venerdì 8 luglio 2022

Padellaro

 

l “Dragexit” e la scommessa del capo 5S
di Antonio Padellaro
Boris Johnson che accusa il “gregge di Westminster” di essersi frapposto tra lui e i fulgidi destini di Downing Street ammette che è in atto la rivincita del parlamentarismo nei confronti del decisionismo borioso, e di esserne stato travolto. Infatti, un altro uomo solo al comando come Emmanuel Macron lo è molto di meno dopo che la sua ex Union sacrée gli si è ristretta, ora compressa tra la destra lepeniana e la sinistra di Mélenchon. Anche Mario Draghi non se la passa troppo bene dopo che, udite udite, Giuseppe Conte ha osato porre al premier dei Migliori un elenco di priorità che riguardano la pura sopravvivenza materiale di una larga parte del paese. Sommovimenti della democrazia rappresentativa su cui la cosiddetta grande stampa preferisce non intrattenersi troppo, forse perché le palesi difficoltà di Londra, Parigi e Roma, usbergo dei valori occidentali, mettono di buon umore il macellaio di Mosca, e questo non sta bene. Mentre nei tristi talk serali si esercita lo sport preferito dei fancazzisti tre palle un soldo: il dileggio nei confronti del presidente 5Stelle, colpevole del reato di pochette (che palle!) e di aver consegnato a Draghi un elenco di richieste, per esempio su reddito di cittadinanza, salario minimo, sostegno a famiglie e imprese di cui loro signori spaparanzati fanno tranquillamente a meno, e dunque chissenefrega. Conte non può invece fare a meno degli elettori superstiti che nelle decisioni da prendere pesano molto più dei gruppi parlamentari, dove si freme per la rottura immediata, o dei famosi “militanti” che non si sa neppure quanti siano.
Ci sono ancora dai tre ai quattro milioni di potenziali votanti (per restare ai sondaggi che fissano al 10% il punto di caduta grillina dopo la scissione di Di Maio) di cui non si parla mai, dove convivono opinioni diverse sul governo Draghi ma che pretendono solidi argomenti per sbattere la porta e non crisi di nervi. Vedremo già ad agosto se per Conte prevarranno le ragioni del leave e se sarà dunque Dragexit. “La verità è che poco cambierebbe” sostiene il Foglio, dando voce a chi nel Pd giudica il campo largo ormai un camposanto. Può darsi, ma in quel caso toccherebbe a Draghi scegliere tra l’essere ricordato come una persona che tiene fede alla parola data (“non governerò con altre maggioranze”) o come il gestore di un governicchio balneare.

Nessun commento:

Posta un commento