Non ci fanno paura
di Marco Travaglio
Alle 19.36 del 7 gennaio 2017, un mese dopo aver perso referendum e governo e 13 mesi prima delle elezioni politiche, il segretario del Pd Matteo Renzi inoltra all’amico Marco Carrai un’email che gli ha inviato Fabrizio Rondolino, giornalista prima dalemiano poi berlusconiano infine renziano, nonché marito della produttrice tv Simona Ercolani, che mentre vince a man bassa appalti Rai, lavora pure lei alla sua campagna elettorale. Nel messaggio d’accompagnamento, Rondolino scrive a Renzi: “Eccoti un primo appunto sulla struttura di propaganda antigrillina che ho preparato con Simona in questi giorni… Ps. Se già non lo usi, ti consiglio questo sistema di posta criptata…”. Ed ecco il suo appunto che Renzi gira a Carrai, facendolo proprio senza prenderne minimamente le distanze: “Non dobbiamo controargomentare sulle loro proposte, dobbiamo distruggere chi le ha avanzate” con campagne “‘allusive’ e intrinsecamente diffamanti: a) i disastri delle amministrazioni grilline, da Roma al più piccolo dei comuni amministrati: scandali, dimissioni, inchieste giudiziarie”; “b) character assassination: notizie, indiscrezioni, rivelazioni mirate a distruggere la reputazione e l’immagine pubblica di Grillo, Di Maio, Di Battista, Fico, Taverna, Lombardi, Raggi, Appendino, Davide Casaleggio (e la sua società), Travaglio e Scanzi”.
Perciò “è necessario creare una piccola, combattiva redazione ad hoc, che lavori esclusivamente sul progetto nella massima riservatezza: vanno individuati almeno 2 giornalisti d’inchiesta e un investigatore privato di provata fiducia e professionalità (a costo medio-alto)” e “vanno coinvolti… gli ex grillini fuoriusciti o espulsi”. Raccolta la merda, per spararla nel ventilatore “va creato un sito specifico, non riconducibile al Pd né tantomeno a MR, da costruire su un server estero non sottoposto alla legislazione italiana, che raccoglie e pubblica tutto il materiale… da rilanciare poi sui social network (attraverso una rete di fake che agiscono su cluster specifici)” e far “riprendere dai media tradizionali” grazie a “una serie di interlocutori, nei giornali e nelle tv, con cui costruire un rapporto personale e fiduciario”. Interlocutori che non mancano: in altre email agli atti dell’inchiesta Open Renzi vanta un “accordo Agnoletti- Orfeo”, il primo suo portavoce e il secondo Ad e Dg della Rai (ora direttore del Tg3 in procinto di guidare con Fuortes la nuova Direzione Approfondimenti e talk), un “accordo con Brachino-Confalonieri” per Mediaset e vuole avvicinare il direttore di La7 Salerno. Il tutto per “conoscere le scalette” e dare “uno sguardo particolare su Gruber, Floris, Formigli, Giletti, Minoli”.
Sulle tv, il progetto collima con la Struttura Delta di B. in Rai; sui social, il sistema è la fotocopia della “Bestia” leghista, oggetto di strali anche dai renziani almeno fino al Patto dei 2 Matteo; sui quotidiani, a parte i pluricitati globetrotter Annalisa Chirico e Jacopo Iacoboni, c’era l’imbarazzo della scelta, visti i battaglioni di penne scatenate nella campagna elettorale pro Renzi e anti M5S senza bisogno di ordini. Nei mesi seguenti furono colpiti via via Grillo Fico, Raggi, Appendino, Taverna, Casaleggio, Di Maio, Di Battista.
Ora immaginate che accadrebbe se questo piano per “distruggere” e “diffamare” gli avversari politici con la “character assassination”, i “fake”, i dossieraggi di “investigatori privati” da “un server estero non sottoposto alla legislazione italiana”, usando vertici e appaltatori Rai e giornalisti da riporto, fosse uscito da un’email di Casaleggio o Casalino per ordine di Grillo o Conte: le piazze si riempirebbero di politici e supporter che invocano dimissioni e strillano al golpe populista, alla macchina del fango grillina; e rotolerebbero teste ovunque, dalla Rai all’Ordine dei giornalisti. Invece tutto tace. Anche fra i cacciatori di fake news russo-grilline che accusavano falsamente il M5S e la Casaleggio di fare ciò che invece fanno i loro amici renziani. Anche alla Rai, dove tutti sanno cosa facevano (e fanno) i renziani, occupando tutto l’occupabile e cacciando le poche voci stonate dal coro (Gabanelli, Giannini, Giletti).
Quanto a noi, pubblichiamo le carte di quest’indagine come di tutte le altre (su B., Salvini, Pd, Raggi ecc.). E siamo abituati a subire dossieraggi. Nel 2006, interrogato sullo scandalo della Security Telecom, il giornalista Guglielmo Sasinini confessò di aver redatto per il suo capo Luciano Tavaroli almeno 61 dossier su altrettanti personaggi ostili, incluso il sottoscritto. Nello stesso anno fu trovato l’archivio segreto del Sismi di Niccolò Pollari, con migliaia di schede compilate dal suo fido analista Pio Pompa, e anche lì, accanto a quelle di pm, politici e altri presunti nemici di B. da “disarticolare” con “azioni traumatiche”, ne saltò fuori una a mio nome. Figurarsi se oggi ci lasciamo impressionare o intimidire dai traffici dei renziani che volevano “distruggere” noi e han distrutto solo se stessi. Ci limitiamo a notare la perfetta continuità fra berlusconismo e renzismo, le due peggiori jatture che abbiano infestato la vita pubblica negli ultimi 30 anni. E ad augurarci che si estinguano al più presto, senza che nessuno osi più avvicinarli per accordarsi su governo, Quirinale e Rai. Continueranno a colpirci con i dossier? Finiranno come i Sasinini, i Pompa e i Rondolini: con un pugno di mosche. Non abbiamo nulla da nascondere, noi.
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