Quando Tolstoj sulla guerra 100 anni fa disse: “Ricredetevi!”
DI TOMASO MONTANARI
“Ricredetevi!”. È tutto nel titolo il significato di questo piccolo capolavoro, risalente al 1904, dell’autore di Guerra e pace: e anche il senso del ripubblicarlo oggi, dopo oltre cento anni e durante un’altra guerra russa, la guerra di aggressione nazionalista e imperialista con la quale il presidente Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina. In una delle prime versioni dell’articolo, il titolo era accompagnato, perché se ne intendesse meglio il messaggio, dal suo archetipo greco (metanoite!) e da una citazione dal Vangelo di Luca (13,3) in cui quell’imperativo è usato in modo perentorio: “Se non vi ricrederete, perirete tutti!”. Ricredersi, ravvedersi, convertirsi: la metanoia è un “profondo mutamento nel modo di pensare, di sentire, di giudicare le cose” (così il Dizionario Treccani).
Ma su cos’è che Tolstoj ci supplica di ricrederci? “Ho voglia di scrivere – annotava nel diario iniziando questo testo – del fatto che quando avviene una cosa tanto terribile, com’è appunto la guerra, tutti fanno centinaia di considerazioni sui più svariati significati ed effetti della guerra, ma nessuno fa alcuna considerazione su sé medesimo: su quel che lui, io, dobbiamo fare in rapporto alla guerra”. È impressionante l’aderenza di queste parole a quanto stiamo vivendo oggi, nel 2022. Dimostrando una straordinaria mancanza sia di lucidità che di senso morale, la grande maggioranza di coloro che partecipano al discorso pubblico italiano non si interroga su quel che dovremmo pensare e fare noi, che siamo (per ora) al sicuro dalla guerra, ma tende invece a identificarsi (naturalmente solo a parole) con chi combatte in Ucraina. Questo transfert ha due conseguenze, pessime: la prima è che l’opinione pubblica occidentale viene calata nel ruolo di chi combatte, non di chi potrebbe fermare la guerra; la seconda è che il veleno osceno della guerra entra nei nostri pensieri e nei nostri discorsi. (…)
Tolstoj coglie proprio questo: con la sua impareggiabile forza di scrittore descrive l’improvviso furore che, quando, “a un tratto, scoppia la guerra”, stravolge anche le menti dei miti, dei colti, degli illuminati che cessano di teorizzare l’irragionevolezza di ogni guerra, e si tuffano come invasati nella retorica del sangue, della bella morte, dell’eroismo, “e non volgono i loro pensieri, le loro parole e i loro scritti che ai mezzi di uccidere gli uomini”. Comunque vada a finire, ammesso e non concesso che sopravviviamo, ci aspetta una regressione “primordialista”: non sarà facile estirpare tutta questa violenza primitiva, tornata tra noi come se una cultura millenaria non fosse mai stata (e anche su questo medita Tolstoj). (…) Tolstoj descrive in pagine di rara efficacia il bestiale entusiasmo per la guerra che coinvolge tutto l’establishment russo: dai filosofi ai giornalisti, dalla chiesa allo stesso imperatore. E se da una parte vediamo quanto poco sia cambiata la Russia, ancora e sempre zarista nonostante la “parentesi” sovietica (nella quale peraltro le dinamiche di potere restarono del tutto inalterate), dall’altra sentiamo come questa denuncia riguardi anche noi (gli intellettuali, i giornalisti, i cristiani e i capi dell’Occidente) e i nostri famosi valori, per i quali siamo dispostissimi a mandare al macello la povera gente che perde comunque, in tutte le guerre. (…)
Tolstoj smonta pezzo per pezzo la retorica bellicista, ricordando che i veri eroi non sono quelli “che si onorano ora, perché volendo uccidere altri non sono stati essi stessi uccisi” ma quelli che “si sono rifiutati di entrare nelle fila degli assassini”. (…) L’invocazione è alla coscienza individuale: se ognuno di noi davvero rifiutasse la guerra, i governi e i dittatori non potrebbero più farla.
(dall’introduzione al volume “Ricredetevi! Contro la guerra russo-giapponese” di Lev Tolstoj, edizioni GruppoAbele)
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