mercoledì 28 maggio 2025

Robecchi

 

Gaza. Quando è Marzabotto ogni giorno, le coscienze si svegliano tardi
DI ALESSANDRO ROBECCHI
A Gaza è Marzabotto tutti i giorni. Ogni giorno – ogni giorno – da 20 mesi ci alziamo alla mattina e sentiamo di un nuovo massacro. Donne e bambini, soprattutto. I medici internazionali (ancora) in servizio a Gaza parlano tutti di cadaveri di piccoli palestinesi colpiti con colpi singoli alla testa o al collo. I bombardamenti avvengono di preferenza in zone indicate ai profughi come sicure: li ammassano per ammazzarli meglio. Scuole che fanno da rifugio vengono incendiate. Gli ospedali vengono colpiti. Le storie singole spuntano ogni tanto dalla mattanza generale, si prendono un titolo, poi si inabissano, si confondono.
Anche Auschwitz era pieno di storie singole, affogate nell’orrore collettivo. La fame gestita dall’esercito di invasione e di sterminio è usata come un’arma di guerra, dove non arriveranno le bombe incendiarie arriveranno gli stenti e le malattie. Non c’è acqua, non c’è corrente elettrica, non c’è benzina, le ambulanze e i soccorritori vengono deliberatamente assassinati dall’esercito israeliano. I carnefici sul campo si vantano sui social delle loro imprese criminali, i carnefici della politica, a Tel Aviv, rivendicano le loro decisioni genocide, spingono per la fame e per il massacro, per la deportazione di un intero popolo e per il suo sterminio. Sono cose note da un anno e mezzo, cose che si fingeva di non vedere.
Per 20 lunghissimi mesi, qui – qui in Italia – ha trionfato una neo-lingua schifosa e negazionista, quella per cui i palestinesi, misteriosamente, “morivano”, a volte addirittura “uccisi dalla guerra”, come se un genocidio fosse una specie di incidente stradale. Le stragi quotidiane finivano in un trafiletto nascosto, o nelle ultime righe degli articoli, con un penoso trucco giornalistico: “Intanto a Gaza…”. Nel frattempo, la grandissima parte dell’informazione compiva il suo ruolo di appoggio logistico: prima negando (“sono cifre di Hamas…”), poi minimizzando e giustificando (“un incidente…”), poi fingendo di credere alle incredibili spiegazioni dei massacratori (Israele, davanti ai fatti che non riesce a nascondere, dice spesso “Apriremo un’inchiesta”). Chiunque possa raccontare ciò che succede nel campo di sterminio di Gaza viene ucciso: oltre 220 giornalisti sono stati assassinati a Gaza per mano dell’esercito dello sterminio.
Solo una piccola parte della società italiana si è ribellata a questo stato di cose. Lo ha fatto rischiando quotidianamente accuse assurde e infamanti. Ora è chiaro e lampante: accusare di “antisemitismo” chi si opponeva al massacro di 20.000 bambini era un’arma miserabile, e oggi quello scudo non funziona più, la strumentalità dell’accusa ha polverizzato ogni briciolo di credibilità.
Da qualche giorno, di colpo, i distratti, i colpevoli fiancheggiatori, i simpatizzanti e i negazionisti del genocidio si sono risvegliati, abbondano i riposizionamenti, i risvegli tardivi, si spezzano i silenzi carichi di complicità. Uno degli argomenti più gettonati e più grotteschi è che “Israele così si fa male”. Che è un po’ come andare dalle SS nel ’44, dopo Marzabotto, e dire: “Ehi, ragazzi, state esagerando, così vi fate male da soli”. Chi oggi – bontà sua – chiede la fine del genocidio con 20 mesi di ritardo tenta vergognosamente di ristrutturarsi la coscienza. Quelli che lo hanno sempre detto, censurati, scherniti, infamati, ricorderanno con un certo ribrezzo chi diceva cosa prima e chi dice cosa adesso. Troppo poco, troppo tardi.
Intanto, a Gaza, muoiono, anche oggi, anche domani, ci sarà una nuova Marzabotto.

Nessun commento:

Posta un commento