Memorie del suolo: nessuna legge a tutela, il cemento vince facile
TERRA MADRE - Un patrimonio, zero norme nazionali
DI PAOLO PILERI
“Le cose si scoprono, si battezzano, soltanto attraverso i ricordi che se ne hanno”. Parole di Cesare Pavese (Feria d’Agosto, 1946) che ben si adattano a fare delle prossime ferie un momento prezioso per scoprire cosa è il suolo e avviare l’esercizio della memoria sulla sua fragilità. Conoscere e ricordare sono atti irrinunciabili per rinnovare il patto di cittadinanza critica e consapevole che fa di tutti noi persone politicamente impegnate a disegnare uno spazio culturale dove la questione ecologica indica le traiettorie di prosperità, equità e democrazia.
Dove il paradigma economico si svincola dall’ossessione della sola coppia produzione/consumo per approdare a una nuova idea di abitabilità e di rispetto profondo della natura. L’impegno politico non spetta solo ai politici (anzi!), ma a tutti noi, ognuno agendo entro e oltre i perimetri del proprio mestiere, come ci ricordava Bobbio.
Per capire il ruolo del suolo, andiamo alla memoria delle recenti alluvioni. Il 15 settembre 2022 una tempesta colpisce il cuore delle Marche. Straripano il Misa e il Nevola inondando valli, campi, strade. Migliaia di metri cubi di terra finiscono a mare: 12 morti e 1 disperso. 26 novembre 2022, un’altra tempesta su Ischia. Interi versanti franano: 12 morti danni e altri metri cubi di terra persi a mare. 2 e 15 maggio 2023, due tempeste in rapida successione cambiano la pelle alla Romagna di pianura e di appennino. Altre migliaia di metri cubi colano dai fianchi dei monti e finiscono in pianura, nel mentre intasata dalla pioggia. Case, imprese e fattorie distrutte: 17 morti.
In tutti e tre i casi l’incuria del territorio e soprattutto la cementificazione dei suoli hanno reso di molto più gravi le conseguenze di quelle alluvioni a loro volta più acute a causa del clima ormai cambiato. In soli otto mesi, 41 morti per procurata fragilità del territorio, così potremmo chiamare quei reati legittimi delle trasformazioni urbanistiche che hanno reso quei territori già precari, ancor più precari. La Romagna nelle aree faentine è tutta alluvionabile, eppure hanno costruito. Nelle Marche il 38% dell’urbanizzato giace da tempo in aree a elevata pericolosità idraulica, eppure si è continuato a costruire. In Campania oltre 51 ettari sono stati edificati in aree a pericolosità di frana.
Tutti dati pubblicati annualmente da Ispra nel rapporto sul consumo di suolo, ma di fatto ignorati da chi governa il territorio che si permette, per tutta risposta, di screditare ambientalisti ed ecologisti solo perché cercano di fermarli prima che sia troppo tardi. Ma non vi riescono perché loro, i signori del ‘Sì sempre ovunque e a qualunque prezzo’, di suolo e consumo di suolo non vogliono sentir ragioni. Proprio loro che, unici, possono decidere del destino del suolo e, di conseguenza, tagliare il ramo sul quale siamo e sono seduti.
Possiamo permetterci di dimenticare tutto questo e il prossimo settembre riprendere come se nulla fosse? Una società smemorata perde in fretta la propria rotta. E allora, serve correre ai ripari apprendendo per non dimenticare le cause di quegli eventi e ciò che li ha resi più devastanti. Un lavoro culturale che attende tutti e deve aiutarci a reagire perché la nostra debolezza è che difendiamo solo quel che vediamo e conosciamo.
E il suolo non è né visibile né noto. Ricordiamo allora qui alcune fondamentali caratteristiche. In primis è un ecosistema intelligente ma fragile, un laboratorio biogeochimico che lavora da volontario, notte e giorno, festivi compresi. Non è una superficie come la vediamo, ma uno spessore vivo e sottilissimo: 30 cm circa. Sequestra carbonio (in simbiosi con le piante) agendo da potentissimo regolatore climatico che ne mitiga gli effetti negativi. Assorbe le acque piovane (cosa che quasi si azzera con l’urbanizzazione) trattenendo fino a 4 milioni di litri per ettaro nei suoli più sani e coperti da vegetazioni permanenti come prati o boschi. È un motore ineguagliabile per i cicli biochimici di molti nutrienti vitali come azoto, fosforo, potassio. Produce oltre il 95% del cibo e il 99% delle calorie che assumiamo. È depositario nei primi centimetri del 30% della biodiversità del pianeta (oceani esclusi). Genera rimedi medicali ancora da scoprire e che verranno buoni per le prossime pandemie. Custodisce immensi patrimoni archeologici che ci aiutano a capire chi siamo e da dove arriviamo.
Ma tutto questo è a rischio, stupidamente a rischio, sia perché si continua a consumare e sia perché ignoriamo cosa sia il suolo e quale danno si fa impermeabilizzandolo o inquinandolo. La combinazione tra ignoranza ecologica, abitudine, convinzione collettiva che il suolo sia solo una piastra da valorizzare con edifici o per agricolture industriali, produzione di rendite private e oneri di urbanizzazioni pubblici hanno prodotto e producono un insostenibile stallo legislativo da decenni al punto che non abbiamo una legge nazionale di tutela del suolo. E così ci troviamo in piena deregulation continuando a cementificare in modo veloce e avido in pianura, che diventa una vasca impermeabile che la pioggia riempie devastando il suo contenuto, e si trascura la manutenzione dei suoli montani che, abbandonati a loro stessi, scivolano disastrosamente a valle.
Gli indicatori nazionali sul consumo di suolo parlano chiaro: oltre 2,2 m2 al secondo nel biennio pandemico 20-21 (Ispra), un’immagine plastica di un vivere insostenibile, vorace e irresponsabile. Il consumo di suolo non è affatto il ‘No’ degli ambientalisti, ma il conto servito da una classe politica e dirigente ignara dei danni che fa e prona a un modello di sviluppo avido che decide sul suolo pur non sapendo cos’è.
Possiamo disimpegnarci davanti a tutto ciò? Possiamo permetterci anche noi di non sapere di suolo e finire per essere complici? Conviene aprire gli occhi e impegnarsi nel senso suggerito da Norberto Bobbio: “Conoscere il mondo che ci circonda con una cultura non dilettantistica. Riformarsi reciprocamente. Studiare i problemi. Vedremo magari un solo problema in un anno ma approfondendolo. Se non vi ponete temi precisi vi disperderete”.
Vale anche per il suolo, dove il dilettantismo si spreca. Vale per chi voglia essere parte di una nuova cittadinanza ecologica che tiene in allarme lo spirito di una democrazia che ha chiaro che devono essere le regole della natura a dare forma alle decisioni sociali, politiche e urbanistiche e non il viceversa, come fatto finora. Vale per chi voglia immunizzarsi da ogni dilettantismo che facilmente si accompagna a soluzioni luccicanti, ma che, presto, si rivelano solo dei sonanti greenwashing. Il suolo, così vicino alle nostre quotidianità e legato alle decisioni politiche nei luoghi in cui abitiamo, è la lente attraverso la quale possiamo misurare la bontà del governo del territorio e dei suoi responsabili. Sta a noi ricordare a loro che il suolo d’Italia è fragile ovunque. Sta a noi usare la feria d’agosto per conoscere l’intelligenza del suolo e imparare dalla memoria dei disastri a tracciare nuove piste per una cittadinanza ecologica.
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