Problemi di traduzione
di Michele Serra
Non si sa se definirlo eccesso di sicurezza o stupidità (due concetti che spesso si toccano). Ma la faccenda del "piano Trump" per l'Ucraina che potrebbe sembrare o addirittura essere stato scritto in russo e poi tradotto un poco alla carlona dagli americani; e così goffamente presentato ai suoi (e al mondo) dal ministro degli Esteri Rubio, che l'ispirazione putiniana di quel piano ne esce rafforzata: è al tempo stesso una cosa da ridere e da piangere.
Va bene che gli americani, in politica estera, non hanno mai avuto fama di essere avveduti o astuti: sono certi di non averne bisogno, male che vada si manda qualche portaerei e si incarica la Cia di rovesciare il governo che intralcia. Ma qui sarebbero bastati, per non farsi scoprire, un buon traduttore dal russo; qualche sapiente ritocco a mo' di maquillage per far sembrare — almeno sembrare — che quel piano, come tutti i piani di pace, punti a un minimo di equanimità di facciata; e una riunione di un'oretta (bene anche su Zoom o Teams) per mettersi d'accordo su cosa dire in pubblico: lo chiamiamo "piano americano" o diciamo che è la lista delle priorità dei russi?
Niente di tutto questo, come se non ci fosse più nessuna forma da salvare, nessuno scrupolo da osservare. Fare e dire la prima cosa che salta in mente — fosse anche una fesseria o una volgarità — è la regola di Trump, e in genere è la qualità che il populismo esalta nei suoi boss. Lo ha ribadito la portavoce di Trump dopo che il presidente ha definito «porcellina» una giornalista che lo importunava con le sue domande. Si sa che il presidente è molto schietto, ha detto. Ma non è dimostrato che la schiettezza generi intelligenza.
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