giovedì 20 novembre 2025

L'Amaca

 

L’ideologia e la grammatica
di Michele Serra
È totalmente inutile cercare di far notare alla presidente del Consiglio Meloni suoi eventuali errori, perché quanto a presunzione di infallibilità fa impallidire il più narciso dei maschi; e almeno in questo senso può ben vantare la raggiunta parità di genere.
Ma quanto detto in un comizio ad altissima voce (uno dei suoi infiniti comizi ad altissima voce, perché Meloni non discute, non risponde, non si esprime argomentando: comiziare a volume alto è la sua sola maniera di esprimersi in pubblico), quanto detto, dicevamo, merita una risposta che lei non terrà in alcun conto; ma noi sì, ed è quanto ci basta.
“Parità non vuol dire chiamarsi presidenta”, ha detto scimmiottando il politicamente corretto. Peccato che nessuno abbia mai preteso di chiamarla “presidenta”, non essendo così cretini, così caricaturali, le sue oppositrici e i suoi oppositori. Le è semplicemente stato detto da molte e da molti, ai tempi, che farsi chiamare “il presidente del Consiglio” è un errore di grammatica che nemmeno la più disinvolta delle forzature politiche può consentire. Presidente è participio presente tal quale reggente, partecipante, assistente, eccetera. Si dirà dunque il o la reggente, il o la partecipante, lo o la assistente (con elisione della vocale), il o la presidente, a seconda che sia maschio o femmina la persona in questione.
Altro da dire non c’è, se non che una donna che pretende di farsi chiamare il presidente ha deciso di deviare dalle regole della lingua italiana per ragioni ideologiche: ed è precisamente quanto le destre rimproverano alla cultura woke, stortare la realtà per adattarla al proprio sentimento.

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