lunedì 18 novembre 2024

Il Maestrone e Corona

 



IL DIALOGO
Guccini & Corona "Avevamo previsto tutto questo"
Uno taciturno cantastorie dell’Appennino, l’altro irruento dolomitico Entrambi a fare i conti con gli anni, le paure e i ricordi perduti Qui insieme si confessano: "Non è facile invecchiare senza maturità"
di EMILIO MARRESE
PàVANA (PISTOIA)
Ci vuole scienza, ci vuol costanza a invecchiare senza maturità. Guccini lo cantava, Corona dice che ci è riuscito, purtroppo o per fortuna. «Rispetto ai miei trent’anni – riflette Francesco, classe 1940 - sono leggermente più maturo, ma solo per mancanza di energia. A Mauro invidio la libertà che si è regalato di dire sempre quello che gli passa per la testa senza ritegno e affermare la propria personalità, è una valanga. Io non riesco a smollarmi, solo ogni tanto, raramente».
«A Francesco invece invidio la cultura – replica Mauro, classe 1950 Avrei voluto studiare, ma quell’ubriacone delinquente di mio padre mi diede un calcio nel sedere. Tutto quel che so è frutto di un empirismo sgangherato, invece che di un percorso di conoscenza scolastico. Ho rubacchiato qua e là. Mi secca aver dovuto imparare tutto da solo: a scalare, a scolpire, a scrivere. I miei mi hanno insegnato solo a bere».
Guccini e Corona, che incontriamo in un’osteria di Pàvana, appennino tosco-emiliano dove vive il cantautore, sono uniti dalla montagna, dalla politica, dalle osterie appunto, dal vino, dalla scrittura, dal passato e dalla paura. Ragazzi irresistibili, un orso e uno stambecco, appenninico pigro e taciturno l’uno, dolomitico muscoloso e incontenibile l’altro.
«Veniamo dalla stessa povertà e fatica, anche se quelli delle Dolomiti ci disprezzano. Ma Tomba ha imparato a sciare qui», rivendica il Maestrone. Si conoscono da decenni. «La prima volta ci siamo incontrati a Bologna – racconta Mauro - mi ricordo che al ristorante andando in bagno vidi una grossa palla nera che mi pareva un profitterol e me la misi in bocca. Era un tartufo. Avevo bevuto, non me ne vanto. L’umanità di Francesco mi appartiene, qualsiasi cosa cantasse e dicesse era poesia pura, sono cresciuto con le sue canzoni. Vengo dagli escrementi della vita e mi ritrovo a parlare con quelli che prima vedevo in tv. Al Bano mi manda anche le casse del suo vino».
«A me no, diglielo».
I loro ultimi libri sono rivolti indietro nel loro tempo, racconti autobiografici. Come eravamo di Guccini (Giunti), Lunario sentimentale di Corona (Mondadori).
«Il futuro è nel grembo di Giove – dice Guccini, sorseggiando Traminer - chi lo conosce? Che speranza posso avere alla mia età? Quella di arrivare a 94 anni? Il presente invece è così fugace, è un attimo. E allora non restano che le esperienze fatte, le persone conosciute, le donne amate e la mente torna a quello. Viviamo costantemente nel ricordo. Il passato è stato più emozionante. Giorni belli e brutti, piccoli successi e insuccessi. Anche nelle mie canzoni raccontavo la vita vissuta, da me e dagli altri. Continuo a farlo per il puro piacere di raccontare».
«A me il passato fa male, mi assale – irrompe Corona, tracannando Traminer - , la fanciullezza viene a trovare la vecchiaia. Però se lo paragono alla frenesia del presente, a tutta questa voglia di correre, ieri mi sembra più pacifico. Non ci mancava quel che non conoscevamo.Cito sempre Brodskij: se c’è qualcosa che può sostituire l’amore è la memoria. Ho bisogno di una garza di dolcezza che tenga insieme quel passato che mi sembrava terribile e ora rivedo bello. Rivedere quel ragazzino che lavorava in malga dai sette anni mi fa star bene. Si scrive per non dimenticare, per stare a galla, per far sapere al mondo che ci sei, non per vanità ma per paura».
«Io ho cantato il mondo che ho visto – riprende Guccini - anche con la sua moralità, la Weltanschauung della civiltà contadina che ora non esiste più, così com’è scomparso il dialetto. Son cresciuto con gente nata nell’800 e parlo con i ragazzi del Duemila. Se uno conosce il passato, come fa a dire che Mussolini è stato uno statista? Ma come? Dove? Quando? Perché?»
Nostalgia canaglia l’hacantata qualcun altro. «Non ho malinconie né nostalgie – garantisce Guccini - Oggi stiamo molto meglio, abbiamo la magia dell’acqua calda e della stanza riscaldata quando vai a letto. Dei tempi moderni provo disagio solo davanti ai social che fanno danni irreparabili. Non rimpiango nulla, se non che avrei voluto discutere di più con mio padre e avrei voluto farmi raccontare di più da mio zio minatore negli Stati Uniti. Non me lo perdonerò mai. Ma se becco Seneca con la sua De senectude lo picchio: la vecchiaia fa schifo. Ricevo montagne di libri e non posso più leggerli, non ci vedo più e questa è una cosa che mi procura un dolore immane, immenso. Una tragedia».
E allora arriviamo lì, alla paura. «Mi spaventa il decadimento mentale, non la morte. Ho pauradi perdere i ricordi». «A me fa paura la malattia – concorda Corona Ho visto tanti amici morire nel dolore contorcendosi atrocemente. Imploravamo di essere lasciati andare, ma la legge non lo permette: la vita è sacra, dicevano i medici e a momenti mettevo loro le mani addosso. Ma sacra un c...o, quella non è più vita! Ho paura del tempo che passa e non voglio perderne. Per questo sono contento della mia insonnia che mi ha fatto vivere il doppio. Mi sforzo anche per non dormire. La notte sei solo tu e basta. Mi immergo nel silenzio, ascolto i gufi che imprecano, entro in un mondo mio, scolpisco, bevo, scrivo. Se scolpisco o scalo non mi tolgo le mie paure, se invece scrivo sì perché mi annullo. Non mi riconosco quando vado in tv, recito la parte del rompipalle ma quello non sono io».
Guardandosi indietro, si rivedono le orme lasciate. «Mah – si schermisce Guccini - il successo, ammesso e non concesso che l’abbia avuto, per me è stata la possibilità di comprarmi tutte le sigarette e i libri che volevo. Ora non posso più fumare né leggere». Il successo è un gufo, scrive Corona: se lo insegui scappa, se ti fermi seduto viene sulla tua spalla.
«Non l’hocercato, è arrivato. Ho venduto quasi cinque milioni di copie – dice Corona – ma dei soldi non so che farmene, guarda come mi vesto. L’unico vantaggio della notorietà, dopo aver bevuto petroliere di porcherie, è il vino buono gratis e il viagra. Ho nostalgia del poco che avevo, mi sento un ladro legalizzato, non ho più desideri. Sono stato fortunato, a parte la malattia dei miei figli che mi ha distrutto. Nulla è stato facile. Andavo a chiedere l’elemosina con mia nonna e per quello sì che ci vuol coraggio, altro che scalare. Spero che mio padre mi veda ora dall’inferno, dove gli auguro di stare: gliel’ho fatta vedere io a quel mascalzone che picchiava tutta la famiglia. Quando gli portai il mio primo libro lo buttò nel camino».
Il padre di Francesco, invece, non è mai andato a un suo concerto. «Ma non lo biasimo e non mi fa male. Non gli interessava, semplicemente. Avrebbe voluto fare il maestro, ma gli fecero fare il perito elettromeccanico, veniva da una famiglia di mugnai ignoranti, non aveva studiato, ma sapeva fare tutto con le mani. Era zen, senza saperlo».
Dalle loro vette, come sentinelle, avevano previsto tutto questo, le attuali conclusioni.
«L’avevo scritto neLa fine del mondo storto nel 2011, l’unico mio libro che salverei – dice Corona -: sopravviveranno solo i contadini e i ricchi dovranno bruciare i loro Van Gogh per scaldarsi, in un mondo rimasto senza petrolio né elettricità. Ora bisognerebbe avere il coraggio di spostare case e negozi perché l’acqua va dove trova un passaggio, inutile fare dighe. Avremo un’alluvione all’anno». «Non ci sono più i contadini a ripulire i campi e le canalette, nessuno sorveglia più la natura, le case cantoniere sono abbandonate. È che la gente non si accontenta mai, vuole sempre di più».

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