mercoledì 9 agosto 2023

Robecchi

 

Schiavi “Deportiamoli a casa loro”: gli inglesi creano lager per migranti
di Alessandro Robecchi
Dei tanti nomi che si può dare alla barbarie, eccone uno nuovo, Ascension Island. Se prendete in mano una mappa farete fatica a trovarla, perché è un puntino minuscolo nell’oceano Atlantico, tra l’Africa (andate a Est e nuotate per milletrecento chilometri) e l’America del Sud (andate a Ovest e nuotate per 2.300 chilometri). Fa parte dell’amministrazione britannica di Sant’Elena (Napoleone vi dice qualcosa?), ci abitano 800 persone, ha una base aerea britannico-americana ed è grande 88 chilometri quadrati, la metà di Milano. Secondo una recente proposta del governo britannico, è lì che si potrebbero deportare i migranti in attesa di asilo attualmente sul suolo inglese.
Mi spiego meglio: se ti strappano le palle in Iran, o ti fanno morire di fame in Niger, o ti violentano in Libia, o ti trattano maluccio in Afghanistan, e tu riesci, rischiando la pelle e tutti i soldi della tua famiglia, ad approdare sulle coste della grande potenza occidentale che fece tremare il mondo, culla della democrazia e del beat, quelli ti prendono e ti portano alle pendici di un vulcano in mezzo all’Atlantico. La proposta precedente – suggellata addirittura da un accordo da milioni di sterline – era di portarli in Ruanda, proposta ancora in piedi, peraltro.
Insomma, duecentoquindici anni dopo l’abolizione dello schiavismo nel Regno Unito (1807) assisteremo forse a un flusso inverso: gli schiavi sono una bella rottura di coglioni e si allestiranno delle belle navi per (de)portarli via. Navi che peraltro funzionano alla grande già ora, anche se sono, diciamo così, stanziali, come la Bibby Stockholm, una mega-chiatta adattata a prigione, lunga cento metri, dove la Gran Bretagna ospita migranti richiedenti asilo, al largo delle sue coste. Interessante la storia della compagnia armatrice, la Bibby Line Group Limited, che John Bibby fondò proprio nel 1807. Trasportare schiavi di qua e di là diventava illegale e il vecchio John si metteva in regola, anche se i soldi li aveva fatti anche con quel commercio di braccia dall’Africa alle colonie. SlaveVoyages, un prezioso database che raccoglie i dati delle rotte schiaviste, registra almeno tre trasporti: il veliero Harmonie che portò 250 schiavi angolani alla Guiana Britannica, il Sally (250 nigeriani alle Barbados) e l’Eagle (237 camerunesi in Jamaica). Insomma, ieri schiavisti, poi riciclati in armatori, e oggi fornitori di questa feroce nave prigione per gente (i richiedenti asilo) che in prigione non ci dovrebbe stare.
Dunque è uno strano concetto di “aiutiamoli a casa loro”, un refrain delle democrazie occidentali, compresa la nostra, che per “aiutarli a casa loro” mise in campo i decreti Minniti (governo Gentiloni), poi regalò motovedette alla guardia costiera Libica – più volte accertata complice dei trafficanti di esseri umani – esternalizzando la prigionia in lager che fingiamo di non vedere. Oppure (governo Meloni) promettendo mari e monti (di euro) al governo tunisino “per non farli partire”, con il risultato che quelli – essendo disperati e non avendo scelta – partono lo stesso (cinque volte in più dell’anno scorso dalla Tunisia, il doppio in totale).
Il tutto mentre di Africa si discute molto per il golpe in Niger, dove quei cattivoni cambiano padrone, si affidano ai russi, invece di apprezzare e ringraziare il vecchio padrone francese che li ha depredati per secoli, come farà del resto il padrone nuovo. E così ecco noi bravi occidentali, così umani e disinteressati, gridare agli orrori del colonialismo. Che spettacolo!

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