Gli affari di guerra di Confindustria
“Gaffe dell’uomo di Bonomi: brinda al conflitto”.
di Antonio Padellaro
Si chiama Maurizio Minghelli ed è il presidente del Comitato Piccola industria Emilia-Romagna ma, soprattutto, è il proprietario della Astim srl, azienda di elettronica nel settore Difesa. Leggiamo nella cronaca di Claudio Antonelli e Alessandro Da Rold che, a proposito della guerra a poche centinaia di chilometri dai nostri confini, Minghelli racconta che in questi giorni, in azienda, ripetono un motto che altro non è che il titolo del film di Alberto Sordi: “Finché c’è guerra c’è speranza”. Poi, egli aggiunge soddisfatto che il fatturato della sua azienda “sta aumentando”. Siamo a Roma, è il 10 ottobre e soltanto tre giorni prima c’è stato il massacro dei tagliagole di Hamas in Israele. Tra i partecipanti al consiglio centrale della Piccola industria di Confindustria, “cala il gelo”. Fermiamoci qui per dire, innanzitutto, che le parole di Minghelli sono la fotografia della lunga fase di assoluta prosperità dell’industria delle armi. Un settore di cui l’Italia è leader in una torta (si fa per dire) che nel 2022 si è spartita a livello mondiale circa 2 mila miliardi: 5,8 miliardi di dollari al giorno. Tra i 100 maggiori produttori di armamenti il tricolore svetta (si fa per dire) da Leonardo e Fincantieri, in 13esima e 47esima posizione. Ricavi delle due società dalla sola vendita di armi da guerra: 13,8 miliardi (legittima soddisfazione che sprizzava in una foto che qualche giorno FA ritraeva i vertici di Leonardo). Va poi detto che Minghelli forse sarà stato un po’ troppo diretto ma, almeno, non ha peccato di ipocrisia (riscontrabile, viceversa, nel “gelo” degli altri imprenditori che, ne siamo certi, darebbero non diciamo cosa per avere lo stesso exploit di fatturato). L’augurio degli industriali del settore che ci siano sempre più guerre sul pianeta può ricordare, scrivono i colleghi de “La Verità”, i due costruttori che, intercettati nel 2009, festeggiavano per il terremoto dell’Aquila. Qui abbiamo “l’aspettativa di ulteriore importante incremento del portafoglio ordini nel 2023”. Come dire che in quanto a morte e distruzione si può sempre fare meglio. Va notato, al tirar delle somme, che nell’agghiacciante contabilità che mette a confronto i 1.400 morti israeliani per mano di Hamas con le quasi 11 mila vittime causate dai bombardamenti israeliani l’industria delle armi può a buon diritto mantenere una posizione bilanciata ed equidistante. Infatti, i fucili a ripetizione che hanno sterminato i ragazzi del rave nel deserto (lavoro completato con armi da taglio riconducibili tuttavia ad altro comparto), come i razzi jihadisti che martellano il sud di Israele e quelli di Hezbollah sparati da nord, come i missili, le bombe e i caccia bombardieri con la Stella di David che hanno raso al suolo Gaza e i suoi abitanti, tutti fanno parte di un format produttivo globale. Una livella che in Medio Oriente senza distinzione alcuna di bandiera, di religione, di etnia (ma anche di età e di genere, alla luce dei “danni collaterali” delle migliaia di bambini uccisi dai raid su Gaza) rappresenta una sostanziosa fetta del “portafoglio ordini” dell’industria delle armi (o se si preferisce della “Difesa”, per usare il linguaggio del ministro Crosetto, grande esperto del ramo). L’altro cospicuo mercato del sempre più florido settore è naturalmente costituito dalla guerra in Ucraina. Al momento un tantino oscurata dagli eventi mediorientali ma pur sempre ricca di soddisfazioni per il fatturato. Diciamolo: come fanno i Minghelli di vario calibro a non brindare festanti? (illuminante la vignetta del “manifesto” di ieri dove c’è uno che dice: “Sogno un mondo senza guerre” e l’altro risponde: “E chi se lo compra?”).
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