Patriarcato: “il” premier meloni finge di non capire
DI DANIELA RANIERI
Meloni non strumentalizza le tragedie, infatti poco prima di diventare PdC pubblicava su Twitter il video di uno stupro a opera di un africano. Ora, dopo un femminicidio orribile, si adonta se Lilli Gruber parla del rapporto della destra al governo col patriarcato.
La furba Meloni non si è affatto offesa per l’espressione, piuttosto l’ha cavalcata: non dice che è femminista (perderebbe i voti dei fascistoni e dei tradizionalisti ruspanti anti-radical chic), ma pubblica una foto con nonna, mamma e figlia, fornendo prova di discendenza matrilineare; ma il matriarcato non ha niente a che fare col patriarcato odierno, che vuol dire dominio maschile sociale, domestico e professionale. La foto significa “ce l’ho fatta senza l’aiuto degli uomini” (a parte essere stata ministro di Berlusconi a 31 anni) e “vi sembro una che non si fa rispettare dagli uomini?”. A noi sembra una che si fa rispettare perché è potente, non perché è donna. Dalle sue parti hanno valore le gerarchie: a difenderla dall’accusa di mentalità patriarcale, Mollicone, il Savonarola di Peppa Pig, Lollobrigida, l’uomo che fermava i treni (“lei non sa di chi sono cognato”) e Santanchè, la Simone de Beauvoir degli stabilimenti balneari. Meloni sottintende che le fisime della sinistra circa l’oppressione delle donne non sono applicabili al suo caso e dunque all’intera popolazione femminile; ma questa è una fallacia. La sua emancipazione è del tutto individualistica, mentre il femminismo è collettivo. La cultura dello stupro non è di casa Meloni (anche se il suo ex Giambruno redarguì in Tv le ragazze stuprate perché si ubriacano), ma sociale. Meloni sa comandare come un uomo (si fa chiamare al maschile per essere più credibile), ma si guarda bene dal mutare i rapporti di forza. Anzi: il suo governo conferma tutti gli assetti tossici della nostra società, dove chi è ricco deve arricchirsi vieppiù, chi è povero soccombe e chi è donna ha due opzioni: affermarsi “con le palle” o diventare madre, possibilmente di prole numerosa per godere dei bonus del governo, che altrove si chiamano diritti.
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