venerdì 25 ottobre 2024

Elena

 

Il disprezzo del nemico produrrà più barbarie
DI ELENA BASILE
Chissà perché l’umanità sembra incapace di apprendere dai propri errori. Le lezioni della Storia sono ignorate. In politica estera il nemico viene disumanizzato e demonizzato. Ci si rallegra della morte degli avversari come se il Diritto internazionale includesse la legge del “dente per dente occhio per occhio”. Si arriva in questo modo alla barbarie che dimentica i principi fondamentali dell’umanesimo, quelli che ci insegnava Dostoevskij in grado di cogliere quel che accomuna il più temuto assassino con la persona considerata perbene nella società.
Questo non significa che la moralità non esista e possa essere confusa con la criminalità, che Netanyahu sia uguale a San Francesco. Il pensiero cristiano e dostoevskiano parte dal presupposto che ognuno di noi è il prodotto del suo vissuto e che le condizioni sociali, il dolore, le discriminazioni oltre che la genetica e a volte il caso, ci rendono buoni o cattivi. La consapevolezza degli errori e del dolore affratella gli esseri umani. Un grande artista può descriverci la storia di un terrorista e commuoverci come può raccontarci quella di un politico stimato e disgustarci. Alla base c’è sempre la stessa umanità debole , feroce, spietata, vigliacca, eroica, la stessa. Secondo Salvini l’immigrato di colore che minaccia col coltello il cittadino italiano deve essere ucciso e in fondo “non ci mancherà”. Per molti Putin è un macellaio della cui morte dovremmo rallegrarci. Nashrallah un terrorista che è un bene sia stato ucciso. Ecco la barbarie nichilista dei nostri tempi.
Tornando dopo questa premessa di carattere etico-filosofico alla politica, sembrerebbe ugualmente ovvio che Israele non aumenterà la propria sicurezza decapitando la leadership dei movimenti ritenuti terroristi. L’organizzazione terroristica è sempre in grado di rimpiazzare i propri leader, è organizzata in forma piramidale e per cellule. Assassinare i Nashrallah e i Sinwar purtroppo serve soltanto a eliminare un negoziatore, che sarà rimpiazzato, come la storia ha già dimostrato, da qualcuno forse più giovane e inesperto, più incline a vendicare il predecessore e a scegliere una linea ancor più dura. La politica è costituita da ben altri elementi. La conoscenza del nemico e delle sue ragioni è fondamentale se si vuole raggiungere una mediazione, se si vogliono rimuovere le cause del conflitto. In particolare in Russia non servirebbe ammazzare Putin in quanto le ragionevoli e legittime preoccupazioni di sicurezza della Russia che non accetta basi militari Nato ai suoi confini, resterebbero quali sono. L’eliminazione di Putin porterebbe al potere l’interprete di una linea ancora più dura e azzardata nei confronti dell’Occidente. Allo stesso modo, eliminare gli esponenti di Hamas o degli sciiti libanesi e iraniani può soltanto isolare Israele, incattivire l’opinione pubblica araba sunnita e sciita, e fare aumentare il numero dei terroristi decisi a morire pur di vendicare i propri martiri. L’odio alimenta odio. Israele potrebbe costruire la propria sicurezza soltanto riconoscendo le ragioni più che legittime dei Palestinesi, combattendo la radicalizzazione con una politica equa e lungimirante di cui dopo Barak (2000) non si è vista l’ombra.
L’Occidente potrebbe aiutare la crescita democratica di Israele e la sua sicurezza se stigmatizzasse con sanzioni i comportamenti illegali, il mancato rispetto del diritto umanitario, i crimini di guerra, i molteplici eccessi di un governo che straccia la Carta delle Nazioni Unite, applica forme di apartheid e disumanizza un popolo per poter procedere alla pulizia etnica.
Certo la forza bruta può rivelarsi vincente. In fondo gli Stati Uniti sono nati anche in virtù dello sterminio dei pellerossa. La storia dell’Occidente e dell’uomo bianco e dei suoi privilegi è fondata sull’assassinio degli innocenti, dalle Crociate al Colonialismo. Ai tanti che fanno un’ebete domanda: “Noi preferiamo vivere in Occidente, tu perché non te ne vai?” risponderei che certo, meglio vivere in Israele che in Palestina, forse a Parigi e non a Mosca, ma il punto è: vogliamo godere dei nostri privilegi abbeverandoci al sangue delle vittime (palestinesi, ucraini, russi, iracheni, libici e rimontando nella storia fino ai nativi americani ingiuriati dall’industria cinematografica hollywoodiana)? Il bello e bravo generale Custer contro il barbaro capo pellerossa. La storia è sempre la stessa, la propaganda dei più forti e dei vincitori anche.
Leggo che il film su Enrico Berlinguer è celebrato dalla politica. Nell’osservare la classe dirigente imbellettata, in parte da me personalmente conosciuta, sostenitrice per alcuni aspetti dell’odierno scempio morale e politico, penso a Berlinguer che si rivolta nella tomba: lui, simbolo di una alterità, di una visione etica della politica che aveva captato la fiducia delle masse.

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