Concessioni. Al governo è riuscito un miracolo: più spiagge per tutti
di Alessandro Robecchi
Non potendo cambiare la Storia – nonostante innumerevoli tentativi – cambiare la geografia deve essere sembrata un’idea entusiasmante al governo della destra italiana. E siccome (da anni) si discute di come regolamentare un po’ meno vergognosamente le concessioni balneari italiane con l’applicazione della famigerata direttiva Bolkestein, è stata istituita una speciale commissione con un compito titanico: contare i chilometri (lineari e quadrati) delle coste italiane. L’obiettivo: dimostrare che le concessioni balneari in Italia (traduco: le spiagge privatizzate cedute dallo Stato per due cipolle e un pomodoro a fronte di ottimi guadagni) non sono poi così tante rispetto al totale dei metri di terra che si affacciano sul mare. E infatti la commissione ha fatto il suo lavoro con il metro in mano e… colpo di scena: le coste italiane sono passate in pochi mesi da circa 8.000 chilometri a più di 11.000, 3.000 chilometri di coste in più, che manco i pani e i pesci del famoso miracolo.
In pratica, i geometri del governo hanno contato aree urbane, il perimetro dei Faraglioni, gli scogli, i frangiflutti, le spiaggette di due metri incastrate tra promontori a strapiombo, le scogliere scoscese. Vai al mare? Portati una picozza e i chiodi da roccia. Tutto quello che affaccia sulle onde fa il totale, e gira che ti rigira, giocando su chilometri quadrati oltre che su quelli lineari, è saltato fuori – vedi a volte i miracoli – che le spiagge date in concessione per turismo sarebbero il 19 per cento dei terreni demaniali anziché il 65. È un po’ come quando si contano i disoccupati che, per dire che sono pochi, vengono calcolati in modo assurdo e risulta occupatissimo anche chi ha lavorato un’oretta a settimana: scienza statistica applicata all’ideologia.
Va bene, allora, abbiamo più accessi al mare di quanti ne abbiamo mai conosciuti, hurrà! Quindi, siamo lieti di dare una buona notizia a chi quest’estate vorrà andare a fare il bagno senza rompere tanto i coglioni al libero mercato e senza svenarsi: potrà recarsi in una zona industriale, una raffineria, un porto commerciale, un’area marina protetta, oppure nuotare fino a posti irraggiungibili, o piantare l’ombrellone su uno scoglio.
La Commissione europea, che i nostri eroi pensavano di inchiodare sul bagnasciuga come da antica tradizione, ha fatto un sonoro marameo, dopo essersi accorta che i calcoli includevano zone escluse dalla possibilità di sfruttamento turistico. Insomma, nonostante il fantasioso tentativo del genio italico, dall’Europa fanno sapere di non avere la sveglia al collo e di non essere così scemi come il nostro governo spererebbe con il suo trucchetto da magliari. E del resto, si può dire che la destra italiana, pur di non affrontare il tema delle concessioni e del malcontento dei balneari, suoi grandi elettori, le ha davvero provate tutte. Ancora si ricorda, ad esempio, la giaculatoria triste del ministro del Turismo (!) Santanchè, che a un incontro con Confesercenti, magnificando le spiagge private italiane (tipo quella di cui era azionista), denunciava il degrado di quelle pubbliche “piene di tossicodipendenti e rifiuti”.
Insomma, allegri! Se siete di quelli che lamentano, una volta arrivati in vacanza, che la spiaggia pubblica sia lunga qualche metro e quella a pagamento alcuni chilometri, avrete la vostra rivincita. Più spiagge per tutti: private quelle dove fare il bagno e sdraiarsi al sole, e pubbliche quelle dove potrete sedervi al tramonto e dire: “Ma guarda che bella raffineria!”.
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