Latitanti a casa loro
DI MICHELE SERRA
Esiste una ricca casistica (anche satirica) di boss mafiosi che si nascondono “a casa loro”. Riina venne arrestato mentre usciva da un residence di Palermo, Provenzano nei pressi di Corleone. Non hanno avuto bisogno di una macchia, per darsi alla macchia, c’è un habitat sociale che li avvolge e li protegge, un bozzolo fatto di denaro (tanto denaro) e di rispetto. Come si possano rispettare assassini seriali, strozzini su scala industriale, narcotrafficanti, bigotti devoti ai Santi ma dediti all’oppressione e alla strage, è un mistero psicologico e culturale, ma è così che accade: qualcuno, in queste ore, sarà profondamente rattristato per la cattura del Capo (per la perdita del Padre) e anche se non ha spazio nei telegiornali, ne ha nella società siciliana e nella società italiana.
Per questa ragione la legittima contentezza per la cattura del boss andrebbe diluita nel mare della realtà.
Va bene che siamo la società dello spettacolo, ma al netto dello spettacolo una società esiste ugualmente, ed è quella che alla fine conta. La mafia si rigenera — e lo farà anche questa volta — perché si rigenera la sua ragione politica. Non solo l’arricchimento (quello può arrivare perfino per vie lecite), anche il familismo, la gerarchia patriarcale, l’odio per lo Stato e le sue leggi, il misconoscimento del principio di cittadinanza che ci rende tutti uguali, senza affiliazioni o apparentamenti.
O vince l’uguaglianza o vince la mafia, la sola idea che esistano “uomini di rispetto” e gli altri si debbano sottomettere è la negazione stessa della libertà. Ergo: la lotta alla mafia è una lotta politica.
Nessun commento:
Posta un commento