mercoledì 18 giugno 2025

Solito metodo

 



Verità nascoste

 



Altan

 



Natangelo

 



Interessantissssssimo!

 

Israele senza difesa solo il 7 ottobre
DI PINO CORRIAS
In questi mesi di bombe, spie, cercapersone esplosi a chilometri di distanza, radar, scienziati ammazzati in Iran, scudo anti-missile, jet sui siti nucleari di Teheran, l’unico “buco” è stato quello
Dunque Israele sa tutto, vede tutto, colpisce dove, come e quando vuole. Ha infiltrati e bombarda a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Siria, nello Yemen. Naturalmente in Iran, dove i suoi commando e le sue spie hanno violato tutti i segreti utili per decapitare i vertici dell’esercito e dei pasdaran nella prima ora degli attacchi, assassinare i capi degli 007 e gli scienziati nucleari, colpendoli direttamente nei loro appartamenti ultra segreti, ultra protetti.
La sola cosa di cui Israele non sapeva nulla di nulla è stato l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Possibile? Tutto sapeva (prima e dopo) tranne quello che sarebbe accaduto il giorno destinato ad aprire le porte dell’inferno per i 1200 israeliani uccisi e per i 251 rapiti, tutti destinati a essere sepolti vivi nei tunnel di Gaza, in attesa di una trattativa estenuante che li ha decimati in questi 20 mesi, destinando la gran parte di loro a una morte lenta e dolorosa. Nulla di nulla sapeva della spettacolare e atroce azione dei guerriglieri di Hamas che in una manciata di ore di quel 7 ottobre 2023 hanno accelerato nel sangue la storia dell’intero Medio Oriente, consentendo al governo di Netanyahu di incoronare il suo sogno politico-militare di egemonia combattente su Gaza, sui Territori, il Libano, lo Yemen, la Siria, l’Iran. E insieme di avviare il più grande massacro di palestinesi della storia recente, di ridurre l’intera Striscia di Gaza a un ammasso di macerie, di stringerla d’assedio e ora schiacciarla con l’arma della fame, della sete, delle malattie, dopo 60 mila morti sbriciolati dai bombardamenti, almeno il doppio dei feriti, dei mutilati, dei dispersi. Una guerra di sterminio con le spalle coperte dal silenzio assenso di quasi tutti i governi occidentali, intransigenti con Putin, morbidissimi con gli attacchi armati di Gerusalemme che, mentre oggi bombarda Teheran, punta all’occupazione definitiva della Cisgiordania e alla soluzione finale per i palestinesi con il completo sgombero di Gaza. Possibile che controllando ogni metro quadrato, ogni centimetro di Gaza, compresa l’energia elettrica, l’acqua potabile, i telefoni e i collegamenti Internet della Striscia, i servizi di sicurezza di Israele non sapessero nulla un anno, un mese, un istante prima dell’attacco del 7 ottobre? Da anni Israele ha i satelliti che inquadrano Gaza dal confine Sud con l’Egitto al confine Nord con il Libano. Ha i droni che la sorvolano 24 ore su 24, registrando ogni movimento sospetto. Ha telecamere lungo tutti i 56 chilometri di confine. E navi spia davanti alla costa. Dispone delle tecnologie del riconoscimento facciale e quello dell’intelligenza artificiale che controlla gli spostamenti dei sospetti, fino a predire l’imminenza di un pericolo. Senza contare le centinaia di infiltrati, agenti doppi, spie, informatori, che vivono da sempre dentro la Striscia, mischiati ai residenti. Che sfruttano la concorrenza talvolta spietata tra i differenti gruppi della resistenza palestinese in lotta tra loro per l’egemonia politica dopo il declino di Al Fatah e la sconfitta politica dell’Autorità palestinese di Abu Mazen, a suo tempo fomentata e festeggiata da Netanyahu. 

Non basta. Israele ha il controllo dell’intera area geopolitica grazie alla ferrea alleanza con gli apparati militari americani, britannici, occidentali, che insieme dispongono della sorveglianza pressoché totale sui Paesi Arabi, i pozzi di petrolio, le strutture militari, in grado di registrare milioni di spostamenti di uomini e donne, milioni di telefonate, milioni di conversazioni intercettate, analizzate, archiviate nei dossier dell’Intelligence. Eppure nessuno dei mille occhi elettronici si era accorto che da almeno un anno Hamas preparava l’assalto del 7 ottobre con addestramenti continui, centinaia di miliziani pronti all’azione, pick-up modificati e blindati, ruspe per sfondare le barriere di filo spinato. Motociclette per i commando. Addirittura guerriglieri che si erano allenati per mesi a volare con il parapendio per piombare all’improvviso sugli inermi israeliani che abitavano nei kibbutz. Trovando sguarniti molti chilometri di confine che sono stati violati in almeno 119 punti da almeno 7 mila combattenti, secondo le ricostruzioni fatte nei mesi successivi dalle stesse autorità israeliane. Ma se un minuto prima il Mossad non sapeva nulla, abbiamo scoperto che un minuto dopo il massacro sapeva già tutto. Gli ufficiali dell’Idf, l’esercito israeliano, conoscevano i 400 chilometri di tunnel scavati da Hamas, perfezionati con il cemento armato che pure veniva controllato da Israele, pagato con i soldi che dalle banche del Qatar affluivano nelle casse di Hamas, anche quelle sotto il controllo di molti servizi segreti, Mossad compreso. 

Abbiamo scoperto che le unità israeliane, penetrate dentro la Striscia con migliaia di unità, carri armati, artiglieria, conoscevano gli indirizzi dei leader di Hamas, uccisi uno a uno, conoscevano i luoghi di comando e controllo, distrutti uno a uno, conoscevano i depositi di armi, missili, esplosivo. Gli erano sfuggiti i 7 mila uomini entrati in Israele per uccidere, ma erano in grado di selezionare e uccidere più di 200 giornalisti, fotografi, freelance, che hanno provato a raccontare lo sterminio in questi 20 mesi di bombardamenti. Conoscevano i Pronto soccorso e gli ospedali da distruggere. I medici da uccidere. Le ambulanze da distruggere. Insieme con le biblioteche, le università, gli impianti per rendere potabile l’acqua salata e i generatori per l’energia elettrica. Lo scorso settembre il Mossad ha fatto esplodere centinaia di walkie-talkie e cercapersone tra le mani dei militanti di Hezbollah in Libano e in Siria, uccidendone almeno una trentina, rivelando un’operazione che preparava dal 2022. La scorsa settimana un alto ufficiale israeliano, commentando la blitzkrieg preventiva contro Teheran, ha detto: “Quello che abbiamo fatto a Hezbollah in dieci giorni, lo abbiamo fatto all’Iran in dieci minuti”. E dunque? Il governo di Israele sa tutto quello che succede ovunque, compreso in Iran, nei siti nucleari tra le montagne e ancora di più tra i palazzi del potere sciita di Teheran, distante 1897 chilometri da Tel Aviv. Ma ignorava, fino al fatidico 7 ottobre, l’enorme assalto che si stava preparando a Gaza City, 77 chilometri in linea d’aria dalla Spianata delle Moschee di Gerusalemme. Possibile? Plausibile?

Penna tra balordi

 

Comandano loro
DI MARCO TRAVAGLIO
Oltre alla personalità criminale di Netanyahu, l’attacco impunito di Israele all’Iran in base a fake news degne delle armi di distruzione di massa di Saddam rivela quanto è potente il Partito Unico della Guerra (Pug): la piovra trasversale che controlla il mondo e riesce persino a piegare il braccio del presunto “uomo più potente del pianeta”, che evidentemente non lo è. Il Pug, che ingrassa sui conflitti presenti e futuri, s’è messo subito all’opera dopo la vittoria di Trump, ingenuamente convinto di chiudere quelli in Ucraina e Medio Oriente schioccando le dita fra una lusinga e una minaccia. Che Trump fosse sincero lo dimostra il fatto che ci ha provato in ogni modo, avviando negoziati là dove parlavano solo le armi. Poi il suo dilettantismo e il caos cacofonico dei suoi troppi negoziatori hanno fatto il gioco del Pug ben infiltrato nel deep state Usa e nelle cancellerie Ue, che si sono saldate a Netanyahu e Zelensky, due leader sconfitti e disperati, perciò pronti a tutto pur di non perdere il potere: anche a tirare Trump per i capelli in guerre sempre più mondiali, mettendo vieppiù in pericolo i loro popoli e il mondo.
Quando Zelensky ha attaccato la triade nucleare russa, sperando invano in una reazione furibonda di Putin che trascinasse gli Usa nella guerra diretta, Trump l’ha scaricato. Ma quando Netanyahu l’ha messo dinanzi al fatto compiuto della guerra all’Iran prima del nuovo round negoziale, ha preferito intestarsi banditescamente un’operazione non sua pur di non apparire scavalcato. Così, per non sembrare debole, è diventato debolissimo e il terrorista Bibi lo tira sempre più dentro la sua guerra privata senza strategia. L’esultanza dei media mainstream per i negoziati trumpiani sinora falliti è il sospiro di sollievo del Partito della Guerra, camuffato da europeismo democratico: c’è persino chi rimpiange Biden & Harris, come se non governassero loro nei primi 15 mesi di sterminio a Gaza e di attacchi a Cisgiordania, Libano, Yemen, Iraq, Siria e Iran (il 1° aprile 2024, in piena età dell’oro bideniana, Israele rase al suolo il consolato iraniano a Damasco uccidendo 16 persone e provocando la rappresaglia, peraltro contenuta, degli ayatollah). È lo stesso ghigno sfoderato dal neocon superstite Bill Kristol, intervistato da Rep, che spera nel tramonto del sogno trumpiano di “non essere un presidente di guerra, ma di accordo” e se la ride perché “la visione neocon resta abbastanza forte” e “sta tornando anche in Europa: dieci anni fa la Germania pensava di aprire un gasdotto con la Russia, adesso si sta riarmando e sta aiutando l’Ucraina”. Ieri il cancelliere Merz ha detto che “Israele in Iran fa il lavoro sporco per tutti noi”. Noi aspettiamo sempre qualcuno che gli dica: “Parla per te, stronzo”.

L'Amaca

 

Purtroppo ci dicono tutto
di MICHELE SERRA
Non ci dicono mai niente” è il mantra mezzo piagnucoloso mezzo irato dei complottisti. Significa che il potere (oscuro e malvagio per sua natura) ci tiene nascosto lo stato delle cose. Per fare i suoi porci comodi nell’ombra e nel silenzio, e a nostra insaputa.
Non vorrei che stesse arrivando — rimedio peggiore del male — l’epoca del “ci dicono tutto, non ci tengono nascosto più niente”.
Nei rapporti tra i potenti del mondo (ultimo esempio il G7 in corso in Canada) non c’è scambio di battute, frase cordiale, scazzo improvviso che ci venga risparmiato, spesso con un tweet, come nelle chat tra compagni di scuola. Quello che se ne va irritato, l’altro che non gradisce, le asprezze reciproche, i momenti imbarazzanti, le porte che sbattono, le illazioni malevole dell’uno sull’altro: tutto accade in favore di pubblico, e quasi sempre sono gli stessi protagonisti a darne conto con coloriti dispacci sui social.
Nei tempi andati accorte e silenziose trattative diplomatiche preparavano, come sola concessione al pubblico, la foto ufficiale di governanti e ministri che si stringono la mano a cose fatte, e dopo avere lavato i panni sporchi nelle segrete stanze. Ora che tutto viene spiattellato minuto per minuto, il rischio è che la sola cosa che non cambia sia il sentimento di impotenza di chi aspetta, fuori dalla porta, di sapere che cosa hanno deciso i potenti mentre il mondo trema. Prima ci si sentiva impotenti perché esclusi e all’oscuro, ora perché chi è dentro il Palazzo fa di tutto per perdere autorevolezza e screditare se stesso. La comunicazione social di Trump, per esempio, è molto peggiore di quella di Totti e Ilary ai tempi della separazione.

Grande mediatore

 




Chissà che crasse risate si saranno fatti! 

Avran pensato che anche il lattaio s’interessa di strategia politica!

martedì 17 giugno 2025

Sette nani



In apparenza parrebbero sette nani, nani della politica, anzi, della Politica, nani delle sinergie sociali, della condivisione delle risorse, nani ottusi nella visione del futuro, nani delle politiche giovanili, nani nella ridistribuzione delle ricchezze, nani riguardo alla giustizia tra le nazioni, un tempo diretta dall’Onu, divenuto oramai circo internazionale. 
A guardar bene invece sono dei giganti: giganti nel sopruso, nella sopraffazione, nel difendere sempre il vero stato canaglia spacciato per democratico - di ‘sta fava - di cui prendono sempre, pure durante questa pagliacciata spacciata per G7, le parti, rendendo legalizzato il sopruso, l’aggressione, il genocidio, la detenzione non autorizzata di armi atomiche. E questo solo in nome e per conto del Profitto, il loro Dio, la loro vera missione. Non potrà durare ancora per molto questa insulsa ed insana sceneggiata. Anche la Nemesi, a lungo andare, interverrà portando dolori e rivalse che scacceranno dal tempio questi imbranati mercanti del nulla.

Tranquilli, se ne vanno!

 



Pensieri

 


Natangelo

 



Controtendenza

 

L’aggressore buono
DI MARCO TRAVAGLIO
Da venerdì Israele bombarda l’Iran facendo 224 morti e 1300 feriti in tre giorni perché – secondo l’Aiea dell’Onu, che in Israele non può mettere piede mentre conta pure i peli delle barbe degli ayatollah – violerebbe il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) – che Israele non riconosce – per costruirsi forse qualche testata nucleare che non ha, mentre Israele ne ha a bizzeffe: quante non si sa perché non aderisce al Tnp, non riconosce l’Aiea e il suo premier considera l’Onu una “palude antisemita” e le sue risoluzioni carta da cesso. Per un attimo abbiamo temuto che, in omaggio alla regola aurea aggressore/aggredito, Nato e Ue riempissero l’aggressore di sanzioni e l’aggredito di armi, senza escludere l’invio di truppe volenterose all’Iran dagli avanguardisti Starmer, Macron, Merz e Tusk fino alla sconfitta definitiva dell’infame aggressore macellaio assassino. Invece le peggiori sanzioni sono le nuove armi inviate da Starmer e Macron all’aggressore per aiutarlo a “difendersi” dall’aggredito. E ieri il Parlamento europeo, sempre sul pezzo, ha votato un nuovo “regolamento in materia di benessere di cani e gatti e loro tracciabilità”. Così Augias e Benigni andranno ancor più fieri della nostra bella Europa. Intanto i giornaloni pubblicano paginate di “storie e volti delle vittime”: tutte israeliane però (gli iraniani sono come i cinesi: non muoiono mai). E Polito el Drito denuncia sul Corriere la doppia morale sulle due guerre, ma per dire che tutti assolvono Putin e condannano Netanyahu, mentre è l’opposto: tipico caso di doppia morale sulla doppia morale. Così il genio non si accorge che l’amato Occidente, spalleggiando l’amico aggressore contro il nemico aggredito dopo i silenzi complici sullo sterminio di Gaza, perde anche l’ultima foglia di fico dalle pudenda e regala un gigantesco salvacondotto a Putin.
Con che faccia l’Occidente rifiuta di riconoscere i territori ucraini occupati dai russi mentre fischietta sulle sette guerre illegali di Bibi contro altrettanti vicini, inclusa l’occupazione del Sud della Siria? Infatti Putin vuole mediare: dopo il plauso postumo di Trump a Israele che bombarda l’Iran e i suoi negoziati, è rimasto il solo a mantenere ottimi rapporti con Teheran e relazioni decenti con Tel Aviv. E si spera che glielo lascino fare prima che Israele riesca nell’insano e illegale proposito di cambiare regime in Iran. I precedenti di regime change sono noti: in Iraq al posto di Saddam arrivò l’Isis, in Afghanistan al posto dei Talebani deboli abbiamo i Talebani forti, in Libia al posto di Gheddafi c’è il caos tribale, all’Olp subentrò Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano, in Siria dopo Assad imperversa al Jolani. Ora tocca all’Iran: dopo gli ayatollah cosa può mai andare storto?

L'Amaca

 

Siamo tutti effetti collaterali
di MICHELE SERRA
Uccidere il capo della teocrazia iraniana metterebbe fine alla guerra, dice Netanyahu (che a sua volta parla ogni giorno di più come un capo teocratico: ma questo è un altro discorso). L’idea, già messa in pratica con Saddam, è primitiva ma suggestiva: se davvero bastasse uccidere il capo dei nemici per vincere una guerra, ci sarebbe da farci seriamente un pensiero, perché in termini di costi umani, e di costi in generale, un solo missile che coglie un solo bersaglio è meglio di mille missili che inceneriscono le città.
Il problema è che — al netto del cosiddetto diritto internazionale, che non credo contempli l’uccisione del capo di un altro Paese tra le pratiche legittime — non funziona così. Nemmeno un po’. Così come a Gaza e in decine, centinaia di conflitti precedenti, la guerra non è mai un colpo di bisturi. È un macello schifoso e ingiustificabile, nel quale muoiono a centinaia, a migliaia, persone che non c’entrano nulla: né con Khamenei, né con Netanyahu. Sempre considerate “effetti collaterali” dei regolamenti di conti tra i boss, un tempo carne da cannone e oggi carne da drone e da macerie, gente che magari sta cucinando, guardando la tivù, mettendo a letto i figli, e viene cancellata dalla faccia della terra perché un tizio molto potente vuole accoppare un altro tizio molto potente (mi scuso per la semplificazione, ma grosso modo è esattamente così che funziona).
Siamo considerati tutti, l’umanità intera, effetti collaterali, ed è proprio questo che rende moralmente disgustosa la guerra moderna. Non sono gli Orazi e i Curiazi a battersi, non sono solamente i guerrieri a morire. Sono soprattutto i civili, bambini compresi. Sarebbe molto più morale, oltre che più efficace, organizzare un duello alla pistola, o all’arma bianca, tra i capi in disputa.

Che emozione!

 

Mentre ti stai degustando un’ottima cena in Libano che c’è di più bello, di affascinante, che immortalare quelle che sembrano stelle cadenti ma che in realtà sono missili che portano morte in Iran o in Israele? Simili a quelli che quando c’è il morto in autostrada non mancano di farsi un sano selfie o i pullman organizzati per visitare la casa di Avetrana o quella di Cogne… bignamicamente leggasi estinzione!








lunedì 16 giugno 2025

Si riuniscono




Capalbiamente

 

Capalbio, la piazza rimane “privata” con il trucco Covid
DI TOMASO MONTANARI
Assalto alle città d’arte. Ennesima proroga della leggina pro-dehor. I politici ripetono: “Così rendiamo vivi questi spazi”. Come se tutto si risolvesse con le mense turistiche
Piazza Magenta, a Capalbio: non la piazza di Montecitorio, o quella del Quirinale. È affacciandosi su quella minuscola piazza della cittadina maremmana che si intuisce cosa è successo alla politica italiana. Perché qui lo spazio pubblico è letteralmente sparito, inghiottito dai tavoli e dagli ombrelloni di un ristorante che ha completamente privatizzato la piazza, espellendo i cittadini e accogliendo solo clienti e consumatori. Come ha scritto il sociologo e storico statunitense Christopher Lasch, il problema non è più di decoro urbano, ma appunto di politica e democrazia: quando il mercato stende il suo ferreo controllo “sulle attrattive cittadine, sulla convivialità, sulla conversazione … in pratica su quasi tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Quando il mercato esercita il diritto di prelazione su qualsiasi spazio pubblico, e la socializzazione deve ‘ritirarsi’ nei club privati, la gente corre il rischio di perdere la capacità di divertirsi e di autogovernarsi”. Ecco il rapporto che c’è tra i tavolini di un ristorante e la politica, cioè l’arte di costruire la polis, la città e il suo autogoverno: chi prima frequentava quella piazza, sentendola sua, ora deve smettere di farlo. E piano piano abituarsi all’idea che quella cosa di tutti, pubblica appunto, ora sia solo di qualcuno: immaginiamo una città senza piazze, in cui tutte le piazze siano così piene di dehors e tavoli da non poter passeggiare o manifestare. Venezia e Firenze non sono lontanissime da questa immagine distopica.
Nel caso di Capalbio, questa ‘ristorantizzazione’ della piazza più bella e popolare del paese (già teatro del Premio Capalbio e del Capalbio Short Film Festival) è stata resa possibile dalla ennesima proroga della legislazione eccezionale del tempo del Covid: una misura grottesca, che mostra l’asservimento dei camerati di governo agli interessi delle corporazioni e del mercato – altro che difesa del patrimonio culturale della famosa nazione! Se le cosiddette ‘città d’arte’ (espressione in sé malata, perché non storica o culturale, ma solo commerciale: e sincera solo nel sottintendere che sono città che non appartengono più ai loro cittadini) sono trasformate in grandi mense turistiche a cielo aperto lo si deve proprio a questa proroga della proroga della proroga che regala ciò che è di tutti solo ad alcuni. Nel caso di Capalbio dicono ci sia dell’altro, e cioè il sostegno che il ristoratore in questione offrirebbe al sindaco, in tutta una corrispondenza d’amorosi sensi. Sia come sia, il risultato è sconcertante, al punto che chi arriva per la prima volta oggi nella piazza, pensa di trovarsi in un cortile privato e non nella più ampia, pubblica piazza di questo castello murato medioevale.
In questi casi, la risposta degli amministratori locali è sempre la stessa: ‘abbiamo animato la piazza’, ‘abbiamo riempito un vuoto’. È una risposta che spesso è in buona fede, e che proprio allora tocca corde più profonde di quanto non si possa pensare. Perché la coazione a riempire di ‘cose’, ‘eventi’, ‘servizi’ le piazze ha a che fare con quello stesso horror vacui che impedisce di restare in silenzio a pensare senza mettersi a guardare il telefono, o a procurarsi una qualunque altra ‘distrazione’. È la paura di uno spazio, e di un tempo, in cui sostare: in cui uscire dal flusso della produttività e del consumo forzati, uscire dai ruoli sociali (produttori, consumatori, erogatori o utilizzatori di servizi…). In cui correre il rischio di pensare: perfino quello di guardarsi dentro, mentre lo sguardo si perde sul fuori. Qualcosa che ricorda ciò che accade nell’Infinito di Leopardi, dove sedendo di fronte a una siepe e a un paesaggio, la mente vaga superando le barriere del tempo, appunto finito, della nostra vita. Troppo lontani dal problema di un ristorante che si mangia una piazza a Capalbio? No, non lo credo. Le piazze storiche italiane sono come una diastole della concitazione delle vie. Sono vuoti attentamente calcolati: che nascevano per essere riempiti solo temporaneamente da ‘attività’ (la predica, il mercato…) ma che rappresentavano un’apertura di spazio, e dunque di senso, anche per chi viveva in piccole case senza vista e senza respiro. Sono per l’appunto il respiro delle città. Pensiamo alla sensazione che proviamo sbucando in Piazza del Campo a Siena, o in Piazza Plebiscito a Napoli, e così via: come se i polmoni si dilatassero, come se la città ci aprisse il suo cuore. Come se i nostri limiti (di censo, di corpo, di tempo) fossero superabili attraverso un respiro collettivo. In altre parole, le piazze ci hanno sempre aiutato a diventare comunità (attraverso i riti civili e sociali) e a diventare umani, attraverso il loro non servire a nulla se non al respiro degli umani che le frequentano. Come nelle chiese, lo ‘spreco’ di spazio che le contraddistingue, fa da contrappunto all’utilizzo spasmodico di ogni centimetro a fini commerciali. Per questo le piazze devono rimanere libere: per mantenerci liberi. Perfino Piazza Magenta a Capalbio, sì.

L'Intervista

 

Medio Oriente, buoni o cattivi è una fake di petrodollari e tv
DI ANTONELLO CAPORALE
“Prof. Università Trento: Hamas e Iran sotto accusa: gli altri Paesi del Golfo sono meglio?”
Professor Pejman Abdolmohammadi, lei è cittadino italiano ma ha sangue persiano e all’università di Trento illustra i caratteri politici dell’universo mediorientale. Possibile che i cattivi siano solo i terroristi di Hamas e i fanatici di Teheran? Il resto di quell’area è giardino fiorito?
Purtroppo l’immagine di questo quadrante del mondo subisce la narrazione figlia dei petrodollari e dei due media ormai mainstream: Al Jazeera e Al Arabiya. La prima è nata e prospera grazie ai soldi del regime del Qatar che in verità non si distingue per aperture ai diritti civili, né si conoscono meraviglie circa la libertà di stampa, ma anzi quel Paese resta ancorato al vizio autoritario che toglie al popolo la parola e i diritti. La seconda televisione che gestisce il grande flusso di informazioni da e per il Medio Oriente ha parentele strette con i fondi sovrani e la famiglia saudita.
E dunque per l’Occidente questi sono i buoni.
A Dubai compaiono gli schiavi, la corda lunga della società degli ultimi e degli oppressi, dei senza diritti, cittadini del nulla. Dubai ormai è meta turistica d’eccezione e i talenti delle società democratiche occidentali vanno lì, dietro compenso, a concedere una reputazione a chi davvero non potrebbe.
Il Bahrein è sede del Gran Premio di Formula Uno
Qui si misura la forza del denaro e appunto la capacità di manipolazione della realtà.
La democrazia si fattura e si vende al mercato delle opportunità politiche.
Un po’ sì: tu paghi, io faccio fattura e dico che il tuo mondo è buono.
Pensare che la Supercoppa italiana, la finale di calcio tra la vincitrice del campionato e quella che ha conquistato la Coppa Italia è stata giocata a Doha, due volte a Riad, una volta a Gedda.
Il Golfo Persico, negli anni, ha perso la qualificazione geografica. Adesso si scrive e si dice “il Golfo” al più “i Paesi del Golfo”.
Lei accusa quella che definisce “élite globalista”.
La responsabilità di questa situazione è di una porzione di mondo occidentale, una fetta delle democrazie cosiddette avanzate, insieme a una parte cinese, che hanno reso possibile una così importante manipolazione della realtà. È la teoria di coloro che sono stati i gendarmi del mondo, di chi ha dominato negli Stati Uniti, dalla famiglia Bush ai Biden.
Pensa che Donald Trump sia invece il liberatore degli oppressi?
Penso semplicemente che Trump voglia contestare questa deriva che ha reso le democrazie occidentali più fragili e più disponibili alle incursioni anche culturali autoritarie. Sa che adesso si possono finanziare le cattedre accademiche? Finanziare con qualche milione di dollari un insegnamento e sostenere un certo tipo di narrativa.
Trump sembra in verità un guerrafondaio.
Perchè si dimentica ciò che è stato fatto negli anni scorsi in Medio Oriente. Accordi di Abramo, inizio della fine dell’Isis e l’eliminazione iniziale delle proxy radicali.
Lei assolve Israele per l’attacco all’Iran.
Per me l’attacco è alla repubblica islamica non alla società. Anzi sostiene il movimento d’opposizione e rinforza l’idea che si possa superare quel sistema politico che ha soffocato, in numerose occasioni, le istanze di apertura democratica e le richieste di libertà.
Israele sarebbe dunque esercito liberatore in Iran e – sempre a quel che lei dice – oppressore a Gaza.
Netanyahu, in qualità di primo ministro israeliano, potrebbe fungere da catalizzatore per i già esistenti movimenti per la libertà; deve, tuttavia, stare attento a non rendere l’attacco così violento e sanguinoso da produrre l’effetto opposto: l’avvicinamento alla repubblica islamica da una parte della popolazione se si percepisce il pericolo di un bombardamento indiscriminato. So che Trump può imporre una linea di condotta originale e nuova rispetto a ciò che è stato fatto.
Netanyahu il liberatore di Teheran ha raso al suolo Gaza.
Credo comunque che saranno i persiani da sé a liberarsi. Sull’altro fonte invece l’errore più grande è di aver azzerato ogni possibilità di governo democratico, ogni crescita politica da parte della gioventù palestinese. È un errore enorme che Israele rischia di pagare ancora se non adotta una nuova strategia.

domenica 15 giugno 2025

Goduria




Mea culpa!



Qui a Piacenza alle 8 del mattino, meteorologicamente, avverti ciò che ti sta preparando la giornata, come entrare in casa da solo notando il mantello di Dracula appoggiato sullo schienale della sedia d’ingresso, il che ti fa idealizzare uno scudiscio con cui affliggerti la giusta punizione, condito dal “mea culpa, mea maxima culpa!”, per tutte le volte in cui, di venerdì, sfanculo coloro che in coda sulla Cisa, ansimano per gustarsi un po’ di mare; la stessa temperatura che noi spezzini avvertiamo nel meriggio infuocato, lamentandoci senza conoscere questa realtà padana, dove credo molti auspichino gli dei a trasformarli in un calippo, perché se è vero che il giorno di merda si veda dal mattino, la conferma deriva dal fatto che, lo certifico, alle 8 qui c’è la stessa temperatura che si trova in un panificio all’alba durante la cottura della nostra mirabolante focaccia!

sabato 14 giugno 2025

Pensiero



Già il destino! Lui ha lavorato a Londra per anni, la sua meta era avere una casa dove portare la famiglia. È andato a prenderli in India e questa è l’ultima foto della famiglia riunita, prima dello schianto dell’aereo. Nulla da dire, nulla da commentare. Solo il ricordo, nella consapevolezza che siamo un soffio. E molto spesso ce ne dimentichiamo.

L'Amaca

 

Come un cane che si morde la coda
di MICHELE SERRA
Assassinare i capi dei Paesi nemici, come ha fatto Israele con i suoi raid in Iran e anche in precedenti occasioni, non èun’azione moralmente giudicabile — ma nessuna azione di guerra, a ben vedere, lo è.
Il vero problema è che sfugge totalmente la logica: morto un generale se ne fa un altro, gli eserciti sono fatti apposta per rinnovare le proprie gerarchie, non si tratta di bande di gangster che, morto il boss, sono allo sbando, si tratta di istituzioni statali grandi e complesse, spesso con forti radici popolari. Il giorno dopo l’esecuzione dei loro capi le forze militari iraniane ne avranno già di nuovi; per giunta ancora più motivati (i capi, ma anche i soldati) all’odio contro Israele.
Allo stesso identico modo, per ogni terrorista vero o presunto che viene colpito a Gaza, altri dieci ne prenderanno il posto, perché niente come le macerie della propria casa, e il sangue dei propri congiunti, vale a rinnovare la catena dell’odio e della vendetta. Il pacifismo vacilla ovunque, i suoi fondamenti etici e le sue basi politiche sembrano sgretolarsi sotto i cingoli delle varie guerre in corso. Ma c’è un punto non solamente ideale, anche logico, perfino pratico, attorno al quale il pacifismo può vantare una ragione indiscutibile e indistruttibile: la violenza ne genera altra, la guerra rinfocola se stessa, è un cane che si morde la coda, un topo che corre nella ruota.
Un circolo vizioso. Prevedibile fino alla banalità. Diversa è la pace, che prevede un pensiero oltre quello che è già stato pensato, e un passo più in là. Forse è troppo intelligente, la pace, nell’impero cretino della guerra.

Più un Kaz...

 





Natangelo


 

Concordo

 

Non in nostro nome
DI MARCO TRAVAGLIO
Benjamin Netanyahu, il più efferato terrorista del mondo che governa Israele, è riuscito a rinviare un’altra volta la sua fine politica con l’unico sistema che conosce: la guerra. Solo che ora la sua guerra privata – mascherata da legittima difesa contro l’Impero del Male degli ayatollah che pretendono di avere l’atomica come Israele, ma per l’Impero del Bene c’è chi può e chi non può – rischia di trascinare i suoi alleati nel terzo conflitto mondiale. Che, se dipendesse da lui, sarebbe già scoppiato. In 20 mesi ha aperto sette fronti in casa d’altri come se fosse a casa sua: Gaza, Cisgiordania, Iran, Libano, Siria, Iraq, Yemen. Ma nessuno dei suoi alleati, a parte i fervorini e le condanne a parole, ha fatto nulla per prenderne le distanze. La litania dell’aggressore e dell’aggredito vale per la Russia e l’Ucraina, non per Israele e i suoi vicini: altrimenti Tel Aviv avrebbe subìto sanzioni ben più devastanti di quelle che hanno colpito Mosca. Invece siamo sempre a zero.
Si dirà: ma Israele è alleato di Usa e Ue. Vero, ma proprio questo è il guaio: se fosse nostro nemico potremmo cinicamente ignorare i suoi massacri. Ma proprio perché è amico non possiamo: ci rende complici dei suoi crimini e ci infila nel mirino del terrorismo islamico, oltreché dell’Iran&C.. Che, se dovranno scegliere chi colpire, partiranno da chi è più vicino o meno lontano da Netanyahu. Trump, che tentava di risolvere la questione del nucleare iraniano col negoziato, coinvolgendo le satrapie sunnite e dietro le quinte Putin e Xi, prende le distanze dall’attacco. Ma non molla l’alleato fuori controllo che gli bombarda il tavolo (uno dei bersagli è il negoziatore di Teheran) e lo tira per il ciuffo verso la guerra totale. Ma il caso più incredibile sono l’Ue e l’Italia. Anziché inseguire i ridicoli fantasmi dell’invasione russa provocando Mosca con un folle riarmo, dovrebbero prendere atto che la vera minaccia viene da Israele, che ci mette contro il Medio Oriente e il Nordafrica. Quindi chiudere al più presto la guerra in Ucraina; riallacciare rapporti decenti con Russia e Cina; rompere ogni rapporto con Tel Aviv finché sarà governato dal terrorista; e coinvolgere le tre grandi potenze in un negoziato globale che incolli i cocci della guerra mondiale a pezzi prima che sia troppo tardi. Invece, dopo i pigolii tardivi su Gaza, tornano armi a bagagli dalla parte di Bibi. L’Italia, fin dagli anni 70, si è costruita un ruolo di ponte fra l’Occidente e il mondo arabo ed è stata sempre l’ultimo obiettivo del terrorismo islamista. Ora la linea di Meloni, Tajani&C. disegna un bersaglio sulla schiena di tutti noi cittadini. Se questi sovranisti della domenica non hanno osato finora condannare Netanyahu per i gazawi sterminati, lo facciano ora almeno per noi italiani.

venerdì 13 giugno 2025

Ideona



L’idea del signore australiano che ha deciso di convivere in casa con l’Huntsman Spider, una specie di ragno enorme e velocissimo, l’apprezzo come apprezzerei il fregare un favo ad un orso bruno dandogli pure del coglione. Dice che non morde ed è utile per ammazzare gli insetti. Bene, fosse il mio vicino di casa edificherei un fortino con esposte mitragliatrici e se per caso m’invitasse a casa sua rifiuterei anche se m’informasse che la serata verrebbe impreziosita da una sfilata di intimo con Canalis, Jolie e una folta rappresentanza di modelle Victoria’s Secret. Penso alla notte, al sonno pesante che avrei, del tipo di quello che deve aver avuto Armstrong e Aldrin in attesa nel Lem del passaggio del modulo per ritornare sulla Terra. Mi chiedo infine perché non ospiti pure Belfagor, Sgarbi col mal di denti, qualche cobra ed un puma a cui ogni tanto rifilare qualche calcio in culo. Vien da sé che se arrivassi in quella casa dopo aver percorso duecento chilometri a piedi nel deserto australiano, chiedendo accoglienza, sfanculerei subito l’invito preferendo di passare la notte con una mandria di canguri maschi infoiati.

Come no!



Ma certo! I giovani, l’insegnamento dei valori dello sport, la voglia di competere, il rafforzarsi moralmente, per un futuro granitico che ti consenta, nel caso un domani diventassi Commissario Tecnico della Nazionale e qualche arabo ti ingolosisse con i dollaroni, di rifiutarli per la tua alta moralità… ma vaffanculo!

Davvero bello!




Ma davvero?

 



Cuoricini, Cuoricini!

 



Natangelo

 


Ad Est!

 

Novità dal fronte Est
DI MARCO TRAVAGLIO
Accecati dalla logica binaria da curve ultrà – Impero del Bene/Impero del Male, filoucraini/putiniani, democratici/trumpiani, europeisti/sovranisti, riformisti/populisti – rischiamo di perderci la realtà che, almeno fuori dall’Italia, è in continuo movimento. Nella Germania del cancelliere Merz che promette “l’esercito più grande d’Europa”, butta mille miliardi nel riarmo, straparla di truppe a Kiev con gli altri “volenterosi” e attende con ansia i nuovi euromissili da puntare contro Mosca, un gruppo di deputati dell’Spd sua alleata spacca il Partito Unico della Guerra e firma un documento con la colomba della pace nel logo del partito: no al riarmo, al 5% di Pil in spese militari e agli euromissili Usa, sì a negoziati con la Russia per tornare all’ostpolitik da Brandt alla Merkel. Un nein grosso così alle politiche di Merz&Ursula, ma soprattutto dei socialdemocratici Klingbeil (vice-cancelliere e ministro delle Finanze) e Pistorius (Difesa), che agitano lo spaventapasseri dell’imminente invasione russa per ingrassare Big Arma. I pacifisti Spd chiedono che “il rispetto del diritto internazionale in Ucraina sia legato ai legittimi interessi di sicurezza e stabilità di tutti gli Stati”, inclusa la Russia, e definire “un nuovo ordine senza l’uso della forza”. È ciò che chiede la sinistra alternativa di Sahra Wagenknecht, scomunicata come populista, sovranista e putiniana: se i dissidenti dell’Spd votassero in dissenso, il traballante Merz avrebbe qualche problema in più, con un bell’effetto domino sulle Euro-Sturmtruppen.
Qualcosa si muove anche in Polonia, dove il governo dell’europeista “liberale” Tusk contende ai tedeschi e ai baltici il primato delle fregole guerrafondaie. Dopo la sconfitta del suo candidato alle Presidenziali, vinte da quello di destra Nawrocki (contrario a inviare truppe all’Ucraina e a farla entrare nell’Ue e nella Nato), Tusk ha riavuto la fiducia in Parlamento con un interessante discorso: “So bene cosa significa l’immigrazione illegale per il futuro della Polonia, dell’Europa e della nostra civiltà. Farò tutto il possibile per ridurre l’immigrazione praticamente a zero: ogni giorno effettuiamo deportazioni di migranti” e alla frontiera bielorussa “tutto è monitorato con droni, telecamere e soldati: abbiamo costruito una vera barriera, la cui efficacia è aumentata dal 30 al 98%”. È il muro anti-migranti eretto dal precedente governo di destra “sovranista”, che Tusk si vanta di aver potenziato. Poi annuncia controlli al confine tedesco e la revoca dell’accordo con la Georgia che consente ai suoi cittadini di entrare in Polonia senza visto. Più “deportazioni” per tutti. Fortuna che chi parla è un europeista liberale, sennò l’avrebbero già sbattuto fuori dall’Europa.

L'Amaca

 

Per una volta l’ha saputo prima
di MICHELE SERRA
Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha annunciato di essere sotto indagine per corruzione. La notizia l’ha data lui, e questo significa che Occhiuto ha saputo di essere sotto indagine direttamente da chi lo indaga, e non dai giornali. Viene da dire: questa sì che è una notizia, e per giunta una buona notizia. Non che un presidente di Regione sia indagato; ma che l’indagato venga a saperlo per primo, in quanto diretto interessato.
Non credo esistano statistiche attendibili, in materia, ma la percezione, ormai da decenni, è che molti se non moltissimi tra i politici indagati lo abbiano saputo dai media. Poiché anche i politici sono cittadini, ognuno di noi si domandi, come cittadino, e aggiungo come essere umano, se consideri suo diritto essere informato di essere sotto indagine dalla magistratura oppure debba rassegnarsi al fatto che, prima di lui, lo sapranno altri. Io non ho dubbi. Ma penso nessuno li abbia: il primo a saperlo deve essere l’interessato.
Segue, subito dopo, il resto, con il dovuto e giusto rilievo mediatico che comporta, inevitabilmente, avere o non avere una visibilità pubblica.
Si conosce, e si capisce, la promiscuità inevitabile, perfino giustificabile, tra inquirenti e giornalisti. Si può dire che, sia pure con ruoli ben diversi, fanno lo stesso mestiere: si chiama “inchiesta” sia quella giudiziaria, sia quella giornalistica. Ma è veramente uno scandalo che la permeabilità di certe Procure abbia consentito, quasi come regola, che l’avviso di garanzia arrivi all’indagato (dunque al garantito) quando l’ha già saputo dai giornali.

giovedì 12 giugno 2025

Chi l’ha visto?




Vorrei le arance

 



Contro il mainstream

 

La cassa bellica scusa di guerra
DI FABIO MINI
La Nato e i volenterosi ripetono di dover spendere centinaia di miliardi per riarmarsi e prevenire l’immaginario assalto di Mosca. Più uomini e più mezzi necessari a riempire le solite tasche
Il merito di aver ideato e proposto il Piano di riarmo europeo va senz’altro all’ineffabile presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che con la sua capacità d’interloquire e interagire con le grandi lobby ha recepito le esigenze delle industrie multinazionali.
Il pretesto è la urgente necessità di ristabilire la sicurezza europea, lo strumento è la guerra contro la Russia. Una guerra che tutti gli Stati europei si dicono pronti a combattere, almeno a parole. Una guerra che è già alle porte di casa, come dice il segretario generale della Nato Mark Rutte o che è addirittura in casa secondo altri. In realtà la preparazione della guerra è appena cominciata e la situazione di partenza è per lo meno confusa. Si afferma di dover elevare lo stato di prontezza delle forze armate di tutti i paesi europei e allo stesso tempo rafforzare (o meglio ricominciare quasi da zero) la preparazione della loro ‘economia di guerra’. Siccome la guerra che dobbiamo affrontare non è generica, ma diretta contro l’avversario ben individuato nella Russia, la preparazione dovrebbe essere alquanto semplice da pensare. Della Russia infatti sappiamo quasi tutto e quello che non sappiamo o che fingiamo di non sapere ce lo inventiamo. Sappiamo che la Russia non ha né la voglia né la forza convenzionale per attaccare l’Europa e comunque non ha nemmeno mai accennato a volerla conquistare. Se attaccata o minacciata avrebbe comunque la dottrina militare (il software) e la forza militare (l’hardware) per rispondere con mezzi convenzionali e nucleari. Quindi, per semplificare la nostra pianificazione di guerra, ci siamo inventati la minaccia russa immanente e imminente. Non abbiamo fatto caso al fatto che l’Europa non ha né risorse, né piani, né strutture e neppure il tempo per organizzarsi in maniera razionale. È infatti evidente che se la minaccia è così catastrofica e immediata non ci sono tre o dieci anni di tempo per affrontarla. A meno che il tempo non dipenda dall’avversario ma da noi. Ovvero, che non dobbiamo prepararci per l’attacco nemico ma per il nostro, quando saremo pronti. In effetti questo è esattamente ciò che ha detto il Comandante supremo della Nato (“dobbiamo neutralizzare la Russia al primo colpo”) e quanto condividono i capi di governo dei “volenterosi” con in testa la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. 

Tra la concezione (che non può essere fantasiosa) e l’esecuzione ci dovrebbero essere la pianificazione e l’approntamento sulla cui base si dovrebbero calcolare le risorse e le capacità di gestirle. Sfortunatamente l’Europa sta saltando a piè pari dalla concezione onirica all’esecuzione che non può che essere caotica. La cifra record di 800 miliardi è essenzialmente un nuovo debito e servirà soprattutto a pompare soldi (che non ci sono o sono simulacri di denaro come obbligazioni, derivati e derivati dei derivati) nelle tasche dei soliti speculatori di guerra. Ai debiti per le esigenze comuni occorre poi aggiungere i debiti che ciascun paese deve accollarsi per le proprie esigenze difensive. Si è messa così in moto una diligenza con un carico di profitti facili da assaltare, senza scrupoli e alla svelta perché questa pazza popolazione europea potrebbe anche accorgersi del tranello. La Germania che si riarma come ai tempi di von Schlieffen e di Hitler ha scoperto che in guerra serve anche la difesa civile che è diversa dalla protezione civile ma concomitante. I tedeschi oltre ai soldi per le centinaia di carri armati, missili, munizioni e i milioni di giovani da mobilitare stanno chiedendo risorse per i bunker da costruire (oltre un milione), per la conversione di ripari in shelter a prova di bomba, per la sopravvivenza della popolazione, per le scorte di viveri ed energia, per i centri di raccolta per le evacuazioni, l’emergenza sanitaria e così via. In fretta perché il nemico avanza. La Gran Bretagna ha già avviato la mobilitazione delle coscienze ripetendo la retorica churchilliana del “we shall fight” con l’enfasi sugli attacchi cyber che “stati ostili” hanno condotto contro la Gran Bretagna per un totale di 90.000 fino ad ora. Visto che non si hanno notizie dei risultati catastrofici di tali attacchi, il numero probabilmente comprende gli spam della posta elettronica e i falsi attacchi che gli stessi inglesi lanciano all’esterno e all’interno tanto per vedere “l’effetto che fa”. In ogni paese d’Europa si lanciano allarmi e si scoprono nuove forme di difesa attiva o passiva da finanziare e la diligenza inizia a traballare cercando di rimpinguare il bottino con altri salassi a carico dei cittadini e delle attività di sostegno interno e cooperazione estera. 

Gli Stati s’indebitano e i cittadini impoveriscono: due condizioni che portano alla sconfitta in qualsiasi guerra. Anche la Nato è in difficoltà. È l’unica ad avere una pianificazione per la guerra e per il riarmo. Il Comando supremo ha già delineato quello che serve per la difesa collettiva oltre a ciò che serve per la difesa di ogni Stato membro in termini di uomini, sistemi d’arma ed equipaggiamenti. E anche in termini di tempo e ripartizione dei compiti. Purtroppo le iniziative estemporanee europee e dei “volenterosi” non duplicano le capacità, ma distolgono dalla pianificazione Nato enormi risorse. Abbiamo quindi due bacini entrambi diseconomici e fatalmente inefficienti. L’impegno finanziario per il piano Nato eccede ogni capacità di risorse e sostegno economico e industriale dell’attuale Europa. Il 2% del Pil è già obsoleto e i costi dei soli materiali sono aumentati vertiginosamente. Il 5% del Pil è ancora una base di partenza e non un punto di arrivo. Tra l’altro il punto di arrivo è mobile perché da un lato il presunto nemico si arma più velocemente e dall’altro i nostri Pil in termini reali diminuiscono. La Gran Bretagna ha stanziato una decina di miliardi per la nuova flotta di sommergibili, per la gioia della cantieristica, e altri paesi invidiosi si accodano alla fila dei pretendenti. Ma né essa né gli altri sanno dove trovare i fondi. La Gran Bretagna ha lo scopo preciso di riprendere il dominio dei mari del Nord e la Nato vuole occupare il Mar Nero. La nostra Marina militare ha invece bisogno di uscire dal Mediterraneo ormai troppo e male frequentato. E mentre la diligenza muove lentamente un piccolo raid può riuscire a fruttare quanto basta per un’altra portaerei da crociera perenne contro le minacce dei pirati, degli Houthi, dei pescatori di frodo, per la protezione del traffico mercantile o dei cavi sottomarini. Impegni che costringono il personale a turni massacranti e quindi non sarebbe male se fosse aumentato almeno a 40.000 unità come Francia e Gran Bretagna. In tutto questo l’Ucraina c’entra poco. Anzi è meglio che resista il più a lungo possibile, ma senza altri aiuti di cui non ha più bisogno visto che sta vincendo e che sono un aggravio ulteriore al nostro approntamento.

Dall’Ucraina vengono però lezioni per un cambio di prospettiva anche in campo navale: il problema sono i droni. La Russia ne produce a milioni e l’Ucraina con quelli che ha minaccia gli equilibri internazionali. Il Capo di Stato Maggiore della nostra Marina in una recente intervista ha messo in evidenza che nel Mediterraneo la presenza russa è diminuita e che quella nel Mar Nero non rappresenta “un pericolo diretto” per l’Italia. Le nostre navi hanno notato nuova ostilità russa? “Apertamente ostili no. Però adesso con tante navi da guerra in un bacino così ristretto e trafficato come il Mediterraneo l’incidente è sempre possibile”. In ogni caso gli Usa “esigevano le nostre Frem” per proteggere le loro portaerei dai 3 sommergibili russi presenti nel Mediterraneo. Che non avrebbero mai attaccato una nave americana. “Abbiamo la guerra in casa” ha aggiunto l’ammiraglio, evidentemente non da parte russa. “Nel Mar Rosso siamo in guerra.. Le nostre navi in tutto hanno abbattuto 8 droni Houthi: 3 con le artiglierie di bordo e 5 con i missili… Ci siamo trovati a utilizzare missili da milioni di euro per abbattere oggetti che costano meno di 50.000 euro: insostenibile”. Ma una portaerei in più non fa mai male e la diligenza potrebbe non passare più.

Continua l'analisi

 

Vincere o partecipare
DI MARCO TRAVAGLIO
Per rendere un po’ meno inutili i referendum falliti, il centrosinistra potrebbe usarli per farsi un’idea dei suoi elettori e di quelli che potrebbe strappare alle destre e all’astensione. Basta incrociare i dati dell’Istituto Cattaneo e le cronache dalla California: la rivolta dei migranti contro le espulsioni trumpiane, la repressione militare disposta dal presidente e la reazione dei Dem che governano lo Stato. Trump è una caricatura vivente che può avere persino una sua utilità: è un pantografo che ingigantisce tutto in scala 100 a 1 e fa vedere meglio come si muovono le cosiddette destre sovraniste e populiste, ergo come si dovrebbe combatterle. La California ricca e democratica è come le nostre Ztl: lì i migranti non sono un problema. Ma gli elettori californiani sono un’inezia rispetto all’America profonda degli esclusi, invisibili, insicuri, persino dei migranti di penultima generazione che temono quelli di ultima perché minacciano il poco che si sono conquistati. Trump, in crisi sull’economia, su Musk e sugli esteri, non vedeva l’ora di spostare lo scontro sul terreno della lotta ai clandestini. E i Dem, prevedibili con i loro tic elitari e woke, sono subito caduti nella sua trappola consentendogli di spacciarli come complici dell’“invasione” selvaggia e violenta e di accreditarsi come tutore dell’ordine.
In Italia, alla cittadinanza accelerata agli stranieri, ha detto No il 34,6% dei votanti, quasi tutti di centrosinistra, anche se Pd, Iv, Azione, Avs e +Europa erano per il Sì e solo il M5S lasciava libertà di voto: contrari il 60% dei 5S e il 15-20 dei pidini. Il No, bassissimo nei centri storici delle metropoli (le Ztl), cresce a mano a mano che ci si avvicina a quartieri popolari, periferie e comuni medio-piccoli. Chi fa politica alla De Coubertin, per partecipare senza porsi il problema di vincere, può infischiarsene. Ma chi ripete di voler mandare a casa Meloni & C. dovrebbe occuparsi un po’ più degli elettori e un po’ meno dei campi larghi (difficile spiegare la logica di proporre referendum per fare a pezzi il Jobs Act di Renzi e poi di allearsi con Renzi). Gli elettori, di destra ma pure di centrosinistra, vogliono politiche meno lassiste sull’immigrazione. Quindi, o si rinuncia ai loro voti, o si propone qualcosa di opposto al referendum dei radicali fuori dal mondo. Non si tratta di copiare le ricette delle destre, come i governi di centrosinistra sprovvisti di un’idea propria (l’unica differenza è che, quando Trump respinge i clandestini, si parla di deportazioni e svolta autoritaria; quando lo fanno Obama, Biden, Macron, Starmer, Sánchez e Tusk, si parla di rimpatri). Si tratta di darsi una linea rigorosa e pragmatica e poi spiegarla con parole chiare e comprensibili. Sennò alle prossime elezioni è inutile partecipare.