Schiaffo Capitale
di Corrado Augias
In tempi normali un risultato come questo sarebbe stato inconcepibile. Esposizione universale 2030, candidate tre capitali o importanti città di Arabia Saudita, Corea del Sud, Italia - cioè Roma. Le persone ingenue non avevano dubbi sull’esito: Roma, naturalmente anche se l’Arabia Saudita, con Riad, veniva data da più parti per favorita. Le persone più avvertite su ciò che si sta muovendo nel mondo puntavano su un risultato meno duro: ballottaggio tra Roma e Riad, con esclusione dunque della città sudcoreana, famosa per un tempio, un mercato del pesce, alcune belle spiagge. Nulla di nemmeno confrontabile con Roma. Non è andata così. Riad, capitale e grande polo finanziario dell’Arabia Saudita, ha stravinto con 119 voti. Seconda Busan, 29. Ultima Roma 17 (diciassette) voti.
Che io ricordi è la più grave umiliazione che Roma, e l’Italia, abbiano avuto da molti anni a questa parte. Credo che si debba risalire al periodo che seguì immediatamente il fascismo per trovare un affronto equivalente, erano anni quelli in cui la nobile figura di un presidente del Consiglio come Alcide De Gasperi non riusciva a trovare alcun ascolto nei consessi internazionali. È probabile che stia mescolando un po’ emozionalmente le carte di tavoli diversi, ne sono consapevole, ma quello che è accaduto a Issy-les-Moulineaux (dove s’è svolta la votazione) lascia sgomenti. Per attenuare la botta cerco di elencare le possibili attenuanti all’origine dello smacco. Riad dispone di immensi capitali capaci di sedurre, attrarre, compiacere (giro intorno ad un innominabile centro) chiunque, a cominciare dal senatore Matteo Renzi che a Riad è di casa, di Roberto Mancini che lì è velocemente approdato, o di Cristiano Ronaldo che dell’operazione Expo è stato pagatissimo sponsor. L’abbondanza di denaro è tale da aver spinto i sauditi alla sfrontatezza di pagare fior di milioni per avere il marchio della propria pletorica “Riyad season” sulle maglie della città concorrente, cioè Roma. Uno sberleffo preventivo, lo potremmo chiamare a cose fatte. Non credo però che il denaro sia tutto. Un altro elemento in gioco è che il fascino di una città come Roma, che negli anni Sessanta imponeva a livello mondiale il suo nome nella moda e nel cinema, è ormai al tramonto (temporaneamente, spero).
La città è in declino compreso il suo centro storico, i romani lo sanno, i visitatori se ne rendono presto conto. Non si vive di solo Colosseo anche se si toglie di mezzo l’arroganza di gladiatori e centurioni che infastidiscono o taglieggiano i turisti. A Roma basterebbe mettere in piedi un museo con la storia animata della città per farne un’attrazione di potenza inimmaginabile. Non esiste altra città al mondo che abbia una storia di quasi trenta secoli, dalla città arcaica all’impero di papi. Qualche amministrazione ha tentato di lanciare l’idea, subito diventata una palloncino sgonfio. Per di più, ecco un ulteriore elemento, gli equilibri del mondo si stanno spostando verso nuove terre e nuove città, compresa una capitale inverosimile come Riad, con la sua artificiosità tirata su a suon di petrodollari. Agli occhi di molti ormai più attraente di una vecchia capitale del mondo che fu. Anche al netto di queste possibili attenuanti, lo schiaffo di Issy-les-Moulineaux resta bruciante e qui entra in ballo non più la capitale ma l’intero Paese, cioè l’Italia e il governo che la regge. Abbiamo un ministero del Turismo affidato a una donna inesperta e assai discussa, un ministero dell’Agricoltura con la pomposa aggiunta della “sovranità alimentare” (qualunque cosa voglia dire) affidato ad un uomo poco accorto, una presidente del Consiglio la quale confessa che quando il suo ufficio chiama l’Eliseo a Parigi non rispondono nemmeno al telefono. Non voglio dare prova di particolare accanimento antigovernativo, constato solo che il nostro prestigio, dopo la breve fiammata del governo Draghi, è precipitato a livelli molto bassi nella considerazione globale. Sull’Italia in altre parole si può infierire, perché riempirsi la bocca con la parola “nazione” serve a poco quando non si hanno gli strumenti pratici per sostenerla davvero “la nazione”, quando ci si nutre di sogni (come il famoso Ponte), smarriti in una lite continua alla disperata ricerca di qualche voto in più.
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