giovedì 12 gennaio 2023

Attorno a patologico

 

Il pd in eterna psicanalisi tra politichese e selfisti
DI DANIELA RANIERI
Seguiamo le vicende del Pd come si guarda la replica di una fiction di Rai1 del 2008 il mercoledì sera, quando l’alternativa sarebbe giocare a canasta col vicino 90enne o darsi all’alcol. Mentre scriviamo si sta tenendo la Direzione, da non confondersi con l’Assemblea, la quale differisce dal Congresso, al quale devono preparare le Primarie, per fare le quali serve cambiare lo Statuto, che però qualcuno – è questo il motivo del dibattere – non vuole cambiare.
Da settimane il popolo è tenuto col fiato sospeso sulla questione: primarie online, come vuole Schlein, o solo nei gazebo, come vuole Bonaccini? I giornali ci informano apprensivi che Letta è intervenuto (sebbene del Pd sia ancora formalmente il segretario, emerge ogni tanto, per pochi secondi e sempre tra le brume, come il mostro di Lock Ness) per dire che per farle online bisognerebbe cambiare lo Statuto, cosa riprovevole (ma Schlein, che non era del Pd, partecipa perché hanno modificato lo Statuto); mentre altri sostengono che basti una modifica regolamentare, e voi capite che tra i pendolari Domodossola-Arona-Milano e i carburatoristi del Tuscolano non si parla d’altro. Intanto si sprecano le idee per riconquistare le masse: togliamo la parola “partito”; no, togliamo “democratico” e mettiamo “del lavoro”; no, torniamo a sorridere, rinunciamo al politicamente corretto. E tutti i giornali di sistema vanno dietro a queste capziose fanfaluche come se fossero davvero questioni di vita o di morte o istanze urgenti in questa realtà a quattro dimensioni, in cui le bollette e la benzina esorbitano, la Sanità pubblica collassa e ci sono 6 milioni di poveri assoluti (più 1 tra 6 mesi grazie al taglio del Rdc deciso dal governo “vicino al popolo” che l’ha usato come un tesoretto per fare favori a ricchi, autonomi ed evasori).
Invidiamo la fede nell’invisibile che anima i votanti chiamati a decidere tra i favoriti Bonaccini e Schlein, due personaggi che incarnano brand differenti ma analoghi: lui amministratore locale di conquistata competenza (è bravissimo a chiedere fondi speciali per la sua Regione), selfista olimpionico sui social; lei, sua vice, dotata di un eloquio sloganistico e spaccasinapsi che a tratti fa pensare a una Renzi di sinistra, per quanto le cose che dice siano di generico buon senso, specie sulla transizione ecologica (ma allora perché non parla coi 5Stelle, criticando coraggiosamente la scelta di Letta?). Gli altri concorrenti: De Micheli, prima antirenziana, poi, appena nominata dal governo Renzi sottosegretaria all’Economia, renziana e fervente sostenitrice della Costituzione fiorentina. Il più politicamente strutturato e quindi sicuro perdente, Cuperlo, ha l’aria dell’erede di una casa in rovina che suggerisce gli stucchi più eleganti per il bovindo. Sentite Bonaccini: “Serve un’autonomia giusta che semplifichi la vita di cittadini e imprese, consenta di programmare meglio le risorse e realizzare investimenti in tempi rapidi”: cosa vuol dire? Nulla: lui dal 2018 è il richiedente dell’Autonomia differenziata insieme ai cosiddetti governatori leghisti di Veneto e Lombardia, e in quale mai diavolo di Paese il leader di un partito di centrosinistra lavora con gli avversari per fare una riforma che divide l’Italia tra Regioni ricche e povere, i cui cittadini godrebbero di diritti diversi, visto che non sono stati definiti i Livelli essenziali di prestazione? È per “non lasciare l’Autonomia alla Lega”, rispondono i furbi del Pd, una variante dell’idea vecchia di anni (cambia solo il complemento oggetto: “Non lasciamo la sicurezza/Monti/Draghi etc. alla destra”) che ha portato loro al 14% e i postfascisti al 31. Del resto la riforma del Titolo V l’ha fatta il centrosinistra, e si è visto quanto sia benefico il conflitto tra Stato e Regioni in tema di Sanità sotto una pandemia. Sentite Schlein: “Non è più il tempo di essere respingenti verso le energie più fresche attraverso meccanismi di cooptazioni correntizie”. Ma che lingua parlano? Dove pensano di andare con questo politichese da sezione spruzzato di parolette da millennial? Un partito che si è fatto scalare da uno come Renzi, che era il nulla fritto nella furbizia, e che voleva allearsi con Calenda, che poi li ha pure mollati, non ha ancora imparato la lezione? Mette malinconia vedere i dirigenti anziani schierarsi per questo o quella senza reale convinzione, solo per il potere, camerieri attempati che spacciano per prelibatezze quel che passa il convento. Dove sono i temi, le battaglie? Davvero pensano che alla gente importi qualcosa della loro psicanalisi correntizia? Il Pd ha perso il voto di operai, insegnanti, studenti, precari, pacifisti, poveri e disoccupati. Sarà stato a causa di Jobs Act, Buona Scuola, guerra al Rdc, “armi armi armi” e altre misure di destra varate per non lasciarle alla destra? Pagando solo due euro, alle primarie si potrà dire che è stato il populismo.

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