“C’erano una volta Adolf, Benito, Renzi Grillo e Vannacci…”
IL LIBRO DI VESPA - Il modello “butta dentro tutto”
DI DANIELA RANIERI
Ormai lo si sa, anche se nelle redazioni si finge il contrario: il libro natalizio di Bruno Vespa non è propriamente un libro, è piuttosto un minestrone di gossip politico inserito dentro un contenitore fittizio che ogni anno cambia per giustificare una nuova uscita. Più specificamente: si tratta di una risma di pizzini che i politici mandano all’opinione pubblica e/o a soggetti terzi, avversari ma più spesso alleati o nemici interni, attraverso il medium Bruno Vespa, il quale per dar loro legittimità li infila in un saggio di levatura opinabile su argomenti vari, con preferenza il fascismo e Mussolini. L’argomento è solo un pretesto: Vespa deve avere una specie di ufficio marketing che ogni anno gli referta cosa è andato di moda nei mesi precedenti (quest’anno era guarda caso Mussolini, dalla serie Tv sul libro di Scurati ai cimeli dei governanti); quel che “tira” di più diventa la scocca, la quale poi va farcita col vero contenuto del libro, che appare nel sottotitolo: l’Italia di oggi, con inchino ai potenti di turno (purché non siano Conte). Questo consente al libro di essere venduto e regalato a Natale dalla piccola borghesia come preteso oggetto di “cultura”.
Quest’anno il contenitore è Hitler e Mussolini. L’idillio fatale che sconvolse il mondo, e tu che sei stato in coma per 30 anni pensi che si tratti di una riedizione in chiave divulgativa dell’opera di De Felice; poi però leggi il sottotitolo: “(e il ruolo centrale dell’Italia nella nuova Europa)” e capisci, man mano che si avvicina l’uscita del “libro” ed escono come fucilate le anticipazioni sulla stampa a edicole unificate, che è tutto un alibi per elogiare la Meloni che ha rifatto grande l’Italia in Europa (almeno nella masseria di Vespa).
Oltre che alla suddetta Meloni, il libro contiene (e in definitiva è) una serie di mini-interviste inoffensive: a Schlein, Tajani, Salvini, Conte, Renzi, Calenda, Crosetto e persino alla new entry Vannacci, ospite in estate nella mitologica masseria, con cui Vespa entra in un’imbarazzante, empatica complicità: “Ha preso una valanga di preferenze. Ho fatto i conti con lui”; “Con il generale Vannacci celiamo sul fatto che lui non esclude mai nulla”, “Il generale ricorda sempre nelle preghiere serali Paolo Berizzi, il giornalista della Repubblica autore di una violentissima campagna contro il libro: un modo infallibile per portarlo al successo”. A proposito di idillio fatale.
In questa specie di Dagospia ripulita, è chiaro che di Mussolini e Hitler, al libro in sé come creatura vivente (è pur sempre fatto di carta, che viene dagli alberi, ahinoi), non frega palesemente niente. Ma Vespa entra in confidenza pure con loro: “Diventano così ‘umani’, così ‘normali’, che finisci per dargli del tu, pronto a raccoglierne le confidenze. Eccomi, dunque, accanto a un ragazzo austriaco un po’ disadattato di nome Adolf”, e naturalmente Mussolini è “Benito”, “un focoso giovanotto romagnolo” (giusto per non alimentare la leggenda metropolitana che lo vuole figlio segreto del Duce). Come prendere la Storia e farne salsicce del discount.
L’anno scorso, la cornice era diciamo la geopolitica, da cui il titolo Il rancore e la speranza. Ritratto di una nazione dal dopoguerra a Giorgia Meloni, in un mondo macchiato di sangue, dove il sangue e il rancore venivano sbrigativamente dilavati dalla schietta, caparbia Meloni (“Io sono del segno del Capricorno. Molto schematica”), e dentro cui Vespa infilò di tutto: Israele, l’Ucraina, Zelensky, Renzi, Berlusconi, Calenda (come a Porta a Porta; mancavano solo i fanghi sciogligrasso e il plastico della casa di Cogne); non mancavano le fake news, tipo quelle su inesistenti video di bambini israeliani decapitati da Hamas o sui prodigi economici del governo Meloni, decantati dalla stessa senza contraddittorio. Sì, perché quando un potente parla, Vespa trascrive automaticamente senza verificare, senza obiettare, come uno sciamano in trance sotto l’effetto di mescalina.
Il nostro preferito è quello del 2020, dove Vespa, in palese carenza di potenti da adulare, sfiorò l’apoteosi. Titolo: Perché l’Italia amò Mussolini (e come è sopravvissuta alla dittatura del virus); in esso veniva avanzata l’audace analogia tra il Duce e il Covid: “Questo libro racconta la storia di due dittature, quella di Benito Mussolini e quella del signor Covid (sic, ndr). Si apre con una passeggiata in piazza Venezia: stracolma per i grandi proclami del Duce negli anni del consenso… deserta durante il drammatico lockdown della primavera 2020. Entrambe le dittature hanno soppresso o limitato la libertà degli italiani… ma se allora Mussolini ebbe un’enorme popolarità interna e internazionale, l’Italia ha resistito al virus con un odio sordo, sconfiggendolo con la disciplina in primavera e rivitalizzandolo con la confusione in autunno”: in pratica Mussolini (anzi: Benito) ha sì tiranneggiato gli italiani, ma meno di Conte che li ha chiusi in casa.
Ottima l’annata del 2021: Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando), come no, s’è visto. Notevole nel 2017 Soli al comando. Da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi, da Hitler a Grillo. Storia, amori, errori (“Che differenza c’è tra Kennedy e Trump? E tra Stalin e Putin? Tra Renzi e De Gasperi? Tra Mussolini e Berlusconi? Tra Hitler e Grillo? Sotto ogni cielo, i popoli sono sempre stati affascinati dagli uomini soli al comando”: stupefacente). Sublime nel 2015 Donne d’Italia. Da Cleopatra a Maria Elena Boschi, presentato al Tempio di Adriano proprio da Renzi, a riprova che di tutto si trattava fuorché di cultura.
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