di Tomaso Montanari
Caravaggio per i milionari. E la politica sta a guardare
Ma davvero non avvertite una nota mostruosa nella notizia che ai ventimila uomini più ricchi del mondo (quanti criminali comuni, quanti ladri, quanti profittatori disumani tra di essi?) sia stata mandata una mail per avvertirli che il prossimo 18 gennaio andrà all’asta un Caravaggio per 471 milioni di euro (ma basterà a costoro offrirne 353 per aggiudicarselo)? Cifre e nome pronunciati con la stessa stolida voluttà con cui si snocciolano le cronache delle feste mondane, o degli scandali sessuali.
Va all’asta, è vero, un Caravaggio. L’unico suo dipinto su un muro: il soffitto del camerino dove il cardinal Francesco Maria Del Monte praticava l’alchimia. Siamo probabilmente nel 1599, alla vigilia della Cappella Contarelli: quando il Merisi si appresta ad uscire in pubblico, e tra le molte critiche che gli si fanno c’è quella di non intendere la prospettiva, di non saper collocare i corpi nello spazio. Ebbene, qua vediamo i suoi primi nudi monumentali in piedi: egli dispone Nettuno e Plutone come vicini molesti che, in un condominio affollato di una metropoli moderna, stiano prendendo il fresco, senza nessun riguardo alla decenza. Uomini nudi in piedi sul cornicione del piano di sopra. Al padre degli dei, poi, non basta l’aquila per coprirsi i genitali: quasi un rifacimento ironico del Padreterno dell’altro Michelangelo, sulla Volta Sistina.
Ma non c’è solo Caravaggio. C’è anche la strepitosa Aurora del Guercino che dà il nome al Casino che viene venduto, con le sue statue antiche e tante altre opere d’arte. Con questa pittura “temporalesca, maculata, bruscata” arrivano fin nel cuore del Barocco le inquietudini di Ferrara. Guercino fa dilagare la sua luce in tutta la sala, dove un’antichità romanticamente diruta introduce ad un cielo incendiato dal carro dell’Aurora, tirato da 2 cavalloni pezzati, caravaggescamente naturali. Sotto appare “una di quelle viste de’ giardini di Roma, figurandovi i soliti giochi d’acqua”: come se le pareti del casino scomparissero, e lo spettatore fosse direttamente nella villa che lo circonda. È in questo giardino, sotto un arco diroccato, che ancora per qualche istante dorme la Notte, tra pipistrelli, civette e putti assopiti.
È il cuore stesso di Roma che va all’asta. L’unico avanzo della villa più bella della città, e cioè del mondo: caduta, come moltissime altre, sotto i colpi della speculazione edilizia degli anni ’80 dell’ottocento. Roma capitale partì malissimo, finendo in mano a quella cricca di palazzinari che ancora oggi la controllano: e un Torlonia (stirpe di avvoltoi) la fece a pezzi per una società immobiliare che trasformava tutto in case. Nasceva il quartiere Ludovisi, con via Veneto al posto della Villa Ludovisi. Tra coloro che si ribellarono c’era Hermann Grimm: tedesco, storico dell’arte, figlio di uno dei fratelli filologi e grandi favolisti, noti a tutti per aver scritto Hansel e Gretel, o Biancaneve. Nel suo libro (La distruzione di Roma, 1886) Grimm fa notare che tutto questo è avvenuto contro le leggi – come al solito. “Di pubblica necessità – scrive – non se ne discorre neppure, quello che può aver dato l’impulso a tale opera è soltanto la circostanza che la villa è situata in un luogo ove il suolo oggi è così caro da far intascare a casa Ludovisi i milioni che desiderava”. “Ciò che specialmente fa paura – concludeva –, nel moderno mutamento di sistema, è l’improvviso drizzone verso il mostruoso: è proprio dei nostri nuovi tempi che quando ci sia realmente da guadagnare milioni in un batter d’occhio le condizioni mutino e si passa ogni misura senza che, e anche questo è un segno del tempo, nessuno ci veda niente di straordinario o che apparisca anche possibile il porvi riparo”. L’improvviso drizzone verso il mostruoso: proprio come oggi.
E così tutto questo morì, e Gabriele D’Annunzio fece camminare Andrea Sperelli e Elena Muti, i due amanti del Piacere, nei giardini della “Villa Ludovisi un po’ selvaggia profumata di viole, ove in quel tempo i platani d’oriente i cipressi dell’aurora che parvero immortali rabbrividivano nel presentimento del mercato e della morte”. Il mercato e la morte: ancora e sempre padroni della scena.
Oggi, di fronte alla calata di qualche miliardario saudita o russo, si leverà un fronte di protesta, di lotta? Se ci sarà, ciò che dovrebbe propugnare è molto semplice: contestare la stima assurda e vergognosa partorita da un professore disposto a valutare quei dipinti come se fossero tele libere da ogni vincolo, già disponibili sul mercato di Londra. Sono invece beni vincolati, e inamovibili: che dovranno continuare ad essere visitabili. E dunque non valgono affatto quelle cifre astronomiche. Ma altre e diverse, più umane, che lo Stato può (e deve) stabilire, e poi corrispondere a questi eredi senza gloria, assicurando questo pezzo straordinario di Roma al godimento pubblico.Per prelazione, con un esproprio: o come vuole. Purché lo faccia, perché il contrario non sarebbe nemmeno immaginabile.
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