La solitudine dell’elettore Pd
DI MICHELE SERRA
Sebbene abbia una inevitabile dimestichezza con le cose della sinistra italiana (quasi vent’anni all’ Unità , venticinque alla Repubblica …) mi sfugge largamente il criterio con il quale parecchi esponenti del Pd, conosciuti e meno, si schierano attorno ai diversi candidati segretari.
Si legge di incalliti governisti, in giacca e cravatta dalla prima elementare, che appoggiano Schlein, e di irrequieti movimentisti che sostengono Bonaccini. Di correnti che si dissolvono perché voteranno sparpagliate, e chissà, dunque, che cosa diavolo le teneva insieme, fino a un minuto fa.
E si ha l’impressione che non sia un criterio politico decifrabile a orientare le scelte. Non una destra interna contro una sinistra interna, non una visione partitocentrica contro una visione “gentista”, o un’impostazione laburista contro una più vocata ai diritti personali.
Probabilmente è accaduto che, in un partito sempre più de-ideologizzato nel corso degli anni, le questioni personali (le amicizie, le inimicizie, le rivalità di potere) hanno inevitabilmente acquistato un peso esorbitante. Mettendo in second’ordine la politica, e scusate se è poco. Questo significa che chi avesse in mente di partecipare alle primarie del Pd — le persone bizzarre esistono, ne avete una davanti — dovrà aiutarsi da solo.
Darsi, in solitudine, un criterio politico comprensibile, o quasi, per scegliere una o un leader. Si tratta di un’opera di supplenza che gli elettori di sinistra conoscono da tempo: i partiti del Novecento davano la linea, ora hanno bisogno di qualcuno che la dia a loro.
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