Lavorare sotto schiaffo
di Michele Serra
Come tutte le persone (poche) che, vivendo nel calcio, si ribellano alla prepotenza degli ultras, il citì degli azzurri Rino Gattuso merita solidarietà e simpatia. Gli ultras non sono genericamente “pubblico”, ovvero singole persone che hanno il diritto di fischiare o di applaudire, di gradire o non gradire lo spettacolo. Sono bande organizzate, composte nella quasi totalità da maschi adulti, quando non armate perlomeno manesche e comunque militarizzate per mentalità e atteggiamento, che pretendono di esercitare un controllo non richiesto sulle attività della squadra cosiddetta “del cuore”.
Fanno pressioni pro e contro gli allenatori, pro e contro le campagne acquisti e i giocatori, e le società di calcio sono così imbelli, impaurite o distratte che quasi sempre subiscono questo controllo ingombrante e invadente senza denunciarne l’evidente violenza. Bene che vada (proprio come fanno i politici) si accodano alla magistratura approfittando di qualche inchiesta che incastra i boss delle curve, e solo allora osano prendere qualche misura contro i bulli.
La Nazionale, fino a poco tempo fa immune dal fenomeno (ha il vantaggio di non essere legata a un territorio, a una città), da un po’ di tempo ha sul groppone poche centinaia di esagitati, di estrema destra come la grande maggioranza dei capi ultras, che trattano la maglia azzurra come “cosa loro”.
Non per caso, nelle contestazioni durante la partita in Moldova, gli ultras minacciavano di «venire a Coverciano», che è il luogo fisico degli allenamenti della Nazionale. Un modo per territorializzare anche la Nazionale in modo da poterla “controllare” fisicamente, proprio come fanno gli ultras locali con le squadre di club. A Gattuso non garba lavorare sotto ricatto o sotto minaccia, e ha fatto benissimo a ribellarsi.
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