalmente alla frontiera.
Ma il popolo yankee, dico il popolo non i suoi dirigenti, è pieno di contraddizioni non tutte negative. È gente ingenua, quasi naïf. Ha deglutito senza fiatare non solo l’assassinio di Kennedy, ma la favola per cui Jack Ruby, un tenutario di case chiuse, aveva ucciso Oswald, l’assassino di Kennedy, per riscattare l’onore dell’America. Hanno deglutito la sconfitta di Sonny Liston, l’‘orso’, contro Cassius Clay (in quel momento Liston era più forte del giovane Clay) perché l’‘orso’ era legato alla mafia americana che aveva deciso che era più producente se perdeva. Già, la mafia. Gli Usa sono corrosi dalla mafia (lo stesso Kennedy era legato al capomafia Sam Giancana) e in questo caso siamo stati noi italiani a inoculargliela, non per nulla tanti mafiosi storici portano nomi italiani, da Lucky Luciano ad Al Capone, Frank Costello, Vito Genovese.
Non c’è dubbio comunque che nel Dopoguerra gli americani abbiano avuto un influsso positivo su noi italiani. Non solo e non tanto perché ci avevano liberati dal nazi-fascismo, ma per il loro senso innato di libertà che si esprime anche nella comodità del vestire.
Le donne vanno in teatro in pelliccia, ma con le scarpe da tennis. In una sala lettura della Columbia University, un vero gioiello, i ragazzi non si fanno nessuno scrupolo a mettere le loro scarpe da tennis sulle scrivanie di raffinato mogano. Prima stare comodi, il resto viene dopo.
Gli americani hanno esportato in Europa il rock che allora era una musica di rottura che proveniva dal jazz. Hanno esportato i jeans. Ed è strano che questo senso di libertà si sia trasformato oggi in una pruderie insopportabile. Il MeToo è nato in America e presidenti o ministri rischiano il posto non per i propri crimini, ma per “comportamenti inappropriati” con le donne. È un’ipocrisia tutta, anche se non solo, americana, ipocrisia che si esercita in ogni campo. Negli Usa la tortura è formalmente vietata, allora si va a torturare a Guantanamo.
Un’altra caratteristica degli yankee, parlo più in senso psicologico che politico, è quella di umiliare i vinti. I processi di Norimberga e Tokyo sono l’esempio più noto, ma quando fu catturato Bin Laden si disse che si era riparato dietro una delle sue mogli. Di al-Baghdadi che si era messo a piangere. E anche lo scontro fra Zelenksy e Trump, Zelensky solo contro tutti, The Donald, J.D. Vance e tutta la stampa americana, fa parte di questo tema.
Negli anni 50 c’è stata anche una certa opposizione a questo soccombismo italiano e c’è qualche testimonianza nella canzone Tu vo fa l’americano (1956) di Renato Carosone (“Tu vuo’ fa’ l’americano ‘ ‘mericano ‘mericano ma si nato in Italy Sient a mme, nun ce sta niente ‘a fa Ok, napulitan… Quanno se fa l’ammore sott’ ‘a luna Comme te vene ‘ncapa ‘e di’ I love you”). E in certi deliziosi racconti di Dino Buzzati, dove l’autore cercando un posteggio scrive: “Delicata manovra di retromarce lungo la murata di una gigantesca vettura americana bianca e rossa, vero oltraggio alla miseria… il suo, blindato, scudo possente di cromo, carico di specchianti globi, contrafforti e barbacani, che da solo basterebbe, io penso, a sfamare dieci anni una famiglia” (Il problema dei posteggi, Sessanta racconti, 1958). Buzzati, nato a Belluno, non aveva nessuna simpatia per gli americani, ma piuttosto per i tedeschi, La corazzata “Tod”, la corazzata Morte è un inno alla grande Germania morente cioè alla Germania nazista.
Direi che la frattura culturale fra noi europei e gli americani, ma qui intendo parlare soprattutto dell’Italia, c’è stata negli anni 60 in epoca esistenzialista. Noi non consideravamo gli americani né buoni né cattivi. Ci erano semplicemente indifferenti. Leggevamo Camus, Sartre, Merleau-Ponty e, a ritroso, Baudelaire, Rimbaud, Lautréamont che hanno influenzato in modo determinante la cultura europea del Novecento, soprattutto artistica.
Poi venne il tempo dello yankee go home, ma era un fatto politico non culturale. Ciò che mi colpisce degli americani di oggi è la volgarità, che non è solo di Trump. Se voi entrate in un ristorante e sentite parlare inglese potete capire subito se si tratta di sudditi di Sua Maestà o di yankee. Lo capite dal fracasso che fanno questi ultimi. Del resto gli americani non sono consapevoli di essere odiati. In qualsiasi circostanza si comportano da primi della classe cui è concesso tutto, anche violare un minimo di buona educazione. Anni fa, nel 2008, fui invitato a Kyoto per una conferenza su Americanismo e antiamericanismo. Il ruolo dell’Europa. Correlatore era un filosofo della Scuola di Francoforte di cui purtroppo non ricordo il nome. C’erano giapponesi, indiani, coreani, c’era anche naturalmente un giovane americano biondo, con la scriminatura giusta e opportuna mogliettina al seguito. Tutti lo detestavano, ma lui si comportava come se fosse il padrone. Non si rendeva conto dell’odiosità che lo circondava.
Più recentemente, ma parliamo comunque di parecchi anni fa, stavo prendendo un taxi davanti all’Hotel Principe di Savoia. La precedenza era mia come avevano confermato sia l’autista sia il valet dell’albergo. Ma mentre ero già seduto si infilò nella macchina un giovane americano, che assomigliava molto nel vestire e nell’atteggiamento a quello che avevo visto a Kyoto, dicendo: “I’m first”. Mi toccò uscire dal taxi, aprire la portiera di sinistra, tirar fuori l’energumeno e cominciare una scazzottata che fu interrotta dai valet dell’albergo (parlo naturalmente di parecchi anni fa, oggi non sarei in grado di estrarre da un taxi neanche un gatto). “I’m first”. Questa è l’ossessione americana. “Make America Great Again”.

Cercare il bandolo

 

Lo famo strano
di Marco Travaglio
Se non l’avessimo sperimentata per 14 anni a suon di governi tecnici e trame quirinalizie, oggi dovremmo piangere per la post-democrazia che dilaga in Europa. Ma continua a raccontarsi e a raccontarci la fiaba della democrazia che combatte l’autocrazia dei Putin e dei Trump. Un bel mattino la baronessa Von der Leyen si sveglia e annuncia un piano da 800 miliardi per riarmare non l’Europa (che non è uno Stato e non ha un esercito: solo una Commissione senza poteri in politica estera), ma i 27 Stati membri, esonerandoli dai vincoli che impediscono di spendere in welfare, sanità e scuola, ma non in armi per fare la guerra a non si sa bene chi. Il tutto all’insaputa dei 27 Stati, che non le hanno mai chiesto il piano. Decenza vorrebbe che ne discutessero i 27 Parlamenti, ma non si può. Il nostro, per dire, non ha la più pallida idea di cosa pensi il governo: legge sui giornali che la Meloni ha telefonato a tizio e caio e litiga col vicepremier Salvini e il ministro Giorgetti, i quali litigano col vicepremier Tajani. Per evitare brutte sorprese, la Von der Bomben taglia fuori anche il Parlamento europeo, presieduto da una simpatica signora maltese, tale Metsola, che non fiata per non disturbare. Però il piano Eurobomb piace parecchio a una tizia estone, una certa Kallas, “alta rappresentante della politica estera” di un’Europa senza politica estera, perché la madre, la nonna e la bisnonna furono deportate in Urss 84 anni fa e lei se l’è legata al dito.
A quel punto salta su Macron, che non riesce a governare la Francia e sforna governi bimestrali nati morti, ma s’è fissato di dirigere l’Europa: le annuncia che verrà presto invasa da Putin non si sa bene perché; le offre prêt-à-porter il suo “ombrello atomico” (290 testate contro le 7 mila russe) che però la Costituzione riserva alla sola Francia; e vaneggia di truppe europee da spedire in Ucraina per fare il peacekeeping in un Paese tuttora in guerra, anche perché lui è in prima fila a sabotare i negoziati; ma si guarda bene dall’interessarne il Parlamento, dove lo odiano sia la destra sia la sinistra. Completa il quadro l’aspirante cancelliere tedesco Merz, uscito primo dalle elezioni, che vuol cambiare la Costituzione per aumentare il debito e finanziare il riarmo, ma il Parlamento uscito dalle elezioni non gli garantisce i due terzi, quindi riconvoca quello vecchio. Tanto vale tutto. In Romania, frattanto, a furia di annullare elezioni e arrestare Georgescu per evitare che vinca, il candidato anti-Nato e anti-Ue è balzato nei sondaggi al 45%. Quindi bisognerà annullare anche le prossime elezioni, o arrestarlo di nuovo, o votare a oltranza finché perde, o varare una legge elettorale che fa vincere chi arriva ultimo. Che s’ha da fare per salvare la democrazia dall’autocrazia.

L'Amaca

 

La saracinesca dei famosi
DI MICHELE SERRA
Quelli che vanno a farsi i selfie davanti al localino modaiolo di Milano sigillato per prostituzione fanno stringere il cuore. Non credo che saprebbero rispondere alla domanda “ma perché?”, per il semplice motivo che non se la sono mai posta. Passavano di lì e dunque devono aver intravisto, su quella saracinesca chiusa, la bava della notorietà, sperando di coglierne qualche stilla. Di quale sostanza sia fatta quella notorietà, non importa.
“Non sappiamo chi sia, ma ci sembra uno famoso”, pare abbiano detto molti anni fa, a un giornalista che colse casualmente la scena, due ragazze che avevano chiesto l’autografo a Licio Gelli in coda a un autogrill (l’autografo è l’antenato del selfie). La persona da avvicinare nella speranza che la sua scia di celebrità possa sfiorarti, come un farmaco miracoloso che estingue l’anonimato, può essere Hitler o Teresa di Calcutta, Gandhi o Jack lo Squartatore, la differenza non è rilevante. Non più rilevante, comunque, di quella pialla mostruosa che è la fama mediatica, che rende tutti uguali, a partire da quell’acronimo ridicolo, fantozziano, Vip, che oramai usiamo senza ombra di riflessione, senza pensare a che cosa vuol dire: Very important person, una delle parole più stupide e orribili degli ultimi trenta secoli.
Perché per quanto si sia ingrossato fino all’inverosimile l’esercito dei famosi, ormai diviso in sottocategorie le più varie e bizzarre, rimane sterminata e indistinta la massa degli anonimi, delle Not important person. La sola “importanza” convenzionalmente riconosciuta non è chi sei, cosa fai, come vivi: è essere famosi.
Perfino se sei una saracinesca. Nel negozio di fronte, magari, ottime persone fanno ottime cose. Molto più importanti che sniffare cocaina e procacciare escort. Ma nessuno lo saprà mai.

giovedì 6 marzo 2025

Mancava




Filosofando

 


Senti un po'!

 



Constatando

 



Rimuginando

 



Sai come quando avverti in giro uno strano odore? La stessa sensazione sulla manifestazione lanciata da Michele Serra - che stimo molto - del 15 marzo a Roma in Piazza del Popolo dal titolo "Una piazza per l'Europa".
Iniziativa nobilissima ci mancherebbe ma sullo sfondo, pare, di questa necessità d'unità s'intravede la speranza di diventare un continente coeso e forte, forte nella mente di molti sta a significare armato; armato sottintende un improvvido scialacquio di risorse, di un demenziale investimento bellico che tanto piace ai soliti noti.  

Orbene, mentre mi documentavo sull'idea di Michele, il quale è partito senza alcun velato proponimento, lo dice lui stesso, attorno a questa manifestazione, impercettibilmente, hanno iniziato a librarsi in volo tutti quelli che, da tempo, dovrebbe starsene placidamente a casa danti al camino acceso: il canovaccio è da sempre il solito: apprezzamento per l'iniziativa - annuncio di parteciparvi - distinguo, arzigogolo - attività nel substrato - dire e non dire - articoli a supporto di compiacenti pennivendoli - distorsione eclatante di progetti ed aspettative.
E tutto ciò che mi induceva a parteciparvi è evaporato come nevischio a mezzodì allorché personaggi come il signore in foto hanno annunciato urbi et orbi che saranno in piazza del Popolo il 15 marzo.
Non m permetto di pensare "o io o loro!" ci mancherebbe! Solo che un Franceschini, un Gentiloni ronf-ronf, un Guerini guerrafondaio, non riesco a più a digerirli, rappresentando tutto ciò che finge di essere di sinistra ed invece non lo è.
L'idea che m'attizza è sì quella di sperare nell'Europa unente la moltitudine di popoli, tra loro diversi, che la compongono, pur se a volte parrebbe essere sogno impossibile a realizzarsi, ma nel contempo farcita di visioni comuni solidali, di sviluppo sociale, di abbattimento delle innumerevoli disparità e delle vergognose sofferenze di molti. Senza armi, senza fobie di venir aggrediti da quell'assassino della malora. Di vivere in pace investendo in asili, scuole, università, sanità, ricerca - ma quante kazzo di cose di potrebbero fare con i famigerati 800 miliardi che quella sciagurata di Ursula vorrebbe investire in armi? - intessendo rapporti commerciali e di condivisione con altre realtà.
Porsi invece come interlocutore armato fino ai denti credo sia una soluzione anomale e letale.
Per questo parteciperò il 5 aprile alla manifestazione, sempre a Roma, organizzata dalla persona perbene Giuseppe Conte, per l'Europa Unita che dice fermamente no al riarmo demenziale.
Un'ultima domanda: Elly che fai?

Natangelo

 



Altan

 



Barbara e il no

 

l nemico dell’Europa è il riarmo di Ursula
LE DUE INCENDIARIE - L'Unione è condannata all'irrilevanza se, invece di prendersela con Trump, non richiama all’ordine i rappresentanti che vogliono prolungare la guerra: da Von der Leyen all’estone Kallas
DI BARBARA SPINELLI
Dicono molti commentatori che l’Europa si è fatta infine sentire: lo avrebbe fatto riconfortando Zelensky, dopo lo scontro di venerdì fra il presidente ucraino e Donald Trump, e promettendo un fenomenale riarmo e una guerra fredda a guida europea anziché statunitense.
Parigi e Londra sono pronte a schierare truppe in Ucraina, per garantirne la sicurezza dopo la tregua e l’accordo di pace con Mosca. Per ora Putin è contrario: non ha fatto la guerra per avere eserciti di Stati Nato al proprio confine.
Se questa è Europa, ben vengano le opposizioni al Piano di Riarmo, oggi al vertice dell’Unione. Non sono i progetti marziali della Commissione a facilitare la pace, ma le formidabili pressioni di Trump: martedì notte la Casa Bianca ha annunciato la sospensione di ogni aiuto all’Ucraina, compresi gli aiuti dei Servizi segreti, e il giorno dopo Zelensky ha accettato la mediazione Usa e proposto un’interruzione delle operazioni di aria e di mare. È quello che Papa Francesco un anno fa chiamò il “coraggio della bandiera bianca”. Viene l’ora di trattare con Putin, per fortuna non più paragonato a Hitler. L’apertura di Zelensky è giudicata positiva da Mosca.
Non si sa bene cosa si intenda, quando si invoca l’Europa: se i suoi cittadini, o i suoi Stati, o l’Europa parallela che Macron sta costruendo con Londra che non è più nell’Ue, o la Commissione guidata da Von der Leyen che non ha competenze in politica estera. Non si sa neanche fino in fondo il significato della manifestazione che il 15 marzo chiederà che l’Europa “dica qualcosa”, “parli con una voce sola”. Per dire cosa? Per quale politica estera, in un’Unione che su pace e guerra è divisa?
A motivare lo scandalo non è l’inaudita incapacità europea di concepire negoziati di pace con Mosca, ma la brutalità di Trump: è lui il nemico, accusato di umiliare Zelensky e costringerlo alla bandiera bianca. Tanto i morti non sono i nostri. Lo scandalo avrebbe senso se si parlasse di Gaza e degli aiuti Usa a Israele. Ma su Russia e Ucraina cosa si chiede? Che l’Europa negozi con Mosca un comune sistema di sicurezza oppure che inasprisca ancor più la conflittualità, contro la distensione tentata da Trump? E che vuol dire “difesa europea anziché riarmo” (posizione Pd), se manca una comune politica estera e diplomatica?
Venerdì alla Casa Bianca Zelensky si è infilato da solo nella tremenda trappola ripresa in mondovisione. Per capire l’evento tragico va vista l’intera conferenza stampa, e non solo l’esplosione finale. La conferenza non era cominciata male, Trump aveva elogiato l’esercito ucraino, ma Zelensky ha fatto di tutto per scatenare lo scontro. Ha parlato di Putin come di “un killer e un terrorista”, ha ripetuto che Mosca ha violato ben 25 volte gli accordi di tregua. Ha mostrato a Trump le foto di ucraini maltrattati dall’esercito russo e ha provocato il vicepresidente Vance: “Quale tregua?”. Inoltre ha reclamato un’assistenza militare Usa che equivalga di fatto al sostegno garantito dalla Nato.
Trump è un affarista neocoloniale che non esita ad accaparrarsi parte delle ricchezze minerarie ucraine (o russe se il Donbass resta russo) ma ha detto una cosa assennata: io sono sopra delle parti – ha ripetuto – non posso insultare Putin e al tempo stesso negoziare sulla fine dei bombardamenti.
Sarebbe stato ben più brutale se avesse detto un’ulteriore verità: l’Ucraina, la Nato e l’Europa hanno perso la guerra, ora si tratta di capire come mai è scoppiata. I continui allargamenti della Nato, la trasformazione dell’Ucraina in un fortilizio, il trattamento oppressivo delle minoranze russe e della loro lingua: tutto questo è vissuto come minaccia esistenziale a Mosca, non dall’invasione del ’22 ma dal 2008. Va ricordato che fu Trump nel primo mandato ad armare Kiev con i temibili missili anticarro Javelin, cruciali nella guerra odierna: Zelensky l’ha giustamente evocato nella conferenza stampa.
Si legge sui giornali che l’Europa si riunisce finalmente per contrastare Trump. E farebbe bene se lo contrastasse su Israele, cosa che non fa. Farebbe bene se difendesse l’Onu vilipesa da Washington anziché la Nato. Fa molto meno bene quando si presenta come Europa atlantista, fingendo d’ignorare la sconfitta storica della Nato e il radicale distacco statunitense dall’Europa.
Fuori posto è anche lo sdegno per il negoziato Washington-Mosca, che in un primo momento esclude Zelensky ed europei. È una lamentazione volutamente smemorata. Quando fu abbattuto il Muro di Berlino e cominciò a prefigurarsi l’unificazione tedesca (in realtà fu un’annessione della Germania Est), furono Bush padre e Gorbaciov a negoziare bilateralmente. Solo in un secondo momento le trattative si estesero alle due Germanie e ai firmatari degli accordi postbellici, Regno Unito e Francia. Allora la procedura apparve naturale. Gli unici che potevano sbloccare le cose erano Washington e il Cremlino. Ora invece si protesta, e non perché l’Europa sia più forte ma perché è diventata più inconsistente, più asservita alle industrie militari, meno addestrata alla diplomazia.
L’Unione è condannata all’irrilevanza se non richiama all’ordine rappresentanti pericolosi per la pace come Von der Leyen o l’estone Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la sicurezza: un personaggio, quest’ultimo, che non ha mai fatto autocritica su quanto disse nel maggio ’24, poco prima d’esser nominata: “Non è una cattiva idea lo smembramento della Federazione russa in tante piccole nazioni”.
Quanto a Von der Leyen, memorabili sono le parole dopo il vertice euro-atlantico di Londra: l’Ue deve trasformare l’Ucraina in un “riccio d’acciaio indigesto a invasori” come la Russia. Il capo dell’esecutivo Ue non spiega come procedere, perché la politica estera e di difesa non è per fortuna di sua competenza. Se parla così è perché si mette al servizio delle industrie militari, non dei governanti e ancor meno dei popoli. Un sondaggio dell’Istituto inglese Focaldata rivela che i cittadini europei sono ostili alla strategia del riccio d’acciaio: una forte maggioranza di elettori francesi, tedeschi e inglesi vuole ridurre le spese militari o almeno mantenerle ai livelli attuali (il 66% in Francia, il 53 in Germania, il 54 nel Regno Unito). Dice James Kanagasooriam, capo dell’istituto di sondaggi: “I poteri politici sono alle prese con un enorme nodo gordiano”. È il nodo gordiano che lega indissolubilmente le politiche neoliberali di austerità alla militarizzazione dell’Unione.
Il “Piano Riarmo Europa” presentato martedì da Von der Leyen conferma in pieno il nodo gordiano. È annunciato un esborso di 800 miliardi di euro entro quattro anni: “Si apre un’era di riarmo. Questo è il momento dell’Europa. Siamo pronti a passare a una velocità superiore”. Una parte dei fondi europei destinati alla coesione sociale, territoriale e ambientale sarà dirottata verso il riarmo. È sperabile che qualcuno fermi la Commissione. Almeno per quanto riguarda i confini orientali d’Europa il pericolo è lei, non Trump.

No al mielismo

 

Brancamielone
di Marco Travaglio
Già duramente provati dal boicottaggio di X per mano di Sandro Ruotolo e altri trascinatori di folle, Donald Trump e la sua banda hanno subito il colpo di grazia. È stato l’altroieri, quando Paolo Mieli ha annunciato a Otto e mezzo il suo primo pacchetto di sanzioni contro la Casa Bianca dopo il “pestaggio di Zelensky” e “il ritiro dell’aiuto militare all’Ucraina”: “Non andrò mai più al ricevimento dell’ambasciata americana per il 14 luglio” (che poi sarebbe il 4, ma fa niente). Perché lui è “contro contro contro l’America di Trump che fa a gara con la Russia di Putin”. Nel frattempo Zelensky è tornato a Canossa, pronto a ingoiare tregua, pace, minerali, vegetali e animali “sotto la forte guida di Trump”. Ma Mieli non bada a simili inezie: “Zelensky può dire ciò che vuole”. Lui non se la beve e lo sa lui cosa conviene a Kiev: infatti ai cocktail all’ambasciata non ci va più. Finché gli Usa sterminavano centinaia di migliaia di innocenti fra Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, armavano Israele per spianare Gaza e sponsorizzavano golpe fascisti in giro per il mondo, non s’è mai perso un ricevimento in via Veneto: cin cin, in alto i cuori! Ma ora che non vogliono più fare guerre e provano a chiudere quella in Ucraina, dovranno farlo senza di lui. Così Trump impara. E, per fargli ancora più male, sapete dove va? Alla marcetta pro Europa di Michele Serra, purché “l’Europa sia armata e prenda il posto lasciato libero da Trump”, cioè sia “l’Europa della Von der Leyen: un’altra non c’è”. Tiè, Donald: prendi e porta a casa.
Ma c’è di più. Dagli studi di La7 Mieli ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha assunto il comando delle truppe in partenza per Kiev: “Che facciamo, le solite chiacchiere sull’esercito europeo?”. Non sia mai: “Noi diciamo: ci siamo noi volonterosi! La parte che non fa più Trump la facciamo noi! Mettiamo la pistola sul tavolo della pace accanto a quelle di Zelensky e Putin (Trump non è previsto, ndr). E se la Russia non rispetta i confini combattiamo!”. Annalisa Terranova del Secolo d’Italia tentava di placare le fregole del novello Brancaleone con obiezioni di puro buon senso, tipo che servirebbero anni per trovare e spendere 800 miliardi di Eurobomb e il negoziato è ora, ma soprattutto che questa roba non c’entra nulla con l’esercito europeo (che prima richiederebbe uno Stato europeo). Ma veniva travolta dai giovanili ardori mieliani: “Basta chiacchiere, dobbiamo riequilibrarci con la Russia che bombarda l’Ucraina da tre anni”. Quindi non parte per il fronte a mani nude, eh no: si porta 7-8 mila testate nucleari, sennò non c’è partita. Come la ferale notizia sia stata accolta alla Casa Bianca e al Cremlino, è presto per dirlo. Ma pare che da due giorni Trump e Putin dormano con la luce accesa.

L'Amaca

 

La casalinga di Ottawa

di MICHELE SERRA

Il fatto che i canadesi boicottino whisky e bourbon americani mette di buon umore non solo per la giustezza della causa, che è difendersi dalla prepotenza (e dai dazi) di Trump. Ma perché rivela una sensibilità popolare non solo ben posta, ma solidamente applicata alla realtà materiale (poche cose sono più reali degli scaffali dei supermercati) e alla vita di tutti i giorni.
La misteriosa “gente”, entità sempre poco verificabile, e per niente individuabile nella chiacchiera delirante e inaffidabile dei social, ogni tanto prende forma. Non solo la si vede e la si sente, ma si intende che lei stessa, “la gente”, finalmente si manifesta, come se scoprisse di esistere per davvero, e di contare quel tanto che basta per non sentirsi inesistente. E organizza qualcosa, anche piccoli gesti, che ha comunque un significato condiviso, molto leggibile, chiaro a tutti. Non so se chiamarla politica ma è sicuramente ciò che precede la politica, ciò che le consente di esistere e di prendere vita.
In queste settimane ognuno — non solo il cosiddetto uomo della strada — dubita di contare qualcosa. Ci si sente in balia degli eventi, e quel che è peggio in balia dei prepotenti, e della forza bruta del potere e del denaro. La casalinga di Ottawa (non so come si dica Voghera in canadese) che boicotta i prodotti americani è tutti noi.
Ovviamente il secondo pensiero è per il produttore di bourbon dell’Illinois, sicuramente una bravissima persona, che si vede respingere le bottiglie dal Canada.
Una soluzione c’è: boicotti Trump anche lui.

Par di sognare

 


Cene, nastri, spille e feste: è Schifani, pare il Re Sole

CHE SFARZO - 1.500 metri di fascia per le inaugurazioni, ricchi pranzi, addobbi per gli uffici, contributi per le sagre e gadget istituzionali 

di Ilaria Proietti 

Non disdegna certo i social, ma per un politico di lungo corso come Renato Schifani l’attrezzo principe resta la forbice, più che lo smartphone: sarà per questo che si è rifornito di ben 1.500 metri di nastro rosso e giallo, che gli serviranno per battere il record di una inaugurazione ogni 48 ore che gli rimproverano gli avversari.

Ma il chilometro e mezzo di fettuccia color Trinacria è solo una delle spese decise dall’ufficio del cerimoniale che il presidente della Regione Siciliana ha trasformato in Dipartimento (vedi articolo sotto) e che cura per lui ogni dettaglio con svizzera precisione: da ultimo, ha deliberato l’acquisto di 55 arredi floreali affinché le stanze di Schifani siano opportunamente guarnite con composizioni “gradite all’onorevole presidente” e che dovranno essere rinnovate settimanalmente per un conto di 3 mila euro. E che dire delle necrologie? Per il 2025 sono stati già prenotati 20 messaggi di cordoglio del governatore da pubblicare a pagamento su due testate regionali. Ma poi c’è tutto il resto: dai contributi elargiti a piene mani per feste e sagre ai ricordini per gli ospiti in visita a Palazzo d’Orleans che non vanno mai via a mani vuote o a bocca asciutta, ché il bicchierino da offrire è sempre in agguato visto il conto mensile per bevande e stuzzichini annessi. La rappresentanza a tavola del resto è impeccabile anche nelle trasferte in continente: l’evento Sicilia ad Assisi “Accendiamo la Speranza – Regione e Chiesa insieme per offrire l’olio sulla tomba di San Francesco” è terminato con una cena e poi un pranzo di rappresentanza al ristorante “Re Tartù” di Montefalco e conto da 1.726 euro.

Ma pure quando è in missione in Sicilia, la rappresentanza culinaria è top di gamma e di pronto rimborso per Schifani: 160 euro all’osteria “Il bell’Antonio” di Catania durante le celebrazioni in onore di Sant’Agata, 500 euro da ricaricare sulla carta presidenziale per un pranzo a Messina dopo un convegno sui rifiuti, altri 800 euro per la cena offerta dal governatore ai vertici della regione l’11 novembre scorso al ristorante “Alle terrazze” di Palermo. Ne sono invece serviti 8.800 per il cenone di Capodanno dopo l’evento Mediaset nel centro eventi Granduomo di Catania e ancora prima a settembre, in occasione dell’edizione 2024 della Coppa degli Assi, Schifani aveva speso 23.375 euro per mettere a tavola 170 ospiti (137 euro a coperto) nella splendida cornice dei Giardini di Villa d’Orleans. Ma poi c’è anche il conto dell’accoglienza quotidiana a Palazzo: per il servizio di somministrazione di alimenti e bevande richieste per le attività di rappresentanza per i soli mesi di novembre e dicembre la fattura è stata di 7.400 euro.

Del resto in occasione di visite programmate delle Autorità Istituzionali, nazionali ed estere presso la sede del governo regionale è pure “consuetudine del presidente omaggiare gli ospiti con oggetti rappresentativi dell’arte e delle tradizioni siciliane” e per questo il cerimoniale di Schifani ha recentemente riassortito il campionario acquistando 500 medaglie Trinacria, 20 ombrelli con logo della Regione, 50 spille resinate, 500 matite personalizzate e dulcis in fundo proprio il chilometro e mezzo di nastro rosso e giallo per inaugurazioni che rischiava di terminare: costo 4.005,00 oltre Iva al 22%.

Robetta rispetto alle feste in vista delle quali Schifani non fa mancare mai il suo contributo piccolo o grande che sia: 1.000 euro per il carnevale di Lercara Friddi, altrettanti per la sagra della sfincia di San Giuseppe Jato o per la manifestazione “Altari di San Giuseppe” a Chiusa Sclafani. E ancora, 12 mila euro per la sagra del cinghiale madonita di Ganci, 1.500 euro per i festeggiamenti natalizi alla Parrocchia beata Vergine del Carmelo di Misilmeri e via spendendo per altre mille iniziative come la manifestazione denominata “Visita del corpo di San Lucia” ad Aci Catena da finanziare con 3.000 euro, 2.000 per il Capodanno di Modica, 4.000 per il concerto di Natale di Ribera (Agrigento). E allora non stupiranno i 20.740 euro spesi per la fornitura degli allestimenti natalizi in Regione “comprensivi di illuminazione della facciata di Palazzo Orleans, degli alberi d’ulivo posizionati nelle villette antistanti, dell’albero di Natale alto circa 6 metri”. Né i 5.831 euro sganciati per le aiuole, l’allestimento del presepe e le stelle di natale da posizionare all’interno del Palazzo della Regione fatta eccezione per gli uffici di Schifani: per comprare le stelle di natale destinate alle stanze presidenziali sono stati necessari altri 616,16 euro. Altri 3.000 euro se ne sono andati invece per acquistare dolci e confezioni natalizie per “omaggiare le massime cariche istituzionali regionali in occasione del messaggio augurale del presidente” mentre 1.150 euro sono stati necessari per comprare i doni destinati “alle più alte autorità istituzionali della Regione siciliana”: 1 scatola argentata, 7 foulard e 6 sciarpe meno una. Per la sciarpa di seta e velluto destinata al presidente dell’Assemblea regionale Gaetano Galvagno erano stati messi appositamente in conto 170 euro, ma per fortuna la spesa è stata minore: il cadeau è costato solo 169,99 euro e una delibera di 4 pagine per eliminare dalle scritture contabili 0,01 euro di differenza. Chapeau!

mercoledì 5 marzo 2025

Standing ovation!




Presto!



Freddy: Ma che c'è, che ti prende, dategli... presto dategli...

Igor: Cosa, dategli cosa? Cerchi di mimarlo, quattro sillabe, prima sillaba, suona come...

Inga: Se? suona come me? te? se?

Igor & Inga: Said.

Igor: Se!

Inga: Seconda sillaba, preposizione come di, con, su?

Igor: Da! Se-da, ha detto sedano, ha detto sedano. Come?... se-da-davo, date un sedadavo.

Inga: Tivo! Sedativo!


Che donna!

 



Tanto per ricordare...

 



Prima Pagina

 



Questi tempi rosa

 


“Donne-cavallo” e coca rosa: arrestati Lacerenza e Nobile

FESTINI A LUCI ROSSE ALLA GINTONERIA, MILANO - Il servizio “delivery”. Droga e prostitute (pure minorenni) per i clienti ricchi, anche a domicilio. Il locale frequentato da agenti e finanzieri. Molti i video sui social 

di Selvaggia Lucarelli 

L’arresto di Davide Lacerenza e Stefania Nobile ha colto di sorpresa solo chi non conosceva “La Gintoneria”, il famoso locale milanese dietro la Stazione Centrale in cui si offrivano alcol, droga e prostitute.

Tutto in un solo pacchetto, e neppure troppo conveniente. E non serviva neppure andare a bere champagne sul posto per immaginare cosa accadesse lì dentro, visto che da anni Lacerenza si mostrava senza troppo pudore sui social sotto effetto di stupefacenti e in compagnia di ragazze che non sembravano uscite da un convento. Sul web girano immagini di lui che assume cocaina, che chiama le ragazze ai tavoli “cavalle”, che insiste perché clienti giovanissimi e meno giovani “sciabolino”, ovvero stappino bottiglie da migliaia di euro. A leggere le carte dell’indagine della Procura milanese che ha portato all’arresto di Nobile, del suo ex fidanzato e titolare del locale Lacerenza e del loro factotum Davide Ariganello viene fuori uno spaccato raccapricciante. La Gintoneria e lo champagne erano solo un luccicante pretesto per offrire escort e droga di ogni genere ai clienti più facoltosi. E la droga non era solo cocaina ma anche erba e, soprattutto, cocaina rosa detta anche Tusi, un mix di Ketamina e Mdma. Le donne (denominate “cavalle”), anche minorenni, venivano trattate come oggetti sessuali.

Oltre al principale “la Gintoneria” c’era un altro locale, il “Malmaison” ubicato dall’altra parte della strada in cui i clienti più ricchi e disposti a spendere oltre i 5.000 euro venivano scortati anche a notte fonda per poter usufruire di droga ed escort. Il locale era video-sorvegliato anche all’interno, Lacerenza vedeva e controllava tutto, spesso beveva e si drogava in compagnia dei clienti.

Più volte nell’ordinanza si fa riferimento al fatto che Lacerenza avesse amicizie con esponenti delle forze dell’ordine a cui offriva da bere o addirittura droga e che tra i clienti ci fosse un pezzo grosso della Guardia di finanza, che gli arrivasse pure qualche soffiata sui rischi che stava correndo. E poi, questa è la parte più interessante, il locale offriva pure il servizio delivery. Il factotum Davide Ariganello serviva soprattutto a questo: un cliente chiedeva bottiglie di champagne, prostitute e droga a domicilio e lui gliele portava. Talvolta lo faceva pure lo stesso Lacerenza.

Stefania Nobile, come si evince chiaramente dalle intercettazioni, era al corrente di tutto. Della droga, della prostituzione, dei rischi che Lacerenza le faceva correre. Ma una cosa è molto chiara: per quanto lei lasciasse che fosse lui a sporcarsi le mani, per quanto lei odiasse le escort che chiamava “tossiche” o “drogate”, per quanto fosse preoccupata – talvolta – per la spregiudicatezza e la dipendenza dalle droghe di Lacerenza, Nobile era a tutti gli effetti sua socia. E la quantità spropositata di denaro che Lacerenza le faceva guadagnare – quello stesso denaro con cui lei noleggiava Lamborghini o viaggiava all’estero – era un buon motivo per farsi andare bene tutto. “Sono fattissimo, abbiamo 4 puttane da chiamare adesso per questi cavalli?”, chiedeva Lacerenza al suo braccio destro Ariganello in una intercettazione.

Il problema del rintracciamento delle escort risulta una costante. Lacerenza le chiama personalmente, chiede quanto vogliono, dà loro consigli su come gestire i clienti. Quando è nel locale per i più ricchi chiede ad Ariganello “Ma chi c’è di là?” (nella Gintoneria) e l’altro: “Quattro poveri, adesso li mandiamo via”. Perché quelli che bevono e basta, magari anche bottiglie non troppo pregiate, sono “poveri”. È molto ricco invece il cliente battezzato da Nobile e Lacerenza “Lo Sconosciuto” che tra champagne, alcol e prostitute ha bonificato alle varie società collegate ai due soci la bellezza di 640.000 euro.

Alcuni passaggi delle intercettazioni sono perfino comici, nel loro squallore. Una notte “Lo Sconosciuto” chiede escort a più riprese, per cui Ariganello passa ore a cercare nuove prostitute che vanno e vengono finché a un certo punto finisce pure a portare il cane del cliente a spasso mentre quello beve, si accoppia e si droga. Non c’è nulla di divertente, invece, nel passaggio in cui Lacerenza chiama “la piccola” una escort di 17 anni che usa per i clienti che la richiedono (Lacerenza, al telefono: “A Federico ho già fatto scopare la ragazza, la 2005”. Nobile: “Ah, vai per anno tu!”).

Di questo risulta al corrente anche Wanna Marchi. Non fa sorridere neppure quel passaggio in cui si diverte a dileggiare con Stefania Nobile un’altra escort soprannominata dai due “la puzzola” perché, a detta loro, emana un cattivo odore. (“È andato su con la puzzola, le puzzano le ascelle, puzzava di brutto”. “Mamma mia che schifo”. “Lui le leccava le ascelle, ho i video, un maiale”). Sempre Lacerenza intercettato mentre parla di una ragazzina che si sarebbe intrattenuta troppo a lungo con un cliente: “C’ho una ragazzina di 18 anni ma è scema, è da due ore con uno (..), deve dare il tempo a ’sti coglioni, 20 minuti, perché se trova uno con il c…..o duro la sfonda”.

C’è poi il problema di come giustificare l’entrata di bonifici così importanti per un locale che in definitiva sì, vende bottiglie pregiate, ma che comunque si ritrova a incassare in una sera decine di migliaia di euro da un unico cliente. Per esempio la sera folle dello “Sconosciuto” che tra droghe ed escort ha speso 70.000 euro. In una telefonata tra Lacerenza e Nobile lui le spiega che pubblicherà delle storie su Instagram in cui mostrerà delle bottiglie di champagne vuote lasciando intendere di aver passato la serata nel locale con clienti facoltosi. “Faccio la scena del crimine che mettiamo un po’ di bottiglie vuote, facciamo vedere che siamo stati qui con dei clienti potentissimi”, scrive Lacerenza via whatsapp a Nobile. Malinconica, infine, la testimonianza di una giovane escort: “Io nei locali gli servivo per vendere bottiglie, per soddisfare i clienti e lui stesso. Lacerenza chiede alle escort di avere dei rapporti per testare il loro rapporto qualitativo e la loro durata nella performance. Ho accettato sapendo che più si è gentili con lui e più si ottengono dei vantaggi: cibo, alcol, conoscenze legali e nel mondo delle forze di polizia”. E poi, forse, ha accettato perché le prostitute della Gintoneria ricevono la droga gratis. Lacerenza, che ne consuma almeno 10 grammi al giorno, in una intercettazione dice: “Tutte le puttane che stanno con me o pippano o le faccio iniziare a pippare”. E pensare che a La Zanzara o nei servizi celebrativi del Corriere della Sera Lacerenza e La Gintoneria sembravano un divertente fenomeno di costume.

Capita di palpitare

 


Il Pibe era il Pibe! Il resto corollario. 

Natangelo

 



Esternando politica

 

È il partito della guerra che dà coraggio alla Ue
DI ELENA BASILE
Lo spettacolo offerto alla stampa dall’incontro tra Zelensky e Trump sembra emblematico degli ultimi rantoli del partito della guerra. Domandiamoci chi guadagni da questo conflitto e avremo i primi schizzi del mostro.
L’Ucraina è un Paese fallito che sopravvive grazie a fondi statunitensi ed europei. Non è una democrazia inconciliabile con l’abolizione dei partiti e della libertà di culto, con la legge marziale e col posporre le elezioni presidenziali sine die. In tre anni di guerra ha perso territori, una generazione di ucraini e sei milioni di abitanti. I ragazzi si rompono le ossa pur di non andare al fronte. La resistenza ucraina è un mito del passato, sponsorizzato da una classe nazionalista e neonazista al potere di cui Zelensky è ostaggio.
Gli Stati Uniti hanno problemi economici notevoli che l’ingente piano di aiuti pubblici di Biden non ha risolto. Il debito al 136% del Pil, l’inflazione, le sacche di povertà e gli emarginati, tra cui i migranti che crescono. Il crollo industriale, le infrastrutture a pezzi, la perdita di competitività dell’economia.
Kiev dovrebbe cercare di porre fine al più presto alla guerra dalla cui continuazione ha solo da perdere: territori, uomini, risorse. La classe al potere invece ha solo da guadagnare dalla continuazione del conflitto. Nazionalisti, neonazisti e Zelensky alle prossime elezioni presidenziali saranno cacciati dal popolo sofferente ucraino.
Una strategia coerente impersonata da Trump sceglie la fine di una guerra insostenibile per Washington. Trump è stato eletto con i fondi della finanza dei petroliferi, dei settori produttivi delle start up che hanno bisogno di fondi. Protegge il trash bianco della rust belt penalizzato dalla crisi industriale. Comprende che gli Stati Uniti hanno bisogno di un cambiamento di rotta. Diminuire il debito che finanzia le guerre e armamenti, pacificare il fronte europeo e concentrarsi sul contenimento della Cina. Strategia discutibile soprattutto per la parte relativa alle tariffe imposte agli alleati, ma che ha una sua comprensibile razionalità. Quali sono gli interessi dei popoli europei? Il nuovo debito per una difesa che alimenti la continuazione del conflitto comprando armi statunitensi non è un obiettivo del ceto medio e della classe lavoratrice. La crisi economica, la Germania in recessione, l’inflazione, la crisi energetica con le bollette alle stelle sono strettamente legate al conflitto ucraino. Paghiamo il gas statunitense quattro volte più di quello che ci forniva la Russia. Dal punto di vista geopolitico la crisi dell’euroatlantismo causata dall’opposizione Ue alla linea dettata da Washington è contraria ai pilastri che hanno retto la politica europea dal dopoguerra a oggi. Perché dunque le classi dirigenti europee hanno una postura così inusuale? Guardiamo ai profitti della Borsa e alle imprese delle armi. Vi sembra che abbiano sofferto in questi tre anni di guerra? Lo spettacolo offerto dal presidente di un piccolo Paese finanziato e alleato degli Usa, ospite alla Casa Bianca, che assume di fronte alla stampa un atteggiamento di rivolta, è abbastanza inusuale. Immaginate Nixon e Kissinger oppure Bush o Clinton e Obama alla mercé di un loro alleato dipendente da fondi e armamenti Usa? Impossibile.
Abbiamo avuto l’impressione di un presidente statunitense nudo. La Cia con Bush o Obama avrebbe risolto in modo un tantino più brusco le controversie con un alleato riottoso mentre nella Sala Ovale Bush, Clinton o Obama avrebbero dispensato sorrisi diplomatici. La National Endowement for Democracy e Us Aid riuscivano a realizzare i cambiamenti di regime che la Cia metteva in opera. Ora sono fuori funzione per volontà di Musk. Le lobby finanziarie e delle armi guadagnano dalla guerra a prescindere dai suoi scopi strategici. Tutti sanno che l’Ucraina sta perdendo, ma un conflitto può essere redditizio anche se si perde. Dopo decenni di occupazione abbiamo lasciato i talebani al potere. Il nostro scopo non era la democrazia, ma la guerra in sé.
Le élite europee che si sono genuflesse a Washington contro gli interessi europei, abituate a servire, di improvviso alzano la testa, mostrano un coraggio inusitato e sfidano Washington. Una trasformazione antropologica? Un’illuminazione sulla via di Damasco? L’improvviso coraggio delle classi dominanti europee e di Zelensky sembra dovuto alle direttive del mostro, del partito della guerra. Il Deep State contro cui la nuova cupola trumpiana combatte è un potere radicato nelle burocrazie, nell’intelligence, nelle lobby di armi e finanza in Europa. Sabotare la pace e tifare per il conflitto fine a se stesso, sulla pelle degli ucraini e degli europei è l’alto obiettivo di poteri senza scrupoli, di cui politici insignificanti sono le grottesche, forse inconsapevoli, marionette.

Robecchi e l'oroscopo

 

Oroscopo militare. Segno per segno, come armarsi fino ai denti e stare bene
di Alessandro Robecchi
I giornali, i telegiornali, le previsioni del tempo, le analisi nelle pagine dei commenti, le notizie sportive, le chiacchiere al bar. Non c’è aspetto della vita sociale in Italia che non arrivi a un certo punto a una conclusione: ci servono più armi. Lo dicono tutti, da madame Von derLeyen a Macron, a Crosetto, alla signora delle pulizie, al rider che consegna le pizze, all’elettrauto sotto casa: che cazzo aspettiamo a comprare missili, eh! E aerei da caccia. E bombe atomiche. Solo con un nido di mitragliatrici in cantina e un parcheggio di droni sul tetto saremo finalmente liberi e sicuri. Certi di fare cosa grata al sistema dell’informazione italiana aggiungiamo il nostro piccolo contributo alla causa: l’oroscopo.
Ariete – Con Mercurio nel segno, la possibilità di trovare un soldato russo sulle scale mentre rientrate di notte è ormai altissima. Comprate un mitra e tenetelo nel portaombrelli. Lavoro: grandi soddisfazioni dalle vostre dodici ore pagate otto.
Toro – Marzo e aprile saranno mesi di gioiose scoperte. La luna nel segno invita a non esitare: prendete i risparmi messi da parte per le vacanze e compratevi un carro armato Leopard. Salute: tranquilli, per quella tac potete aspettare ancora due anni.
Gemelli – Faticosa la prima decade di marzo, ma grande ripresa nella seconda grazie alla fornitura di visori notturni e mirini a infrarossi finalmente consegnati in portineria. Lavoro: la riconversione della vostra piccola officina in fabbrica di munizioni vi turba. Vi abituerete.
Cancro – Attenti ai piccoli screzi con i vicini che vogliono abbattere le pareti divisorie per installare una batteria antiaerea, prevalga il dialogo fatto di piccoli gesti, come dividere il costo degli obici. Salute, attenti alla pressione, in presenza di acufeni allentate la cinghia dell’elmetto.
Leone – Si apre un periodo importante per le relazioni interpersonali. Di colpo il collega che avete sempre detestato vi diventa simpatico perché vi propone di comprare da lui sistemi di puntamento avanzati e uranio impoverito. Amore: lasciatela! Probabilmente è una spia russa.
Vergine – Dopo molte difficoltà, il quadro astrale migliora lentamente. Dovete però rivedere le vostre priorità: meglio un pezzo di ricambio di un F-35 che la rata dell’università del figlio. Salute: vi serve esercizio fisico, scavate una trincea
Bilancia – Con Mercurio in opposizione e la luna in aspetto sfavorevole, preparatevi a tempi difficili. Riempite la dispensa di scatolette e montate razzi terra-aria al paraurti della macchina.
Scorpione – Saturno nel segno porta a un ridisegno dei vostri bisogni. Rafforzate la frontiera est della Lituania finanziando una forza atomica europea. Amore: scegliete un partner a decollo verticale.
Sagittario – Venere potenzia la lucidità e aumenta l’ottimismo. Smettetela di preoccuparvi per quegli esami per cui siete in lista d’attesa da due anni e comprate bazooka per tutta la famiglia.
Capricorno – La luna nel segno consiglia nuove strategie finanziarie. Vendete i Bot e comprate subito azioni di software bellico. Amore: provate i proiettili a punta cava.
Acquario – Un certo nervosismo con i parenti farà emergere qualche screzio. Non capite perché vostro figlio diciottenne è così restio ad arruolarsi. Convincetelo leggendogli ad alta voce gli editoriali de Il Foglio.
Pesci– Sole e Mercurio favorevoli agli affari. Scoprite entusiasti una svendita di bombe a mano e approfittatene senza esitazione. Amore: i piccoli gesti contano, regalatele un drone esplosivo.