Controllo. Siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i dati (rubati)
di Alessandro Robecchi
“Guardi che ha il colesterolo alto, se ci dà 200 euro le diciamo anche glicemia e trigliceridi”. Finirà così, potete giurarci, con i nostri corpi esposti, tutto archiviato, tutto stipato da qualche parte, in qualche armadietto, o server, o database, che ci assicurano essere segretissimo e impenetrabile, e dove entrare sarà (è) uno scherzetto da ragazzi. Il fatto è che ci sono, là fuori, nell’universo, magari ad Afragola, o a Belluno, o in un server lituano, tutti i vari pezzettini della nostra vita, che a comporli, a montarli come un mosaico, ci darebbero la biografia assoluta e incontestabile, lo screening delle nostre azioni, pulsioni, desideri, bisogni, fantasie, conti in banca e relazioni. Toccherà aggiornare Shakespeare: siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i dati.
Che una banda di farabutti, metà uomini d’ordine (l’ex poliziotto) e metà uomini di mercato (il manager-imprenditore) peschi affondando le mani fino ai gomiti nei segreti di vip e sottovip, alla ricerca di informazioni utili al ricatto, non sembra una gran novità, se non per l’ampiezza del fenomeno. E le pagine e pagine e pagine che raccontano la vicenda, con aneddoti e storielle, dettagli e particolari, sembrano fatte apposta non tanto per creare l’allarme che la situazione giustificherebbe, ma per placarlo. Visto? Li prendono. Visto? Che scandalo. Adesso più controlli, norme più severe, pene più alte. La solita storia che non cambierà niente, perché non esiste segreto che non possa essere violato: il semplice fatto di essere segreto prevede una sua possibile rivelazione.
Al punto che siamo vicinissimi al paradosso: essere spiati è una specie di status symbol: nessuno ti controlla, nessuno ti guarda il conto o la fedina penale? Nessuno ti legge i whatsapp? Che sfigato!
E poi c’è la doppia morale, tripla, quadrupla, insomma, tutto il pantone colorato delle morali che siamo abituati a vedere. Perché c’è grande scandalo per gli spioni che frugano nelle vite degli altri per i loro fini politico-criminali, che sono deplorevoli delinquenti, ma poi si perdona tutto a chi lo fa in altri modi per fini economico-commerciali. Cercate un maglione e vi compariranno maglioni per settimane, digitate “stampante a colori” e per giorni e giorni e giorni sarete inseguiti da inserzioni, e recensioni, e offerte e prove su strada. Di colpo, che ti serve una stampante lo sanno tutti, a tutte le latitudini, dall’Argentina al Kirghizistan,. Vi aspettate che suoni il citofono da un momento all’altro: “Chi è”? “Sei tu lo stronzo della stampante”? Ciò che oggi si rimprovera ai ricattatori tecnologici, lo si permette, non da oggi, al mercato.
E naturalmente ci culliamo nell’illusione di avere – in democrazia – qualche minima garanzia di riservatezza, di rispetto, che è un’altra fesseria grossa. Perché le garanzie scadono, cambiano, si dissolvono davanti a questa o quell’emergenza contingente, che sia la peste o il terrorismo, per dirne una. E allora non solo si permetterà il controllo totale e capillare, ma lo si invocherà, si creerà – come si è visto più volte – un movimento d’opinione che dirà: controllateci, vi prego! Come se ce ne fosse bisogno.
E poi, naturalmente, scatterà la logica tagliente e subdola del controllore: ma se non hai niente da nascondere, perché ti arrabbi? Ecco fatto, controllati e controllori uniti nella lotta, tutto pronto per la democratura prossima ventura, che la temiamo molto, la evochiamo come rischio, ci spaventa e ci sgomenta. Ed è già qui, ci guarda da un server. E ride.
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