lunedì 8 gennaio 2018

Articolo sui lettori

lunedì 08/01/2018
IL MARMIDONE
I passacarte del politicamente corretto fanno più danno di chi non legge mai
6 ITALIANI SU 10 NON HANNO APERTO UN LIBRO NEL 2016, MA I 4 CHE LO FANNO SONO PORTATORI DI UN FLAGELLO PEGGIORE: IL CONFORMISMO

di Pietrangelo Buttafuoco

Sei italiani su dieci non hanno letto nemmeno un libro; ma i quattro che un volume l’hanno letto – almeno uno, fosse pure dopo prescrizione medica – fanno ancora più danno.

Asino chi legge, è il caso di dire. I quattro che leggono sono portatori sani di un flagello peggiore dell’ignoranza: il conformismo.

Sono, questi della banda dei quattro, dei passacarte al servizio del politicamente corretto. Destinatari di una presunzione – quella di pensarsi migliori – sono quelli che stabiliscono il controllo sociale per tramite di abicì, l’alfabeto che insegna una sola cosa: lisciare il pelo dal verso giusto.

Diocenescampi, infatti, della Weltanschauung da Festivaletteratura di Mantova. Molto meglio la Sagra della Salciccia, se mai ci fosse da qualche parte. Ma a questo che si sono ridotti i superstiti lettori – a una sorta di Spectre della società totalitaria – se già qualunque libreria, tipo supermarket, li riconosce quale pubblico di un unico e indistinto cucuzzaro.

Per forza sei italiani su dieci si tengono alla larga. Si trovano titoli tutti idioti e tutti di mediocre fattura tra gli scarti ideologici dello spirito del tempo, la stanca pubblicistica buonista e la generica telegenica filantropia a uso di zucchine etiche disposte ad accompagnarsi, infine, a fatiche promozionali in cui la meta è una e solo una: l’apparizione da Fabio Fazio.

Un’indagine Istat relativa all’anno appena trascorso offre al pubblico cordoglio questa cifra: 6 su 10. E senza beneficio d’inventario, verrebbe da dire. Nella realtà sarà anche peggio: gli indicatori, le conseguenti analisi o le specificazioni – tipo, i giovani sono invogliati a leggere se hanno genitori lettori… – sono esercizi di ottimismo rispetto alle verità conclamate.

“Chi legge è leggendario”, diceva Totò quando nelle librerie dimorava lo spirito critico – l’andare contropelo di ogni singolo pelo – non certo la pedagogia obbligatoria di oggi. Oggi che con la messa a morte delle librerie indipendenti da un lato e con l’inadeguatezza del sistema scolastico dall’altro – come ormai nelle Università, con la lingua italiana retrocessa al rango di un dialetto – si depaupera il bagaglio artistico-culturale della civiltà per farne una sorta di repertorio standard della chiacchiera. Nell’uguale sempre più uguale: come nelle vetrine Feltrinelli, così nelle kermesse culturali.

Non c’è nulla di leggendario nel leggere se ogni mito letterario si capovolge già nella ragione sociale: non più la formazione, ovvero un qualunque romanzo che accompagni la consapevolezza di sé del lettore, bensì il consumo: un utilizzo dell’abicì per sollecitare nei famosi quattro “acculturati” – a dispetto dei beati sei “incolti” – quell’identificazione di fedeltà al tempo corrente. Ecco, urge Totò: e poi dice che uno si butta ignorante…

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