Per una riforma sul pop
DI MICHELE SERRA
Mi sto perdendo per intero, comprese le virgole, la colossale produzione mediatica sulla rottura tra il principe Harry, secondogenito della famiglia reale inglese, e i suoi cari. Vedo il nome, vedo la foto e salto a pie’ pari l’articolo. So che milioni di esseri umani si appassionano alla faccenda e non li biasimo — ho imparato negli anni a essere snob con gentilezza, quasi con cordialità. Ma sentirmi sgravato almeno da questa incombenza (occuparmi di Harry) mi dà un piccolo brivido di libertà.
L’Inghilterra è stata padrona del mondo, per talento predatorio e per valor militare, non lo è più da un bel pezzo e anche per sua scelta (Brexit e Boris Johnson passeranno alla storia come il suicidio di Yukio Mishima: mondi che decidono di scomparire). Sarebbe molto più pop, oltre che politicamente più appassionante, seguire le vicissitudini eventuali della dinastia saudita — ci sarà un secondogenito incazzato anche laggiù? — tra l’altro proprietaria di mezza Londra.
Sappiamo quasi niente dell’Africa, poco dell’Asia che è grande dieci volte l’Europa e cento volte l’isola a nord della Manica, come possiamo perdere ancora tempo attorno ai Windsor? La morte di Elisabetta non era forse l’ultima puntata della serie?
Il pop è una cosa importante. Va riformato drasticamente. Le vicende dei reali inglesi, ormai, valgono quanto quelle del casato di Monaco (a proposito: e Caroline? E Stephanie? Dateci notizie!). Vorrei appassionarmi, da vecchio, per qualcosa di nuovo. Concubine orientali? Vendette cinesi? Faide africane? L’Occidente ha stufato. Urge — anche su Netflix — una programmazione più esotica.
Sicuramente più vitale.
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