“Con le leggi del governo le mafie hanno vita più lunga”
GRATTERI & NICASO - Per il pm e lo storico, non colpire la corruzione rende ‘ndrangheta &C. più forti: siamo assuefatti A conquistare il mondo (e l’Artico) le Triadi cinesi
DI MADDALENA OLIVA
Qualche mese fa, sono volati insieme nelle Americhe per indagare i principali flussi di cocaina, nell’anno in cui la produzione globale ha segnato un nuovo livello record, con oltre 2.700 tonnellate e 355mila ettari coltivati: tra Bogotà, Cartagena e selva colombiana. Convinti che, anche nella dimensione più ibrida, il narcotraffico resti il principale motore che muove le mafie e soprattutto quei guadagni che hanno permesso, negli anni, alle organizzazioni criminali – dalla ’ndrangheta alle Triadi cinesi – di diventare parte strutturale del sistema economico e del capitalismo. Il Procuratore di Napoli Nicola Gratteri e lo storico Antonio Nicaso tornano in libreria, il 19 novembre, con Una Cosa sola. Come le mafie si sono integrate al potere: un viaggio, lungo i continenti e gli ultimi decenni, per spiegare come le mafie si sono trasformate. E come, anche se ci sforziamo di non vederle, sono ancora lì, più ricche e potenti che mai.
Procuratore Gratteri, lei ha sottolineato come “abbattere le mafie sia un’utopia, colpa delle riforme sbagliate”. A cosa si riferisce?
G: Alla miopia diffusa e alla necessaria determinazione che manca, avendo in mente l’obiettivo di sconfiggerle, le mafie.
Eppure Giorgia Meloni, appena eletta, aveva assicurato che “la lotta alla mafia ci troverà in prima linea; da questo governo criminali e mafiosi avranno solo disprezzo e inflessibilità”.
G: Tutti i governi degli ultimi venti anni hanno fatto poco o niente. A oggi la situazione non è cambiata. Soprattutto, non si è fatto nulla per stare al passo con l’evoluzione delle mafie, anche nel cyberspace. Non si è investito, penso per esempio a una migliore preparazione delle polizie giudiziarie. E tutto quello che si è fatto e si sta pensando di fare non aiuterà chi è in prima linea. Le priorità ora sono altre, come l’abolizione dell’abuso d’ufficio, il ridimensionamento del traffico di influenze, la separazione delle carriere, l’impossibilità per i giornalisti di pubblicare il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare, la stretta sulle intercettazioni e i trojan per i colletti bianchi…
E, se aggiungiamo la delegittimazione del lavoro dei magistrati, si crea così un ambiente più favorevole alla penetrazione mafiosa…
G: Purtroppo, sì. Le mafie incontrano sempre meno resistenza, e grazie a reati come la falsa fatturazione riescono a penetrare in ambiti imprenditoriali e geografici senza timore. Chi un tempo veniva percepito come vittima oggi è complice. L’errore è sempre quello di ignorare il contesto in cui le mafie operano, evitando di colpirle sul terreno viscido della corruzione e della collusione. Invece di recidere il reticolo di potere che da oltre 160 anni alimenta e legittima, si continua ad aggirare il problema, come fossimo assuefatti. La corruzione sta consentendo alla ’ndrangheta di radicarsi lontano. Le camorre sono sempre più agguerrite, Cosa nostra è tornata alle vecchie abitudini e si muove senza farsi notare. E le mafie garganiche iniziano a espandersi.
Da più parti, la politica vuole mettere mano alla legislazione antimafia. Una riforma è necessaria?
N: Le leggi non sono scritte sulla pietra. Il metodo mafioso sta cambiando, adeguandosi al mercato. Sarebbe auspicabile un confronto sereno, ma al momento pare impossibile.
Le mafie sembrano aver abbandonato la violenza per diventare parte strutturale dell’economia. Come, e se, stiamo contrastando questo fenomeno?
N: La criminalità organizzata oggi dispone del più grande ammontare di capitali liquidi, pari all’8-10% del Pil mondiale. Ma per impoverirla si fa poco, in Europa, per esempio, si confisca meno dell’1% dei beni illegalmente conseguiti. Quanto alla violenza, le mafie l’hanno quasi sempre centellinata: per prosperare sanno che serve profilo basso e collusione con i poteri forti.
G: Le mafie non vengono considerate un rischio geopolitico. Forse per evitare di combatterle seriamente, come si è fatto con il brigantaggio e con il terrorismo. E anche con gli stessi Corleonesi. Se le mafie riconoscono il ruolo primario dello Stato e lo Stato non utilizza tutte le risorse necessarie a contrastarle si crea una sorta di stasi che sta bene a molti.
Il narcotraffico resta la principale fonte di ricchezza, anche ora che tutto è più ibrido?
N: Non c’è mai stata tanta cocaina in circolazione. E alle piazze di spaccio tradizionali si sono aggiunte quelle virtuali, garantite dai mercati nel darkweb.
Voi siete stati precursori nel leggere questa mutazione. Credete che – visto il dibattito sul ddl cyber, nato con l’inchiesta della Procura di Milano – i reati informatici vanno equiparati a quelli di mafia?
G: Sono mondi che oggi tendono sempre più a sovrapporsi. Non capire questa evoluzione significa ritardare gli interventi normativi utili a non perdere ulteriormente terreno.
Se guardiamo alle mafie made in Italy, la regina resta la ’ndrangheta?
G: È la mafia che si è più adeguata alla globalizzazione, non siamo più negli anni 90 quando era considerata una mafia stracciona. Oggi è presente in almeno 40 Paesi, ha rapporti commerciali con le organizzazioni criminali più importanti e accumula profitti enormi grazie al traffico di droga.
E a livello globale?
N: Direi le Triadi, le mafie cinesi. Ci sono segmenti di questo franchising criminale che si sono impadroniti di traffici importanti, come droghe sintetiche e contraffazione, ma soprattutto tengono in mano gran parte della finanza criminale: il 90% delle cosiddette banche sommerse lo gestiscono loro.
Nel libro descrivete l’Artico come territorio di “conquista” delle organizzazioni criminali.
N: Sono le nuove frontiere, specie con lo scioglimento dei ghiacciai e la possibilità di rendere navigabile la rotta artica.
Le mafie non sono state sconfitte – spiegate – perché hanno sempre fatto parte di un sistema di potere egemone, quello dei ceti dominanti. Ancora oggi non c’è indagine di mafia che non contenga un pezzo di politica. Come se ne esce?
G: Bisogna prima stabilire se c’è realmente la volontà di uscirne, perché se continuiamo a combatterle solo con manette e sentenze faremo poco, rispetto a ciò che servirebbe. A costo di ripetermi, bisognerebbe sedersi senza pregiudizi attorno a un tavolo e studiare misure efficaci ed efficienti, nel rispetto della Costituzione, per far fronte alle mafie con un approccio olistico. La prima linea è rappresentata da famiglie e scuola. Se non investiamo in istruzione e occupazione, non riusciremo a bonificare i territori. Ovviamente mi riferisco ai luoghi di origine delle mafie. Al Centro-Nord la partita è più difficile e le armi vanno affinate: oltre alla confisca dei beni, bisogna spezzare le collusioni e i legami con il mondo politico, delle imprese e delle professioni, magari con strumenti nuovi sul piano normativo.
La forza delle mafie è direttamente proporzionale alla debolezza della politica. Considerata la maggiore pervasività della presenza mafiosa, dobbiamo dedurre che mai la politica è stata così fragile?
G: Non posso che essere d’accordo con lei. Le mafie ingrassano quando la politica è debole, divisa, litigiosa. Quando i poteri dello Stato fanno di tutto per delegittimarsi a vicenda, non danno una buona immagine di sé. Vedo solo “caciara”, mentre servirebbe senso delle istituzioni e volontà politica nel combattere sia le mafie sia la corruzione.
Le mafie creano tradizionalmente una domanda di legittimazione sociale. Oggi, da Milano a Napoli e a Palermo, accettiamo la placida convivenza…
N: Mi piacerebbe che il mio amato Paese si svegliasse non soltanto dopo delitti eccellenti e stragi, ma per senso di responsabilità, per rispetto dell’art. 54 della Costituzione, quello che invita a adempiere le funzioni pubbliche con disciplina e onore.
Lo scrittore calabrese Corrado Alvaro diceva che “la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. Profetico?
N: Anche se a smentirmi sono i fatti, mi piace pensare che Alvaro fosse troppo pessimista. Tangentopoli e le recenti inchieste giudiziarie hanno messo in luce fenomeni di corruzione che hanno minato la fiducia nelle istituzioni e nei comportamenti onesti. Bisogna invece educare al rispetto delle leggi e alla creazione del bene comune: la lotta alle mafie inizia dai banchi di scuola, dal primato del sacrificio rispetto a quello della scorciatoia e della raccomandazione. Serve una mentalità nuova. E serve prendere posizione: il silenzio è complicità.
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