Lo vidi giocare dal vivo due o tre volte il neo genio ottuagenario, tra i grandissimi del calcio mondiale: invaghito inizialmente di Rombo di Tuono, mancino come me, l’Abatino mi conquistò il cuore al punto da avere ancor oggi la sua foto autografata appesa in ufficio; sembrava gracilino e statico in campo, e infatti sfiancò molte valide spalle, da Lodetti a Benetti, ma allorché s’impossessava della sfera per smarcare spudoratamente qualcuno, sembrava che gli dei dell’Olimpo, a cominciare da Eupalla, fermassero il tempo per ammirarne la soavità, la fragranza straripante, il lampo stordente tipico di pochissimi geni del pallone; così le finte, le aperture a volte incomprensibili per i vari Chiarugi, Calloni del tempo, riuscivano ad elevare il gioco pallonaro a pura arte. Mai fuori luogo, mai spettinato, capace di sbaragliare dirigenti inetti che avrebbero voluto vederlo al Torino, Gianni l’Alessandrino mi ha insegnato che sia in campo che nella vita occorra far correre sempre e solo la palla, senza ansimare né soccombere alla fatica. Auguri di cuore grandissimo campione!
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