sabato 3 aprile 2021

L'Amaca

 

Avere i titoli per vaccinarsi
di Michele Serra
Se i numeri contano qualcosa — e i numeri contano qualcosa — si fatica ad arginare il contagio, e a limitare i morti, sostanzialmente per due ragioni. La prima, e la principale, è che i produttori/proprietari dei vaccini hanno consegnato a molti Paesi europei, tra i quali l’Italia, circa la metà delle dosi messe a contratto.
La seconda, specificamente italiana, è che da noi la pressione di categorie, consorterie e gilde ha fatto sì che una parte molto significativa delle dosi disponibili non sia andata agli anziani — pazienti a rischio per eccellenza — ma appunto ai membri di categorie, consorterie e gilde: anche giovani, e in ottima salute. Così come ha ben documentato, l’altra sera, Corrado Formigli nella sua Piazza Pulita. Di qui l’alto numero dei morti: sono ancora troppo pochi gli anziani vaccinati.
Da tempo immemorabile la natura corporativa del nostro Paese (nel quale ci si organizza per corporazioni, ci si mobilita per corporazioni, si scende in campo per corporazioni, ci si offende per corporazioni) è oggetto di critiche giuste quanto vane. Un criterio rigidamente anagrafico, che a quanto risulta sarebbe il più logico e il più proficuo per abbattere la mortalità, avrebbe il torto di essere nitidamente, implacabilmente democratico.
Il settantatreenne o l’ottantacinquenne tornitore, avvocato, escavatorista, floricultore, disoccupato, miliardario, casalingo, pensionato, cantante, ministro, cuoco, tennista, palombaro, dentista, eccetera (tutte definizioni da intendere ambosesso) sarebbero sullo stesso piano.
Davvero troppo per un Paese che pullula di dott e cav, molti dei quali gongolano al dolce suono del loro titoletto, e diplometto.

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