Quelli che ci insultavano scoprono il flop ucraino
DI DANIELA RANIERI
Il Corriere stura tutto d’un botto la sordina alla verità circa l’andamento della guerra in Ucraina, che stiamo militarmente foraggiando e ideologicamente fomentando da quasi due anni, e riporta un servizio del Time secondo il quale Zelensky è “arrabbiato” e “si sente tradito dagli alleati occidentali che lo hanno lasciato senza i mezzi per vincere”. L’autore dell’articolo del Time, Simon Shuster, riferisce anche che uno degli uomini più vicini a Zelensky dice che la sua fede nella vittoria “tende al ‘messianico’, ed egli ‘si illude’”: “Abbiamo esaurito le opzioni. Non stiamo vincendo, ma prova a dirglielo…”. Praticamente l’eroe dei servizi patinati di Vogue, colui che l’Occidente ha issato a baluardo della democrazia e a icona del mondo libero, stando alla rivista americana e alle sue fonti somiglia più a un mattoide che si crede Napoleone (il Corriere, struggente: “Zelensky non è più Zelensky. Non fa più battute o scherzi osceni per stemperare la tensione nella ‘stanza della guerra’”). Dal momento che anche il comandante delle forze armate di Kiev dice all’Economist che in Ucraina c’è una “guerra di posizione e di logoramento che favorirà la Russia permettendole di riorganizzarsi e di minacciare non solo le forze ucraine ma lo Stato stesso”, è chiaro che la situazione non è affatto come ce l’hanno raccontata finora (anche per giustificare i 25 miliardi di euro in aiuti militari dall’Ue all’Ucraina).
Mentre negli Usa si può dire ormai da un pezzo che la controffensiva è fallita e al Congresso i Repubblicani si oppongono a nuovi invii di armi, mentre da noi il Parlamento è silenziato e decide tutto il governo, i nostri giornali padronali ancora mantengono uno stretto riserbo sulle operazioni, hai visto mai alla gente distratta per la guerra a Gaza si può ancora far credere che sul terreno si combatte centimetro per centimetro. E mentre il povero Zelensky, anche lui una vittima delle politiche rovinose della Nato in Ucraina, crede davvero di poter vincere, loro sanno benissimo come stanno le cose, ma non vogliono ammetterlo, e fischiettano sereni. Ancora il 7 ottobre Repubblica pubblicava l’appello-minaccia di Zelensky (“Armateci o toccherà a voi”) e un’intervista a un oligarca dissidente russo che si rammaricava per il fatto che “l’Italia balbetta sulle armi a Kiev”; intanto Meloni incontrava Zelensky a Granada e lo rassicurava che il governo avrebbe varato l’ottavo decreto armi (ovviamente secretato: siamo o non siamo una democrazia?) perché ne andava della “nostra libertà”. La controffensiva era talmente importante per l’Europa che i suoi governanti hanno distratto fondi del Pnrr destinati alla “resilienza”, qualunque cosa essa fosse, per sovvenzionare l’industria bellica.
Adesso Meloni rivela al telefono a due comici russi, credendoli un leader africano, che avverte “stanchezza”. E sì che ci si erano messi di buzzo buono a intortare l’opinione pubblica, anche attraverso la messa al bando, il dileggio e la diffamazione di chi aveva dubbi che l’Ucraina potesse riconquistare tutti i territori occupati dalla Russia e battere le truppe di Putin. Mentre osservatori imparziali (come John Mearsheimer, professore di Scienze politiche a Chicago, editorialisti del Washington Post, esperti sul New York Times, senza citare gli analisti del Fatto) avvertivano che la controffensiva non sarebbe riuscita per le disparità di soldati e per il rischio di un’escalation fatale, qui politici, giornalisti, istituti di ricerca foraggiati dall’industria bellica bombardavano i cervelli con la retorica guerresca, comprensiva anche di osceni paragoni tra i soldati del battaglione Azov e i partigiani italiani che sconfissero Hitler (che tuttavia alcuni dei giovanottoni kantiani portavano tatuato sul petto).
A giugno si mobilitò anche Draghi dal Mit di Boston:“Non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati se non garantire che l’Ucraina vinca questa guerra”. Meloni ribadiva: “Scommettiamo sulla vittoria dell’Ucraina e su un futuro di libertà e di pace”. I media padronali raccontavano faville dal fronte, con Putin terrorizzato di “vivere la sua Stalingrado”, anzi la “sua Caporetto”, l’Ucraina che le stava “dando di santa ragione al colosso russo” (Ferrara sul Foglio) e gli ucraini “al confine con la Russia”, come peraltro da sempre per mere ragioni geografiche. Se lo dicevano l’infallibile Draghi, il Corriere, che stilò liste di proscrizione di “putiniani” spacciandole per dossier dei Servizi segreti, il Foglio, fondato da un confidente retribuito della Cia, e Repubblica, il cui editore ha interessi nell’industria delle armi, c’era da crederci.
Purtroppo la scommessa è persa, sui corpi di 10mila civili ucraini, e a quanto pare un’alternativa c’era, ed era la più prevedibile: la vittoria della Russia e l’abbandono di Zelensky al suo destino da parte di governanti stupidi e feroci che fanno pagare ai loro popoli l’illusione di difenderli.
Nessun commento:
Posta un commento