La lunga morte
di Mattia Feltri
Commentando la vicenda del tetraplegico marchigiano cui è stato concesso il suicidio assistito, Eugenia Roccella, donna per cui provo affetto e stima, ha individuato l'obiettivo culturale: distruggere l'idea di intangibilità della vita. Mi è subito venuta in mente una frase da me appena letta, e scritta da Seneca duemila anni fa in una lettera all'amico Lucilio: impara a morire anziché a uccidere. L'intangibilità della vita, credo, sta tutta in quella frase, perché intangibile è la vita che non ci appartiene, cioè la vita altrui. Ma qui la distanza fra chi crede e chi non crede si fa irrimediabile. Chi crede in Dio sa che nemmeno la vita propria gli appartiene, lo ha detto con schiettezza a questo giornale monsignor Suetta, non appartiene né alla società né al singolo, appartiene a Dio ed è Dio a sapere quando comincia e quando finisce (spero di non aver proposto una sintesi troppo dozzinale). Ma chi non crede in Dio crede nella somma libertà di disporre della propria vita. E ho sempre trovato disastrosamente paradossale che chiunque – abbia un rapporto con Dio o no – possa disporre della sua vita finché dispone del suo corpo, ma se non dispone del suo corpo, come il tetraplegico marchigiano, gli è impedito anche di disporre della sua vita. Poiché non c'è un Dio nel mio cuore, mi consolo con le parole di Seneca, per il quale abbiamo una ragione di non lamentarci della vita: non trattiene nessuno, e il saggio vive quanto deve non quanto può. Bisogna imparare a morire, diceva, perché in certi casi prolungare la vita significa prolungare la morte. Prolungare la morte a chi non può darsela, questo mi sembra disumano.
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