lunedì 30 novembre 2015

Prove tecniche 4 (o 5)


Le aveva perse tutte. 
Disperato si avviò verso casa, temendo l’arrivo di un inverno mentale, di quelli che non avevano lasciato scampo a molti suoi amici. Apparentemente era lo stesso: gioviale, scherzoso, con quella punta di superficialità che non guasta mai. Era ricercato in ogni luogo in cui era conosciuto per quella proprietà di pochi a indirizzare momenti e serate verso un appagamento che sollazzava amici e conoscenti.
Sapeva parlare di tutto, anche di quello che non conosceva. Utilizzava la nobile arte, difficile per altro, di enfatizzare l’interlocutore di turno, il quale ne godeva a sentirsi vincente come gladiatore in arena. 
Rimarcava passaggi ad arte dell’appena sentito, chiedendo lumi non in modalità tipica degli ignoranti, bensì quale conoscitore del tema portando ad esempio discorsi sentiti da altri che, per il fatto di essere condivisi e non frutto della sua persona, potevano anche venir contraddetti senza che il nostro subisse l’ammanco dell’errore. 
Abile come un giovane alla play station, viveva di una luce riflessa tanto fulgida quanto facilmente a lui riconducibile. 
Quella sera però fu ad un passo dal collassare. 
Le aveva perse tutte. 
Improvvisamente gli era mancato il pavimento sotto i piedi, inanellando una serie di sconfitte tremende, che avrebbero abbattuto un elefante indiano. 
Era stato scoperto dalla compagna in atteggiamento soft erotico con la vicina, il padre esigeva entro sera il rendiconto degli investimenti che gli aveva affidato, il collega d’impresa lo stava tempestando per avere il dividendo pattuito. 
Non aveva soldi, avendoli perduti in un giro troppo più grande di lui: aveva conosciuto un ragazzo ripieno di sé come una cima genovese cucita a mano, che lo aveva ammaliato con la solita promessa di guadagni facili, come se i coglioni fossero quelli che preferiscono andar sul sicuro. 
Quel tipo incontrato in ascensore era stato tanto abile che una mattina lo sventurato aveva prelevato i suoi soldi, quelli del socio ma soprattutto quelli del padre, affidandoli a quella specie di broker con faccia da bimbo ma essenzialmente a posteriori rivelatosi uno squalo mascherato.
Quando succedono eventi di questa portata, la testa scarta l’opzione più semplice, ossia la constatazione di essere stato incaprettato, per valicare montagne di ovvietà, cieli con voli pindarici, scuse inviate e prese per buone fino a digerire, motivandolo, sparizioni improvvise del fantomatico economista bambino, con idiote spiegazioni legate al clima, ad un lutto per un parente lontano, ad una partenza improvvisa per doglie anticipate di una cugina irlandese. 
Mai al nostro amico s’affacciò nella mente l’ipotesi più nefasta ma ahimè, vera: quella di esser stato bidonato. 
Questa consapevolezza apparve, come nefasto annuncio di una repentina perdita di pressione, tanto da farlo svenire, quella mattina. 
Un fulmine, un lampo, una variopinta pioggia di merda che stava affogando ogni frivolezza, ogni felice sensazione dentro di lui. Errava nei luoghi familiari senza conoscerli, rispondeva con monosillabi a tutte le sollecitazioni che amici, per convenienza, lanciavano in aere per ottener grati il ritorno del numero circense, dell’avvitamento linguistico, dell’effervescenza riconosciutagli, interrogandosi successivamente, spaesati, sul perché di tale mancanza, di tale mutismo quasi a pretendere indietro il prezzo di un biglietto mai pagato, né staccato.
Il vagabondo nella città che lo aveva incensato per tanti anni, non sapeva ove poggiare il capo, non trovava una persona che lo potesse ascoltare nella modalità a lui sconosciuta, dove gli occhi del cuore si posano su distese pullulanti di crepacci, di casse chiuse a forza e contenenti lutti filosofali, incertezze, empietà, galoppanti cavalli bradi, disconnessioni sociali, incertezze ancestrali. 
Nessuno lo poteva ascoltare, perché avendo mai agito negli anni per se stesso, avendoselo interdetto, negato, vietato.

Da quel giorno scomparve alla vista di molti. 

Pochi s’accorsero della dipartita; gli ambienti glamour subito lo sostituirono con altri adepti, il ricordo fu affogato dentro un Margarita serale. In famiglia, oramai dentro le strette economiche provocate dalla sua snaturata gestione, lo maledirono a lungo. 
Le ricerche, tenute in vita solo dal socio bramante il suo denaro, alla fine cessarono. 
Su uno scoglio lontano, al riparo da tutto, guardando il mare increspato, un uomo mai più ragazzo, mai più gioviale, era intento nella lettura di un suo scritto che iniziava così:
“Le aveva perse tutte. 
Disperato si avviò verso casa, temendo l’arrivo di un inverno mentale, di quelli che non avevano lasciato scampo a molti suoi amici...

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