La ritirata di Russia
di Marco Travaglio
Martedì Repubblica ha intervistato in pompa magna Anna Netrebko, “regina della lirica, soprano russa senza confronti, voce da brivido, vigore espressivo, piglio da diva, milioni di follower e carisma ammaliante”, “scoperta dal geniale direttore Valery Gergiev, vicino a Putin”. A dieci giorni dalla prima della Scala che la vedrà mattatrice nel Don Carlo di Verdi, si è concessa in “esclusiva” a Rep “a patto di non citare quei temi” (la guerra in Ucraina). E Rep ha subito accettato: “Bello prendersi una vacanza dai fuochi e affrontare il ritratto del suo personaggio verdiano”. Non bello: bellissimo. Abbiamo atteso 24 ore prima di scriverne per dare modo ai Riotta, Mieli, Polito, Cappellini, Severgnini, Folli, Grasso, Sarzanini, Guerzoni, Iacoboni e gli altri atlantisti nostrani di infilare Rep in una nuova lista di putiniani servi della cyberpropaganda russa. Invece tutti zitti e Mosca.
Sembra passato un secolo, non 18 mesi, da quando la “regina della lirica” dovette ritirarsi dalla Scala perché Sala e il teatro avevano cacciato il “geniale direttore” Gergiev per putinismo molesto. Altri teatri cancellavano i balletti di Tchaikovsky e altri musicisti protoputiniani. La Fiera del libro per ragazzi di Bologna bandiva editori e autori russi. Il Festival della fotografia di Reggio Emilia rimandava indietro il russo Gronsky, così putiniano che appena rientrò a Mosca sfilò in un corteo contro la guerra di Putin e fu arrestato dalla polizia di Putin. Gli atleti russi, olimpici e pure paralimpici, erano banditi dalle gare o costretti a parteciparvi senza bandiere. La Bicocca, dopo approfondite ricerche, scoprì che era russo anche tal Dostoevskij, sedicente scrittore che, con Tolstoj, Cechov, Puskin, Gogol’ e altri putribondi figuri, minacciava di diffondere la propaganda putiniana e sospese il seminario di Paolo Nori sulle sue opere. Mezzo mondo cancellò i film russi e i corsi di russo. Le fiere feline squalificarono i gatti russi per evitare miagolii putinisti. Il concorso Albero dell’Anno espulse la quercia di Turgenev (pure lui proditoriamente russo). Banditi anche gli intellettuali e artisti ucraini che avevano osato nascere o esibirsi in Donbass o in Crimea. La delegazione russa fu estromessa dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz, notoriamente liberato non dall’Armata Rossa, ma dagli ucraini e dagli americani (come ne La vita è bella di Benigni). Il tutto fra le standing ovation della stampa atlantista. La stessa che ora copia Orsini, relega l’eroico Zelensky nei trafiletti, invoca un compromesso Mosca-Kiev prima che si noti la disfatta Nato e stende tappeti rossi alla regina putiniana della lirica, che si esibirà non a caso dinanzi a La Russa. Di questo passo c’è pure il rischio che riabilitino quel Dostoevskij.
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