mercoledì 10 gennaio 2018

Premonizione


Ieri, proprio ieri, scrivendo un post su questo sito intitolato "Pietismo", lo concludevo così:


"In quel momento, come con Love Story, è calata sulla mia gota una lacrima triste, per un finale così pietoso di questo giocoliere prossimo all'entrata nel tunnel dell'anonimato triste e solitario come di chi, girando la Ruota della Fortuna (e lui la girò da Mike agli albori della sua storia) si becca la casella umiliante del "Ritorna alla partenza."

Era una premonizione. 
Mi ha incuriosito infatti il provar sentimenti di pietà per quello che considero da molti anni un parente stretto del signore dell'Era del Puttanesimo, tanto da rimirarmi allo specchio con timore di veder affiorare qualche somiglianza con un Orfini qualunque. 
Ma ieri sera attorno a mezzanotte il Fatto Quotidiano tardava ad arrivare via web, fatto inusuale, presagio di notizia bomba. 
Cosa confermata stamani: 


Notizia raggelante persino a uno come me che invece avrebbe dovuto esultare con una mastodontica Ola! 
Si aprono degli scenari incredibilmente spiazzanti e annichilenti, dietro questa copertina. 
Riassumo brevemente i fatti, consigliandovi di leggere questo giornale veramente indipendente, libero e ... fatto da seri professionisti proni a nessuno. 
No anzi, sapete che facciamo? Vi posto il commento memorabile di Travaglio. Ci rivediamo dopo! 

Insider Renzing

di MARCO TRAVAGLIO

Abbiamo spesso criticato Renzi per le sue politiche, ma abbiamo sempre pensato che fosse onesto. Cioè che facesse politica non per fare soldi o per farli fare ad amici e compari, ma perché ama il potere e la ribalta e vuole usarli per realizzare i suoi progetti (che in gran parte non ci piacciono, però fa niente). Ma, diceva Montanelli, “per quanti sforzi facciamo, di un politico non riusciamo mai a pensare abbastanza male”. Infatti ora scopriamo dagli atti di un’indagine (si fa per dire) della Procura di Roma, acquisiti dalla Commissione banche, che ci sbagliavamo. Il quadro che emerge è quello di una ributtante simonia fra interessi pubblici e privati, in barba al dovere d’imparzialità della Pubblica amministrazione e a suon di informazioni privilegiate a finanzieri-editori amici che le sfruttano per fare soldi col minimo sforzo. Come disse il compianto Guido Rossi, che però parlava di D’Alema, Palazzo Chigi è tornato a essere “una merchant bank dove non si parla inglese”. O forse lo si parlava, ma non sapremo mai con chi, perché l’indagine non è stata fatta a dovere e la lista completa degli affaristi che beneficiarono di soffiate sottobanco per riempirsi le tasche resterà avvolta nella nebbia.
È il più grosso scandalo politico-finanziario degli ultimi anni, ancor più grave del caso Boschi-Etruria e persino delle scalate dei “furbetti del quartierino”. Un’affaire che in qualunque altra democrazia stroncherebbe la carriera al protagonista. Cioè a Renzi, che qui faceva da spalla a Carlo De Benedetti, all’epoca titolare del gruppo Repubblica-Espresso, e ora anche di Stampa e Secolo XIX in società con gli Elkann-Agnelli. Tutto comincia a metà gennaio 2015: la Consob, organo di vigilanza sulla Borsa, nota un’improvvisa fibrillazione attorno ai titoli di alcune banche popolari. La più appetita è Etruria, che a furia di acquisti sale di valore fino al 65%. Cosa induce tanti investitori a comprare azioni di quella e di altre banchette pericolanti? Sanno qualcosa che i comuni mortali ignorano? La Consob attiva la Guardia di Finanza, che acquisisce dai broker gli ordini di acquisto sospetti (tutti registrati per legge). Uno è di De Benedetti che il 16 gennaio, un mese dopo aver definito in tv Renzi “un fuoriclasse”, telefona al suo broker di fiducia, Gianluca Bolengo. E l’invita a investire nei titoli di alcune banche popolari, visto che Renzi gli ha appena annunciato che sta per riformarle per decreto. 

De Benedetti: “Il governo farà un provvedimento sulle popolari per tagliare la storia del voto capitario nei prossimi mesi… una o due settimane”. B.: “Questo è molto buono (…)”.
D.B.: “Quindi volevo capire una cosa … salgono le popolari?”. 

B.: “Sì su questo, se passa un decreto fatto bene, salgono”. 

D.B.: “Passa, ho parlato con Renzi ieri, passa”. 

B.: “Se passa è buono, sarebbe da avere un basket sulle popolari (…)”. 

Poche ore dopo il broker di De Benedetti inizia a comprare titoli di sei banche popolari poi coinvolte dal decreto. Di cui ancora nessuno sa niente (a parte l’Ingegnere e chissà chi altri): solo vaghe indiscrezioni sui giornali, ma nessun accenno alle date né tantomeno alla scelta del decreto a effetto immediato. Poi puntualmente, il 20 gennaio, il governo Renzi approva il Decreto Popolari, e i titoli delle banche interessate – ora che la notizia è pubblica – salgono ancora. Così, in quattro giorni, l’editore di Repubblica ed Espresso realizza con la sua finanziaria Romed una plusvalenza di 600 mila euro: soldi che non avrebbe incassato se non avesse saputo (da Renzi, dice lui) ciò che non avrebbe dovuto sapere. Cioè se fosse stato un cittadino come gli altri. L’11 febbraio il presidente Consob Giuseppe Vegas rivela alla Camera che una serie di “soggetti hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio, eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva”, creando “plusvalenze effettive o potenziali stimabili in 10 milioni di euro”.

La Consob ipotizza un insider trading di “secondo livello” (depenalizzato nel 2004 da B. a illecito amministrativo), ma anche ipotesi di reato, infatti trasmette le carte alla Procura di Roma. Alla fine la Consob archivierà la sua istruttoria, con voto a maggioranza dei commissari e astensione di Vegas. Che fa la Procura di Roma, con quelle intercettazioni in mano? Poco o nulla: non iscrive né intercetta Renzi, De Benedetti e altri possibili soffiatori o profittatori di notizie riservate (cosa che invece fecero i pm di Milano e la gup Forleo nel 2005, alle prime avvisaglie dei reati finanziari dei “furbetti”, gettando una rete così vasta che alla fine acchiappò persino il governatore Fazio). Si limita a sentire in gran segreto il premier e l’Ingegnere come testi. L’unico indagato (per ostacolo alla vigilanza) è Bolengo, di cui 18 mesi fa il pm chiede l’archiviazione (per ora non accolta dal gip). La tesi è che non si possono sospettare Renzi e De Benedetti di insider trading perché l’Ingegnere non è preciso sulle due “informazioni privilegiate” che potrebbero integrare il reato: con Bolengo non parla esplicitamente di decreto (lo fa invece il broker, ma “in modo del tutto generico e non tecnico”), né mostra di conoscerne la data. Il 14 dicembre, in Commissione banche, Vegas parla non solo della Boschi, ma anche degli incontri fra Renzi e De Benedetti prima del Decreto Popolari. E subito la Procura si precipita a precisare che “non ha istruito alcun procedimento a carico di Renzi e De Benedetti”. Come se questo fosse un vanto. L’altra sera, a Otto e mezzo, Renzi sproloquia sul processo alla Raggi e, quando Lilli Gruber gli fa notare il caso molto simile del processo a Sala, svicola sulla Appendino. Poi aggiunge: “Mai ricevuto un avviso di garanzia in vita mia”. Un giorno o l’altro, forse, scopriremo il perché.

Capite ora l'incredibile scandalo di questa soffiata? 
Tre aspetti mi piacerebbe sottolineare, e li sottolineo: 

1) dieci milioni di euro in quella settimana, rallegrarono le tasche di ignoti "informati" o sensitivi borsistici che specularono sui titoli delle banche popolari, prima dell'arrivo del decreto. De Benedetti guadagnò 600.000 euro, e gli altri? Chi saranno stati i beneficiari di tanto ben di Dio? 
Insider trading, un reato grave; quello di secondo livello, come ricorda Travaglio, depenalizzato nel 2004 dall'Erotomane (a proposito: chissà in quegli anni del Puttanesimo quante occasioni avranno avuto nelle stanze dei bottoni per acchiappare denari con manovre borsistiche precedenti eventi governativi. E' solo un sospetto, ma se tanto mi da tanto...). Quello che colpisce è la spudoratezza di politici, di editori solo in apparenza integerrimi ad allungare mani per accaparrarsi bottini senza dignità. 

2) De Benedetti e Repubblica: potrebbe essere una risposta questa ai miei quesiti solitari, e in sofferenza, allorché notai nella filosofia di questo storico giornale, mutamenti sostanziali, capovolgimenti d'opinione nei confronti del Bomba. 
Arrivai al punto di non leggerla più, identificandola con uno sbiadito quotidiano filorenziano; eppure Repubblica negli anni del Puttanesimo era un baluardo incrollabile, un riparo per tutti coloro che assistevano inermi allo sciacallaggio di risorse e di decoro, perpetrate in quegli anni da irriducibili furfanti. 
Come reagirà Repubblica a questa notizia? 
Ieri sera il sito era ancora fissato sul discredito dei Cinque Stelle: 

e probabilmente continuerà su questa linea. Monitorerò il tutto, sperando in una liberazione professionale del grande giornale nazionale.

3) la Procura di Roma: negli anni di Mani Pulite vedevo il Pool di Milano come un gruppo investigativo di eroi, ma mi sbagliavo: stavano facendo il loro lavoro mentre, nel resto di Italia, le altre procure sonnecchiavano, quasi sbadigliando, senza portare a galla nulla di mefitico. 
Così parrebbe essere il comportamento della Procura di Roma in questo ambito. Borotalco, semplicemente borotalco, batuffoli di borotalco. Chiusura delle indagini, audizioni segrete, nulla da eccepire nel comportamento non consono al normale svolgimento delle attività istituzionali. E questo fa rabbrividire, perché se persisterà la probabile protezione giudiziaria, questa malefatta passerà nel dimenticatoio, senza liberarci definitivamente da questi editori e politicanti, affaccendati nell'affarismo. 
Ora non resta che attendere le reazioni di tutti gli Orfini, degli Anzaldi, delle Boschi già pronte sulla rampa di lancio per l'ennesimo giro di valzer garantito loro dal povero Egoriferito senza ormai più novità, saggezza e, forse, onore. 

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