martedì 30 novembre 2021

Ovunque

 

Questo articolo lo affiggerei ovunque: nelle scuole, alle Poste, su tram, treni, aerei. Lo divulgherei tra i giovani, lo ricorderei a tutti coloro che insolitamente ancora bofonchiano la madre di tutte le fetecchie: "Se è diventato ricchissimo un motivo ci sarà!" 

Il pericolo è reale, e ne parlano pochi, un giornale fra tutti, il Fatto Quotidiano: che cioè il signorotto di Milano possa, grazie ad una rete di sottoposti in gran parte inquisiti che stanno accalappiando fruitori di mega stipendi parlamentari alla faccia nostra, diventare a gennaio presidente della Repubblica. Molti sonnecchiano, fan finta di nulla, cambiano discorso, si gettano in disquisizioni ad minchiam, tramando sotto per compiere il sacrilegio maximo alle istituzioni.

Considerate infine che due dei più imbizzarriti tra i suoi aficionados, e che concedono a noi comuni mortali il senso del malaffare, sono: Denis Verdini, agli arresti domiciliari per il crack della banca che un tempo ebbe l'onore di averlo proprietario (sai che culo!) e l'amico di tante avventure, il saggio amante di libri antichi, ce lo descrivono così, tra l'altro condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa, Marchello Dell'Utri. Stanno lavorando alacremente per avere voti tra i mascalzoni votati per rappresentare chi sognava un modo diverso di far politica, ed ora in procinto di vendersi per qualche ninnolo e promessa da marinaio. 

Leggete l'articolo con somma attenzione e, spero, chiedetevi anche voi se potremo un giorno sperare in un paese migliore!      

Forza Italia contro Di Matteo per spingere Berlusconi al Colle: “Mai accertate collusioni con la mafia”. Da Bontade ai soldi ai boss: cosa dice la sentenza Dell’Utri

Rispondendo a una domanda sulla corsa al Quirinale, il magistrato ha ricordato in tv che lo storico braccio destro dell'ex premier è stato condannato per essere stato intermediario di un patto tra i clan e Arcore: "In cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra". L'attacco dei berlusconiani: "Accuse infamanti e infondate, l'ex premier è il più degno candidato alla presidenza della Repubblica". Ecco cosa c'è scritto nella sentenza definitiva sull'ex senatore

di Giuseppe Pipitone 

Berlusconi e la mafia, per Forza Italia è vietato citare le sentenze in tv. Tutti contro Di Matteo che parla di Dell’Utri e i boss: “Mitomane”

Più si avvicina la fatidica data dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica e più ad Arcore aumenta la tensione. Nonostante pubblicamente dribbli l’argomento, infatti, Silvio Berlusconi continua sul serio a coltivare il sogno del Quirinale. Sarà per questo motivo che Forza Italia ha reagito in modo rabbioso, attaccando il magistrato Nino Di Matteo, reo di aver ricordato i rapporti tra Arcore e Cosa nostra. È già successo più volte in passato, ma questa volta c’è il Colle ad aumentare la reazione nervosa dei berlusconiani. Intervistato da Lucia Annunziata, infatti, Di Matteo ha ricordato cosa c’è scritto nella sentenza su Marcello Dell’Utri. Nel 2014 lo storico braccio destro di Berlusconi fu condannato in via definitiva a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra. Dopo un breve periodo da latitante in Libano, Dell’Utri ha scontato la sua pena tra carcere e domiciliari: ora è tornato alla corte di Arcore, dove – secondo vari retroscena – è uno dei consiglieri più ascoltati in relazione a una possibile candidatura del leader di Forza Italia al Colle.

Le parole del magistrato Di Matteo – Insomma: può un uomo che ha il braccio destro condannato per mafia (e quello sinistro, cioè Cesare Previti, per corruzione in atti giudiziari) correre per il Quirinale? E infatti è proprio rispondendo a una domanda sul Colle che Di Matteo ha ricordato l’esistenza della sentenza Dell’Utri . “Io non ho titolo per esprimere giudizi politici mi limito a ricordare due dati di fatto. Il primo è che il presidente della Repubblica è anche presidente del Csm e nei confronti della magistratura non dovrebbe avere interessi e rancori di tipo personali. Poi ricordo che Dell’Utri fu intermediario di un accordo tra il 1974 e il 1992 con le famiglie mafiose palermitane, che in cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra, e questo è emerso da una sentenza definitiva”, ha detto il consigliere del Csm a Mezz’ora in Più su Rai3. Di Matteo si è astenuto da ogni ulteriore dichiarazione sulla corsa al Quirinale: “Non voglio commentare – ha aggiunto – ma questo sta diventando un paese in cui qualche fatto va ricordato. Il vizio della memoria dovrebbe essere coltivato in maniera più incisiva e generalizzata”.


I berlusconiani: “Nessuna sentenza ha mai accertato collusioni con la mafia” – Dichiarazioni che hanno fatto scendere sul piede di guerra i berlusconiani di stretta osservanza. I capigruppo delle commissioni Giustizia di Forza Italia alla Camera e al Senato Pierantonio Zanettin e Giacomo Caliendo, insieme con i componenti delle commissioni, la senatrice Fiammetta Modena e i deputati Matilde Siracusano e Roberto Cassinelli, hanno diffuso una nota per attaccare il magistrato. “Il consigliere del Csm Nino di Matteo – scrivono – si è scagliato contro la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, lanciando accuse tanto infamanti, quanto infondate. Occorre ricordare che nessuna sentenza ha mai accertato collusioni del presidente Berlusconi con la mafia. Forza Italia continua a ritenerlo il più degno candidato alla presidenza della Repubblica”. A sentire i berlusconiani “il magistrato Di Matteo non ha alcun titolo per intervenire nel dibattito politico sulle candidature al Quirinale. Al contrario, essendo comunque un magistrato, oltre che un rappresentante dell’organo di autogoverno della magistratura, dovrebbe avere rispetto per il ruolo che ricopre e mostrare quel poco di imparzialità che gli rimane”.


L’incontro con Bontade e l’assunzione di Mangano ad Arcore – Nessuno tra gli altri partiti politici è intervenuto per fare notare come le dichiarazioni di Di Matteo non contenessero alcuna accusa infamante e soprattutto infondata. E’ vero che Silvio Berlusconi non è mai stato processato o condannato per fatti di mafia, anche se è ancora oggi indagato a Firenze per un reato ancora più grave come il concorso nelle stragi del 1993. I rapporti tra il leader di Forza Italia e Cosa nostra, però, sono cristallizzati in una sentenza definitiva: quella emessa nel 2014 a carico di Dell’Utri. Le motivazioni di quella sentenza sono lunghe 75 pagine e il nome di Berlusconi viene citato 137 volte. Spiegando perché ha deciso di confermare la seconda sentenza di Appello (la prima era stata annullata dalla Cassazione due anni prima) la Suprema corte ripercorre il rapporto tra Dell’Utri e Cosa nostra: l’ex senatore fu il garante di un accordo tra i clan ed Arcore durato quasi vent’anni: dal 1974 al 1992. La mafia, in pratica, garantiva protezione all’inquilino di villa San Martino dove venne spedito Vittorio Mangano. In cambio ai boss arrivavano centinaia di milioni di lire dal gruppo imprenditoriale berlusconiano. Era il prezzo di un “accordo di protezione stipulato nel 1974 tra gli esponenti mafiosi (Bontade e Teresi) e Silvio Berlusconi per il tramite di Dell’Utri, espressivo dell’importanza e della solidità dello stesso, dell’affidamento reciproco tra le due parti che lo avevano stipulato grazie alla mediazione dell’imputato, il quale rappresentava la persona in cui entrambe riponevano fiducia”. Quell’accordo, ricostruiva la prima sezione penale presieduta da Maria Cristina Siotto, venne siglato durante un incontro, che si è svolto a Milano tra “il 16 e il 29 maggio 1974” e al quale avevano partecipato Berlusconi, Dell’Utri, il suo amico Gaetano Cinà, uomo della “famiglia” mafiosa di Malaspina, Stefano Bontade, il principe di Villagrazia che era al vertice di Cosa nostra, Girolamo Teresi di Santa Maria del Gesù e Francesco Di Carlo, boss di Altofonte che poi diventerà un collaboratore di giustizia. “In quell’occasione veniva concluso l’accordo di reciproco interesse, in precedenza ricordato, tra Cosa nostra, rappresentata dai boss mafiosi Bontade e Teresi, e l’imprenditore Berlusconi, accordo realizzato grazie alla mediazione di Dell’Utri che aveva coinvolto l’amico Gaetano Cinà, il quale, in virtù dei saldi collegamenti con i vertici della consorteria mafiosa, aveva garantito la realizzazione di tale incontro”, si legge nella sentenza della corte di Cassazione. “L’assunzione di Vittorio Mangano (all’epoca dei fatti affiliato alla “famiglia” mafiosa di Porta Nuova, formalmente aggregata al mandamento di S. Maria del Gesù, comandato da Stefano Bontade) ad Arcore, nel maggio-giugno del 1974, costituiva l’espressione dell’accordo concluso, grazie alla mediazione di Dell’Utri, tra gli esponenti palermitani di Cosa nsotra e Silvio Berlusconi ed era funzionale a garantire un presidio mafioso all’interno della villa di quest’ultimo. In cambio della protezione assicurata Silvio Berlusconi aveva iniziato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di Cosa nostra palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro che venivano materialmente riscosse da Gaetano Cinà”, proseguiva la giudice relatrice Margherita Cassano.

Da Arcore soldi alla mafia tra il 1974 e il 1992 – Quell’accordo, secondo i giudici, è andato avanti negli anni, anche dopo l’omicidio di Bontade e l’arrivo al potere dei corleonesi di Totò Riina. “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra nella consapevolezza del rilievo che esso rivestiva per entrambe le parti: l’associazione mafiosa che da esso traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”, si legge nella sentenza della Suprema corte. I giudici scrivevano che “la Corte d’appello di Palermo ha, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, dimostrato che anche nel periodo compreso tra il 1983 e il 1992, l’imputato (cioè Dell’Utri ndr), assicurando un costante canale di collegamento tra i partecipi del patto di protezione stipulato nel 1974, protrattosi da allora senza interruzioni, e garantendo la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore, ha consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante, che senza il suo apporto non si sarebbe verificato, alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale, del suo programma criminoso, volto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua stessa operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione”.

“Quei 20 miliardi di Cosa nostra per i film di Canale 5” – Per dimostrare che Dell’Utri si sia posto nei confronti di Cosa nostra come rappresentante di Berlusconi pure quando non era un dipendente del gruppo di Arcore, i giudici citano un precedente del 1980. “Il perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall’incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5“. Questa sentenza, come detto, è passata in giudicato: è accertato, dunque, che “l’imprenditore Berlusconi” ha pagato Cosa nostra tra il 1974 e il 1992 grazie all’intermediazione del suo storico braccio destro. Addirittura, secondo i giudici della corte d’Assise di Palermo che hanno celebrato il processo di primo grado sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, quei pagamenti da Arcore sarebbero proseguiti fino al dicembre del 1994, cioè quando Berlusconi era già a Palazzo Chigi. Quella sentenza, però, è stata ribaltata in Appello: dopo la condanna in primo grado, Dell’Utri è stato assolto in secondo. Avendo già finito di scontare la sua pena per concorso esterno, è tornato a essere tra gli ospiti più ascoltati ad Arcore. Raccontano i bene informati che ci sarebbe proprio Dell’Utri dietro l’incontro a cena tra Gianfranco Micciché e Matteo Renzi. Nel menù, a sentire Micciché, ci sarebbe stata anche l’elezione di Berlusconi al Quirinale.

Sta arrivando!

 

Felpatamente, come suo solito, sta arrivando...
Ex 5S rivela: “Per votare B. mi offrono posti e soldi”
DI ILARIA PROIETTI
“Amico caro, scegliti il tuo futuro: l’obiettivo deve essere campare come campi ora. Cioè bene”. Non sarà l’Antonio Razzi di turno, ma poco ci manca. Dieci anni dopo l’ormai epico “amico mio, fatte li cazzi tua” in Parlamento tira ancora aria da suq a sentire il racconto di un deputato già 5 Stelle che al Fatto racconta l’inconfessabile: la pattuglia forzista sarebbe all’opera giacché il l’ex Cavaliere non molla l’idea di portare a casa “un risultato eclatante” per il Quirinale e riguadagnarsi fama da stupor mundi. Ma l’appetito vien mangiando: conquistare il Colle, proprio come aveva promesso un tempo a mamma Rosa, sembra un obiettivo alla portata. Costi quel che costi – va senza dire – pure al rischio di spingere i suoi a farsi avanti per avvicinare le truppe che servono a regalargli ad eterna gloria, la più alta carica, quella di presidente della Repubblica.
Come sarebbe successo all’ex grillino che ci ha fatto un bel resoconto: è stato avvicinato con passo felpato perché manca ancora più di un mese, ma il messaggio è arrivato forte è chiaro: “Chiedi quello che vuoi, sono a disposizione. Basta una tua parola” si è sentito dire da un collega di Forza Italia che, par di capire, ha recapitato lo stesso messaggio anche ad altri. “Pescano tra i peones, i transfughi, i possibili convertiti”. Approfittando subito ché sotto le feste saranno riuniti con le famiglie per ammazzare il capitone e riflettere di futuro incerto sicchè questo potrebbe essere l’ultimo panettone mangiato a Palazzo. Per carità i modi sono stati garbati, nessun prendere o lasciare e toni sapientemente conditi dall’arte di fare ammuina: “Ha promesso senza promettere per conto di Berlusconi lasciando però intendere che la generosità sarebbe degna dei re Magi” racconta il deputato che passa ai dettagli: “Tanto per non girarci attorno, mi ha parlato di soldi, di una mia candidatura più o meno blindata. O di un posticino in una società anche all’estero”.
Ma tali profferte non sarebbero arrivate solo a lui: c’è chi nega di essere stato avvicinato, ma anche chi lo confessa a mezza bocca, per tacere di chi ci spera. Chi sono quelli che nel segreto del catafalco potrebbero rispondere a tali profferte, sventurati come la monaca di Monza? “Ci sono 290 deputati e senatori usciti dai gruppi parlamentari originari. In tanti mi sono amici” ha detto lo stesso Berlusconi tratteggiando l’identikit di chi non gli sarebbe ostile, del resto ha già fatto partire l’operazione simpatia sostenendo per esempio che il reddito di cittadinanza, bandiera del M5S, in fondo non è stata una misura malaccio, checché ne abbia detto fino all’altro ieri.
Poi ha fatto recapitare un opuscolo autopromozionale, con alcuni suoi interventi sui valori del liberalismo, del cattolicesimo e del garantismo ai parlamentari del Pd. Ma questa è poesia, poi c’è pure la prosa: ai suoi riuniti nel solito gabinetto di guerra avrebbe chiesto di tentare tutto il possibile affinché in un modo o in un altro si compia il miracolo che gli interessa. E quelli, per tornare al cospetto del Capo con il carniere pieno, avrebbero subito fatto partire una caccia all’uomo. Un senatore ritenuto tra i peones racconta di un emissario forzista che è andato al sodo: “Ora quanto guadagni? Quanto guadagnavi prima di essere eletto?” E ancora. “Devi pensare al tuo futuro. Davvero uscito da qui pensi di tornare alla vita di prima?”. Altri giurano di non aver ricevuto alcuna offerta, meno che mai sconcia: “Dopo anni qui dentro le distanze si sono ridotte e con qualcuno di Forza Italia siamo pure diventati amici. Sicuramente si tratta di battute: ci sta, mica è la prima volta” spiega un senatore ex pentastellato che nega che si tratti di abboccamenti veri e propri. Ma tanto basta perché qualcun altro ci abbia fatto un pensiero: “Vai a sapere se è uno scherzo oppure no. Io Berlusconi non lo voto manco morto ma su altri non metto la mano sul fuoco”.
Licia Ronzulli, vicepresidente del gruppo Forza Italia al Senato, contattata dal Fatto, replica: “A me il Presidente Berlusconi non ha mai dato indicazioni di questo genere. E mi sento di escludere che lo abbia fatto anche col resto dei vertici del partito, a partire da Antonio Tajani e dai due capigruppo. Anche perché si tratterebbe di corruzione… Se poi, qualche nostro parlamentare abbia deciso di sua sponte di fare una cosa del genere, se ne dovrà assumere la responsabilità”.
Fatto sta che qualche giorno fa a un capannello da cortile alla Camera era tutto un tirarsi di gomito dopo l’annuncio dell’ex pentastellato Gianluca Rospi che ha deciso di lasciare Coraggio Italia per abbracciare la famiglia politica di Forza Italia. Dopo un incontro a Villa Grande, la nuova residenza-ufficio di B. che pare lo abbia stregato in un colloquio a quattr’occhi. Quando è tornato a Montecitorio dalla dimora zeffirelliana sull’Appia Antica ha spiegato la scelta così: “Non sono mai stato del Movimento 5 Stelle, sono stato candidato su loro richiesta come indipendente”. E ha detto di aver accettato la candidatura sì, ma in fondo in fondo di essere rimasto un diccì al massimo un liberale. E così quando il M5S si è spostato a sinistra, ha deciso di lasciare per collocarsi su posizioni più prossime a quelle del Partito popolare europeo. Poi si è avvicinato a Coraggio Italia “ma le mie aspettative, senza alcuna polemica, non sono state soddisfatte”. Naturale dunque l’approdo a Forza Italia.
“Sì, vabbè. Pare che a Villa Grande quel giorno davano lo spettacolo A me gli occhi, please. E il Gastone col ciuffo di capelli tirabaci non era di Gigi Proietti ma Berlusconi” dicono gli ex colleghi di Rospi che hanno liquidato la faccenda in maniera più prosaica: “A Berlusconi il taxi di Rospi è costato 100 mila euro”. Da allora non si parla che di tariffe, anche se l’ex azzurro oggi al Misto Alessandro Sorte mette le mani avanti: “Io Berlusconi lo voterei senza dubbi e penso di poter convincere nel Misto sette o otto deputati a fare altrettanto. Senza chiedere nulla in cambio”. Già, il gruppo Misto dove ci sono diverse componenti e decine di deputati accreditati dei più bassi istinti dai loro colleghi.
A Palazzo si racconta dopo l’addio di Rospi che il gruppo dei totiani sia addirittura in via di disfacimento e che alcuni deputati ora pentiti sarebbero lì lì per lasciare: una tra i sospettati è Fabiola Bologna, altra ex grillina. Altri pentastellati sono invece confluiti in Alternativa C’è, ma negano di aver ricevuto offerte di sorta dai berluscones: “Siamo folli, ma da questo punto di vista, inavvicinabili. Quanto agli altri fuoriusciti grillini o meno, boh”. Insomma l’invito sarebbe quello di cercare altrove ma non troppo lontano: il sospetto ricade sui deputati che si ostinano a non iscriversi ad alcuna componente e che avevano lasciato intendere di esser pronti a ingrossare le file di Alternativa, ma che finora se ne sono ben guardati. Difficile capire perché restino alla finestra: chi parla lo fa per dire non vuole essere associato nemmeno per scherzo a Sergio De Gregorio, un bel dì di qualche anno fa passato armi e bagagli dai dipietristi dell’Italia dei Valori “all’Italia dei disvalori a forza di milioni”. Tre milioni – secondo l’accusa dei pm -, ormai consegnati alla storia e alla cronaca giudiziaria: fu scandalo (e Berlusconi prescritto).
Ma nemmeno tanto, a sentire un deputato campano doc che, a rimembrare l’episodio, rivolge una prece alle anime del Purgatorio: “Ll’anime d’o Priatorio, tre milioni”. “Anime del Purgatorio, tre milioni”. Oggi, pare di capire che le tariffe siano assai più modeste: “Centomila euro sono sei mesi di stipendio per un parlamentare. E io dovrei prostituirmi per così poco sapendo cosa vale il Quirinale per lui? Sette anni da capo dello Stato e pure del Consiglio superiore della magistratura. Amico bello: manco una Olgettina ti è costata così poco. Berlusconi, se vuoi caccia la grana”.

domenica 28 novembre 2021

Se fosse vero...

 


Scherziamoci su

 


Sdegno

 


L'Amaca

 

Gli archivi tra le nuvole
di Michele Serra
È presumibile che in occasione del Black Friday, nuova solennità del Paese dei Balocchi, il traffico degli acquisti on line abbia toccato l’apice. E con esso, il gigantesco traffico di dati che è la sola vera percepibile forma di “controllo sociale” nel quale viviamo immersi, monitorati passo dopo passo, clic dopo clic. Se avete comperato, per esempio, una scopa elettrica, sappiate che avete lasciato traccia: le scope elettriche del mondo intero vi pedineranno per il resto dei vostri giorni.
Non si capisce perché mai i rivoluzionari in servizio permanente chiacchierino così tanto, e così volentieri, della fantomatica dittatura sanitaria, piuttosto che affrontare l’evidenza: il capitalismo della sorveglianza (dal titolo del notevole libro di Shoshana Zuboff) è già in atto, e non ha avuto alcun bisogno di iniettarci chip con i vaccini. Gli basta la nostra distratta arrendevolezza quando, pur di levarci di torno i banner che ostruiscono il nostro cammino on line, clicchiamo “accetto” ai vari cookie s. Di noi tutto è già noto e custodito in sterminati archivi sospesi tra le nuvole. Se ci va bene, gli archivisti ne faranno solo un uso commerciale. Se ci va male, anche un uso politico.
Capita che la forma di cattività già in atto, che è quella del consumismo “scientifico”, programmato e somministrato dose per dose, persona per persona, rischi di passare quasi inosservata, a favore di fantasmi e paranoie destinate a sparire nel nulla, prive come sono di spessore critico e di peso politico. Un bravo complottista direbbe dunque che i No Vax, e i teorici della dittatura sanitaria, sono utilissimi al potere perché distraggono dai veri conflitti e dalle nuove forme di dominio e subalternità.

sabato 27 novembre 2021

Dal web




Dati



Direi che, conoscendo la nostra abilità e fermezza a rispettare gli impegni, l’arrivo dei soldi europei del Pnnr sia cosa fatta. Già il prossimo anno ne avremo 100! In bocca al lupo..ops! Al Dragone!

L'Amaca

 

Quanto è grande la Manica
di Michele Serra
Tra gli effetti di Brexit, c’è che Johnson si rivolge a Macron come se la Francia fosse una specie di Libia spostata molto più a Nord, e l’Eliseo lo stato maggiore del traffico di migranti. Oppure è vero il contrario: Brexit non è una causa, è solo una logica conseguenza. Per la grande isola a Nord della Manica il Commonwealth, che è l’eufemismo del vecchio Impero (vuol dire “bene comune”, probabilmente è il primo, clamoroso esempio storico di ipocrisia politicamente corretta), è pur sempre molto più prossimo, familiare e importante dell’Unione Europea. Le città inglesi pullulano di migranti, asiatici soprattutto, ma sono, come dire, un prodotto interno, un imponente flusso post-coloniale (come i magrebini in Francia). Ma i migranti africani che traversano l’Europa no, quelli non sono sudditi o post-sudditi della Corona Inglese, quelli sono affare interno di chi sta dall’altra parte della Manica. Se li tengano.
È un modo di ragionare che non fa una grinza, a patto che ci si rassegni al provincialismo che sta sotto e dietro il cosiddetto sovranismo.
Impossibile anche solo concepire una comune politica dei Paesi europei (l’Inghilterra lo è, almeno sul mappamondo) per il governo dei fenomeni migratori, fino a che un braccio di mare che si traversa anche con le pinne e il materassino, la Manica, politicamente è vasto e procelloso come un oceano.
Lo sanno bene gli ultimi annegati di una lunga serie, che hanno almeno avuto il discutibile vantaggio postumo di occupare le prime pagine di tutti i Paesi nord-europei, e fatto discutere quei Parlamenti e quei governi. Migliaia di annegati nel Mediterraneo non hanno potuto godere di un cordoglio così diffuso. Se si vuole attirare l’attenzione, conviene annegare nella Manica.

Ancora tu!


 

venerdì 26 novembre 2021

Messaggio

 


Ebbasta!


Io a Marco Liccione lo obbligherei a stare per tre notti a fianco di un poveretto col tubo in gola per ingurgitar ossigeno. Dopo il post che ha fatto con foto di famiglia ebrea con stella di David sul petto, paragonandolo all’attuale emergenza, sarebbe il minimo. Se non sapete chi è Liccione, bignamizzo: un coglione!

giovedì 25 novembre 2021

Wired!

 Astrologi, fattucchiere, maghi, visionari, predizioni, futurologi: niente di niente al confronto con ciò che scrisse nel 1997 una rivista statunitense, Wired e che oggi l'Internazionale riporta nel suo primo articolo. 

La rivista della Silicon Valley californiana usci con la copertina intitolata "Il lungo boom", dove prevedeva 25 anni di benessere per tutti. Tuttavia indicò dieci cose che avrebbero potuto rendere la vita molto più amara. Dieci punti. 

Pronti?

1- Le tensioni tra Cina e Stati Uniti si intensificheranno rasentando la guerra fredda, tendente alla calda. 

2- Le nuove tecnologie si riveleranno un fallimento, non aumentando produttività e miglioramento economico.

3- La Russia si trasformerà in un regime corrotto gestito da mafie o si ritirerà in un nazionalismo minacciante l'Europa. 

4- Il processo di integrazione europeo si bloccherà, con l'Europa orientale che non si amalgamerà con quella occidentale, rischiando di bloccare il processo d'unione. 

5- Una grande crisi ecologica causerà un cambiamento climatico globale, con carestie e aumento dei prezzi dei generi alimentari

6- Un forte aumento della criminalità e del terrorismo costringerà il mondo a chiudersi per timore di attentati, mettendo le persone nello stato d'animo di aprirsi, dialogando. 

7- L'aumento dell'inquinamento causerà una drammatica crescita dei tumori. 

8- I prezzi dell'energia andranno alle stelle. Le fonti alternative stenteranno a crescere.

9- Una moderna epidemia di influenza o un suo equivalente si diffonderanno a macchia d'olio uccidendo più di 200 milione di persone. 

10- Un contraccolpo sociale e culturale arresterà il progresso, ponendo gli esseri umani davanti a scelte critiche per andare avanti. E non è detto che ci riusciranno. 

Che dite? Pare incredibile. Quasi quasi telefono a Fox dicendogli di imparare da Wired! 

Altro punto di vista.

 

VITO MANCUSO Il teologo: "Il principio dell'autodeterminazione non è in contrasto con la dottrina cattolica "

"Su etica e diritti la Chiesa non brilla la vita è sacra, ma solo se è libera"

Domenico Agasso

Non esiste persona che non voglia vivere. L'istinto di sopravvivenza è la forza più radicata che esista. Se uno come "Mario" giunge a volere il suicidio assistito non è perché vuole morire, ma perché vuole vivere, vivere anche la sua morte. Questo è decisivo da capire. La morte è inevitabile, ma la si può affrontare da persona consapevole anche in condizioni fisicamente drammatiche». Lo esclama con forza Vito Mancuso, teologo e filosofo cattolico ritenuto da una gran parte della galassia ecclesiale un «eretico».

Come definisce la decisione del Comitato etico su "Mario", tetraplegico da 10 anni?

«Inevitabile. Doveva avvenire ed è avvenuta. Esiste una logica dentro cui l'umanità vive che si chiama evoluzione, processo, trasformazione. Quindi penso che oggi l'esercizio dell'etica nel nostro tempo non possa prescindere dall'autodeterminazione su se stessi, che tra l'altro, come ricordava Hans Kung, non è in contrasto con la dottrina cattolica».

«Inevitabile» significa che è arrivata in ritardo?

«Forse siamo puntuali. Nel senso che per arrivare a ottenere un ampio consenso della nostra società su questioni così delicate era necessario passare da dove siamo passati. Questo riconoscimento è ciò di cui la nostra comunità ha bisogno perché ci possa essere etica e libertà. Altrimenti ci sarebbe solo imposizione».

La Chiesa sostiene che la via per i casi come "Mario" siano le cure palliative: basterebbero?

«Per alcuni malati sì. Per altri no. E non può che essere la coscienza dell'individuo coinvolto in casi così delicati a dire se sono sufficienti. La Chiesa purtroppo su una serie di questioni di morale individuale e prima ancora di diritti umani non ha sempre brillato per essere all'avanguardia. Proprio la Chiesa che dovrebbe essere trainante e illuminante nella cura della vita cosciente e libera spesso gioca una partita di retroguardia».

Ma allora su questi temi quale dovrebbe essere il punto di riferimento per un cittadino cattolico?

«È la coscienza, che secondo il Concilio Vaticano II è il vero e proprio luogo in cui lo spirito di Dio parla all'uomo, una specie di santuario che ogni essere umano ha dentro di sé. Quando siamo in presenza di uno Stato come il nostro che garantisce l'esercizio della libertà di coscienza siamo fortunati. Quindi penso che i cattolici siano chiamati a essere fedeli alla retta coscienza. E che cosa sia giusto o sbagliato quando si tratta dell'esistenza fisica gravemente sofferente lo può giudicare solo chi è nella situazione concreta».

Per la Chiesa la vita è sacra e inviolabile. E la libertà individuale?

«Ma di che vita stiamo parlando? Di quella di un essere umano, che non è solo esistenza biologica, ma è anche spirituale. E allora che cos'è davvero sacro e inviolabile? La coscienza, che è l'espressione dell'anima spirituale, che si determina a volte anche contro la vita biologica, contro il proprio corpo. E questa è manifestazione di libertà, che deve essere altrettanto inviolabile».

Può esserci un compromesso in uno Stato laico?

«Custodire la libertà di coscienza. Sono d'accordo con la sacralità della vita, ma bisogna aggiungere della vita cosciente e libera. E il rispetto della sacralità della vita deve essere così alto da portare al rispetto della decisione di ogni singolo essere umano, soprattutto quando attiene alla sua esistenza segnata dal dolore atroce a causa di una malattia irreversibile». 

Punto di vista

 

La lunga morte

di Mattia Feltri 

Commentando la vicenda del tetraplegico marchigiano cui è stato concesso il suicidio assistito, Eugenia Roccella, donna per cui provo affetto e stima, ha individuato l'obiettivo culturale: distruggere l'idea di intangibilità della vita. Mi è subito venuta in mente una frase da me appena letta, e scritta da Seneca duemila anni fa in una lettera all'amico Lucilio: impara a morire anziché a uccidere. L'intangibilità della vita, credo, sta tutta in quella frase, perché intangibile è la vita che non ci appartiene, cioè la vita altrui. Ma qui la distanza fra chi crede e chi non crede si fa irrimediabile. Chi crede in Dio sa che nemmeno la vita propria gli appartiene, lo ha detto con schiettezza a questo giornale monsignor Suetta, non appartiene né alla società né al singolo, appartiene a Dio ed è Dio a sapere quando comincia e quando finisce (spero di non aver proposto una sintesi troppo dozzinale). Ma chi non crede in Dio crede nella somma libertà di disporre della propria vita. E ho sempre trovato disastrosamente paradossale che chiunque – abbia un rapporto con Dio o no – possa disporre della sua vita finché dispone del suo corpo, ma se non dispone del suo corpo, come il tetraplegico marchigiano, gli è impedito anche di disporre della sua vita. Poiché non c'è un Dio nel mio cuore, mi consolo con le parole di Seneca, per il quale abbiamo una ragione di non lamentarci della vita: non trattiene nessuno, e il saggio vive quanto deve non quanto può. Bisogna imparare a morire, diceva, perché in certi casi prolungare la vita significa prolungare la morte. Prolungare la morte a chi non può darsela, questo mi sembra disumano.

Una grande Amaca

 

Una preghiera per i crociati

di Michele Serra

Di fronte al leader dei No Vax veneti, religiosissimo, incazzatissimo, che si contagia durante un pellegrinaggio a Medjugorje e adesso è in terapia sub-intensiva, dunque in condizioni gravi, l’istinto, inevitabile, è allargare le braccia e passare, dopo il dovuto amen, ad altro argomento.

Poi però si pensa alla sofferenza, sua e di chi gli vuole bene, e al bisogno di rimanere umani che può salvarci non tanto dai No Vax, quanto da noi stessi. Si sosta dunque, metaforicamente, al capezzale di questo sventurato, di questo scervellato, e più di ogni altra cosa ci si domanda: ma avrà capito? Attribuirà a un disegno divino la sua malattia, oppure sarà capace di fare due più due e considerare la sua improvvida maniera di affrontare un virus che a tutti noi, poveri cristi, normali cristi, perplessi cristi, umili cristi, suscita paura, e bisogno di cura, e bisogno di vaccino, e a quelli come lui invece ha suscitato, fin qui, solo bizzarre dicerie, arroganti accuse, spocchiose illazioni?

Lui non lo sa, forse non lo saprà mai, ma anche dal suo ritorno alla ragione dipende la nostra residua speranza. Nessuno si salva da solo, e tantomeno ci piacerà salvarci vedendo rantolare e crepare i fichissimi e le fichissime ai quali il vaccino (popolarissimo, richiestissimo) invece fa schifo, perché è direttamente da Dio e da Maria Vergine, beati loro, che questi eletti attingono grazia e guarigione. È pazzesco, se ci pensate: uno come me, ateo e disarmato, oggi prega per la salute, fisica e psichica, di un crociato che è rimasto infilzato nella sua stessa spada.

mercoledì 24 novembre 2021

Coraggio!


Dai su di morale! Il tempo vi passerà lo stesso! Al mattino due ore se ne andranno per il tampone, con coda al freddo. Poi qualcuno vedrete che un caffè ve lo porterà su qualche panchina in piazza! Pranzo e cena a casa e poi chat con qualche cugino che conosce l’idraulico che si aggiorna sul Reader’s Digest per la lotta contro questo terribile vaccino che porterà gli sfigati come noi che l’hanno fatto a trasformarsi in upupe entro dieci anni! Per non parlare dei microchip e della terra piatta! E la sera rigorosamente alla tv, perché no: teatri, cinema e stadi saranno off limits per saccenti come voi! Ah dimenticavo! Ogni tanto qualche bel raduno all’aria aperta, quello sì che lo potrete fare! A combattere contro questa dittatura, terribile, che leva la libertà di spararsi in gola un bel tubo sbuffante ossigeno! Dai ragazzi, coraggio! Sarà dura ma voi siete irreprensibili! Un’ultima cosa: c’è un tizio, che ha un cugino maniscalco che legge tutti i pensieri dell’arcivescovo Viganò, che asserisce di aver scoperto che mangiare troppi totanetti possa causare una dermatosi che fa crescere le unghie rapidamente! Che ne dite?

Ahhh Domenico!

 


Ora non è che si debba sempre cercare il pelo nell'uovo; ma questa statua in omaggio a Maradona, creata dall'artista Domenico Sepe, contiene in sé un inaudito errore, per certi versi pacchiano, ed equivale a preparare un monumento a Paganini con la chitarra in mano, o a Proust mentre dipinge, o una statua a Van Gogh intento a scrivere un poema! Il sinistro di Dio caro Sepe, lo chiamavano così: il migliori giocatore di calcio usava il destro solo per aiutarsi ad illuminarci con il sinistro divino! E tu che hai fatto? Non ho parole!    

Robecchi e B.

 

B. al Quirinale. È lo spettacolo d’arte varia di un uomo innamorato di sé

DI ALESSANDRO ROBECCHI

Nell’eterno giorno della marmotta che viviamo, scandito dalle stesse parole di sempre, da “Non abbassare la guardia” (Covid) a “No allo spezzatino” (Tim), la battaglia per il Quirinale porta una ventata di spumeggiante novità, che metterà d’accordo fini scacchisti e rudi amanti della lotta nel fango. Insomma, c’è una scadenza, bisognerà prima o poi fare dei nomi, tessere, cucire, uscire allo scoperto, imbastire agguati nell’ombra, bruciare avversari, mentire. Che meraviglia. E poi, tutto in diretta, l’atto finale. Prepariamoci.

Su tutti svetta Silvio Nostro, uno che ci crede sempre al di là della logica, che non molla nemmeno davanti all’evidenza, insomma che punta al Quirinale senza se e senza ma (e senza dirlo per scaramanzia anche se lo sanno tutti). Ha mandato, pare, una brochure a tutti parlamentari, una specie di opuscolo con le sue gesta da statista, discorsi alti, diciamo così, non le barzellette. Poi, grandiosa, l’uscita sul Reddito di Cittadinanza, che dice un po’ le cose come stanno e spezza la narrazione ossessiva del “reddito di delinquenza” (cfr. Renzi) che “diseduca alla sofferenza” (cfr, sia Renzi che Salvini), o che è “come il metadone” (cfr, Meloni). Insomma, commovente Silvio in cerca di sponde per salire al Colle, ma di una cosa bisogna dargli atto: pochi come lui sanno l’importanza del mercato interno, dello stimolo ai consumi, della necessità di avere gente felice che fa la spesa, e cinque-sette milioni di poveri non gli piacciono di certo.

Ma sia: nella partita complicatissima del Quirinale, che investe la partita complicatissima del governo, che riguarda la partita complicatissima dei futuri assetti politici, la mission di Berlusconi – portare Berlusconi a fare il capo dello Stato – è l’unica cosa chiara. E infatti tutti hanno letto l’apertura di Silvio sul Reddito di Cittadinanza come un dar di gomito ai Cinquestelle, un’operazione simpatia, cosa che Silvio tenta in qualche modo anche con il Pd, mentre Renzi si vanta che farà tutto lui e “siamo l’ago della bilancia”, Salvini e Meloni sostengono Berlusconi, a parole e con l’atteggiamento di fare un favore al vecchio padrone.

Quel che ci si presenta davanti, insomma, è lo spettacolo d’arte varia di un uomo innamorato di sé, che vuole abbastanza incongruamente coronare il suo sogno di padre della patria. Mi aspetto da un momento all’altro Silvio at work su molti fronti, alle manifestazioni per l’acqua pubblica, o a quelle per Fiume italiana, per l’aborto, contro l’aborto, fa lo stesso, purché gli venga accreditata la patente di uomo retto e super partes. Non male per uno che ha diviso il Paese per trent’anni, e fa tenerezza sentire i giovani epigoni che tuonano da un palco contro la magistratura con gli stessi argomenti e motivazioni che usava lui, passivo-aggressivo. Il giorno della marmotta, appunto.

Il bello, deve ancora venire, questo è certo, nel vortice di nomi bruciati, candidature civetta, ballon d’essai. Non proprio uno spettacolo edificante, con minacce incrociate, anche divertenti, tipo Letta che dice a Renzi che se si schiera con le destre sul Quirinale tra loro è finita (ah, perché? Non è ancora finita? Cosa serve ancora?). In tutto il bailamme politico e parapolitico che ci attende, insomma, le motivazioni di Silvio, la pura ambizione personale, un riconoscimento finale alla sua opera, un risarcimento per le ingiustizie subite (eh?) sembra la più cristallina, a suo modo epica: l’ultima battaglia di uno che sì, il Paese l’ha cambiato eccome, rendendolo, ahinoi, quello che vediamo.

Magico Andrea!

 

IDENTIKIT

di Andrea Scanzi

Meb alla Leopolda “balla con le stelle” e Nobili fa la 4×100

Ho appena terminato un lungo confronto con il direttore di questo giornale, Marco Travaglio, durante il quale ho cercato di convincerlo in merito alla inusitata bellezza del progetto renziano. È vero, in passato sono forse stato troppo critico con Renzi e i suoi statisti, ma non è mai tardi per cambiare idea. Purtroppo Travaglio resta ottusamente ancorato alle sue convinzioni, ma la verità è che l’ultima Leopolda mi ha esaltato tantissimo. Mi ha regalato emozioni autentiche, mi ha aperto la mente: mi ha mostrato la Via. Qualcuno di voi mi dirà che sto sbagliando, che ormai Renzi non ha elettori e che anche alla Leopolda c’erano forse più giornalisti che spettatori. Siete nel torto, accecati dall’ira e dall’odio. E intendo ora dimostrarvelo.

Matteo Renzi. Fisicamente performante come un Dio greco, a dispetto di una tendenza estetica generale incline al tracollo (ostentato). Sicuro di sé come Tatarusanu nelle uscite, mai vendicativo e sempre lucido, con una capacità oratoria prossima a quella di un lemure rauco e con una propensione (auto)ironica al cui confronto Tremori è Troisi. Renzi mi è parso un mix tra Churchill, De Gasperi, Don Sturzo, Mick Jagger e il Gengio della Rassinata. Idolo assoluto.

Maria Elena Boschi. Abilissima nel camuffare la sua natura di ferocissima e vendicativissima “zarina” (decaduta) della politica italiana, ha mostrato alla Leopolda il suo volto più tenero e addirittura lacrimevole, fornendo persino un apprezzabile remake interpretativo del pianto antico della signora Fornero. La Boschi ci ha ricordato quanto ella abbia sofferto per gli odiosi attacchi di hater e media, dimenticandosi – del tutto involontariamente, s’intende – di quanto abbiano sofferto alcuni giornalisti per le efferate ritorsioni renziane durante l’era 2014/2016. E soprattutto di quanto abbia sofferto l’Italia tutta per averla avuta ministra.

Teresa Bellanova. Semplicemente eroica nel gettare il cuore oltre l’ostacolo fino a difendere a spada tratta l’aspetto più eticamente oscuro di Renzi, ovvero la sua disinvoltura nel prender soldi dalla diversamente democratica Arabia Saudita. C’è, nella Bellanova, un fervore quasi religioso nel parlare di Renzi. Neanche Brosio, forse, esibisce un tale afflato nel raccontar di Medjugorje. C’mon Teresa!

Ivan Scalfarotto. Dopo avere meritoriamente passato buona parte della sua vita politica a cercare di ottenere più diritti civili per le minoranze meno tutelate, è parso di colpo trasformarsi in Bruto nei confronti di quel ddl Zan che è morto anche (anzitutto?) per colpa sua. Ora, però, Renzi ci dice che i renziani presenteranno una proposta di legge concepita proprio da Scalfarotto. Era proprio quello che noi tutti attendevamo, per avere la certezza definitiva che – per un bel pezzo – omosessuali e transessuali non verranno calcolati di pezza.

Luciano Nobili. Mai domo nel raccattar figuracce mediatiche, fino al parossismo raggiunto con Report e le interrogazioni parlamentari sul “sentito dire”, ieri lo si è rivisto in tivù bello tonico (?), con la solita facciona rubizza e la solita vocina da overdose di elio nelle corde vocali. Ha detto che Italia Viva sta bene e che Letta non sarà mai così bischero da inseguire i moribondi 5 Stelle invece dei fortissimi italovivi. Come sempre Nobili ha poche idee e confuse: infatti è renziano.

Concludendo. Il futuro è segnato: Bellanova al Quirinale, Renzi a Palazzo Chigi, Scalfarotto titolare in Davis al posto di Berrettini, Boschi a Ballando con le stelle e Luciano Nobili staffettista nella 4×100. Ci attendono giorni d’estasi e gloria!

Buongiorno

 

I morti e i vivi
di Mattia Feltri
Ogni tanto arrivano piccole strane ondate, l'ultima delle quali riguarda le virtù del Regno Unito nel contenimento del Covid senza nemmeno ricorrere a Green Pass o altre limitazioni della libertà. Ieri per l'intera giornata ho assistito all'elogio via social, anche di popolari analisti, del fruttuoso aplomb britannico davanti al virus. Forse ingannati dal numero dei morti di lunedì - quarantacinque, mentre da noi erano stati settanta - o da non so che altro, hanno issato alla gloria di un pomeriggio il governo di Londra, dove però non ignorano che la media di morti dell'ultima settimana è quasi di centocinquanta al giorno, e da noi meno della metà: settanta. Né sembravano convincenti i paralleli fra loro e noi, per il numero di abitanti e quello complessivo dei morti: sessantasei milioni a sessanta per 144 mila morti a 133 mila. Siamo pari: poco più di duemila morti per milione di abitante, noi giusto qualcuno in meno. Soltanto che in Italia avevamo avuto 74 mila morti nel 2020 (dovuti soprattutto al disastro lombardo d'inizio pandemia) e ne abbiamo avuti fin qui 59 mila nel 2021; il Regno Unito ne ha avuti 73 mila nel 2020 e 71 mila nel 2021: quest'anno dodicimila in più di noi. Se prendiamo in considerazione i dati dal primo di settembre, i morti per Covid sono stati da loro 10 mila 748 e da noi 3 mila 934. A che cosa è dovuta la differenza? Un po' dipenderà dal numero di vaccinati con due dosi: il 68.7 per cento da loro, il 73.7 per cento da noi. E un po' dipenderà dalle limitazioni come il Green Pass che loro non hanno e noi sì. Sono scelte, al Regno Unito sono costate 12 mila morti che da noi sono 12 mila vivi.

Si scherza....

 


martedì 23 novembre 2021

Per accrescere la conoscenza

Leggete questo articolo, importante, basilare. Racconta di un enorme ratto, narra della boscaglia inaudita ed imperterrita avviluppante questo povero paese, depredato da coloro che ancor oggi sono agli onori della cronaca come imprenditori, nella realtà beceri finanzieri trafficoni che non esitano a danneggiare beltà societarie che nella gran parte del mondo civilizzato sarebbe custodito gelosamente quale vanto nazionale.

Senza ritegno, come briganti della peggior specie. 

Tim, i carnefici che hanno ucciso un gioiello

TELECOMUNICAZIONI - Il disastro dalla privatizzazione a oggi. La lunga agonia dalla “Razza padana” alla Pirelli alla crisi attuale: chi ha affossato l’ex monopolista bruciando miliardi e 80 mila posti di lavoro

DI CARLO DI FOGGIA 

È vero che la Storia è maestra, ma non ha scolari. Però quella di Telecom impressiona. Nel 1989, il fondo di private equity Kholberg Kravis Roberts & C. (Kkr) acquisì il gruppo RJR Nabisco per la mostruosa cifra di 31 miliardi di dollari. A oggi rimane una delle più grandi operazioni di Leverage buyout della storia. Il termine era noto da anni per indicare le operazioni di acquisto a debito scaricandolo poi sulle società acquistate, ma in Italia tutti finsero di non conoscerlo fino al disastro Telecom dieci anni dopo. La storia fu immortalata dal romanzo Barbari alle porte, la caduta di RJR Nabisco scritto dai giornalisti investigativi Bryan Burrough e John Helyar. L’Ad di Nabisco, F. Ross Johnson, per evitare di dover rispondere agli azionisti di una gestione fallimentare e farsi cacciare, decide di acquistare tutte le azioni Nabisco. Il fondatore e capo di Kkr, Henry Kravis, fiuta l’affare e parte una guerra stellare al rialzo delle azioni che si conclude con la vittoria dei “barbari” di Kkr. Johnson era noto per sprechi ed eccessi di lusso. L’arrivo dei barbari, che lo liquidarono a peso d’oro, fu quindi visto con favore. Due anni dopo, con l’azienda schiacciata dall’enorme debito contratto per la scalata, Kkr vendette le sue quote e la Nabisco nel ’99 finirà in uno spezzatino disastroso.

Il precedente illumina la triste storia di Tim, oggi vittima dell’ennesimo scontro di potere. I vertici sono stati sfiduciati dal primo azionista Vivendi e di fatto anche dal secondo, la Cassa Depositi e Prestiti. In soccorso dell’Ad Luigi Gubitosi è arrivato Kkr, che poco prima di un cda, fissato per venerdì, in cui Gubitosi rischia il posto, ha presentato una “manifestazione di interesse non vincolante e non indicativa” per comprarsi Tim con 11 miliardi e avviare uno “spezzatino” delle attività per estrarre un presunto valore oggi non riconosciuto dal mercato. Per quegli strani giri di potere dei disastri finanziari, a decidere la partita a Palazzo Chigi c’è una delle figure chiave delle privatizzazioni degli anni 90: Mario Draghi.

Il disastro di Tim nasce nel 1997. L’Italia deve entrare nell’euro, ha bisogno di soldi. A gestire la madre di tutte le privatizzazioni c’è Romano Prodi a Palazzo Chigi, Carlo Azeglio Ciampi al Tesoro, dove Draghi è direttore generale. All’epoca, Tim era un gioiello, una delle migliori aziende di Tlc al mondo con tecnologie all’avanguardia. Esisteva la lottizzazione dei partiti ed esistevano le ruberie, ma le aziende pubbliche tutelavano la ricerca, davano servizi e non profitti, che per i boiardi di Stato erano l’ultimo dei pensieri. Il 23 gennaio, i vertici della Telecom statale Biagio Agnes ed Ernesto Pascale vengono convocati al Tesoro da Draghi che gli chiede di dimettersi per favorire l’operazione. L’ordine arriva da Prodi, appoggiato dall’azionista di maggioranza del governo, Massimo D’Alema. “Mi dispiaceva che una persona che aveva servito per così tanti anni il Paese si trovasse davanti solo una porta dell’ascensore”, dirà Draghi di Agnes. La privatizzazione è un disastro. Lo Stato incassa 26 mila miliardi di lire (13 mld di euro), ma invece di conservare il controllo si affida alla soluzione penosa del “nocciolo duro”, un salottino finanziario (Generali, Comit, Credit, Mps, ecc.) che con il 6% delle azioni deve garantire la stabilità. Finisce che Fiat comanda con lo 0,6% delle azioni. “Vennero a profanare Telecom perché non ci capivano niente e mi misero a fianco delle persone assurde”, ha detto l’allora Ad di Tim, Vito Gamberale. Umberto Agnelli impone alla presidenza l’ex Fiat Gian Mario Rossingolo, cacciato dopo soli dieci mesi e una sfilza di flop.

Il disastro avviene nel 1999 con la scalata di Roberto Colaninno attraverso la Olivetti. D’Alema da Palazzo Chigi benedice la “coraggiosa razza padana”, anche se di coraggioso non c’è niente perché non ci mettono soldi. L’ad di Tim, Franco Bernabè, prova a impedire la scalata ma il leader diessino impone al Tesoro di non ostacolare l’operazione. In un burrascoso vertice a Chigi, Draghi pretende che glielo si metta per iscritto. Colaninno e compagnia spendono 30 miliardi, condannando a morte Olivetti mentre il debito di Tim schizza.

Solo due anni dopo la scalata, Colaninno lascia il campo a Marco Tronchetti Provera. Pirelli e compagnia decidono di scalare Telecom passando – tramite la holding Olimpia – per la Olivetti che controlla Tim. In questo modo, con 5,3 miliardi, si prendono un’azienda che quotava in Borsa quasi 70 miliardi. Attraverso il sistema di scatole cinesi, Tronchetti Provera ha guidato Telecom avendo personalmente meno dell’1% del capitale, mentre alla Pirelli l’avventura è costata cara. I debiti di Olivetti vengono fusi con la controllata Tim, e nel 2005 quelli “netti” ammontavano a 39 miliardi. È il leverage buyout, bellezza! Con un simile indebitamento, Tim si è avvitata. Nel 1999 fatturava 27 miliardi di euro, oggi 15; aveva 8 miliardi di debiti netti, oggi 17; è passata da 120 mila a 40 mila dipendenti; gli investimenti sono rimasti fermi. Nel 2007 Tronchetti vende alla cordata formata da Mediobanca, Generali e Intesa, che richiamano Bernabè, costretto ad ammettere che l’azienda “è stata spolpata”.

Da allora è stata una girandola di avvicendamenti finché non si è provato a regalare il colosso in crisi alla spagnola Telefonica, anche qui senza grandi successi. Poi è arrivata la Vivendi di Vincent Bollorè, che ha speso 4 miliardi per prendersi il 23,9% (oggi per oltre metà bruciati) e ingaggiato uno scontro col governo che ha schierato Cdp per aiutare il fondo Usa Elliott a mettere in minoranza i francesi. Sul Fatto, Giorgio Meletti ha calcolato che in poco più di 20 anni Tim ha speso in stipendi e buonuscite ai suoi manager 2-300 milioni. Una sfilza di nomi che fa quasi sorridere se non fosse che sono stati persi 80 mila posti di lavoro: Colaninno, Enrico Bondi, Tronchetti Provera, Riccardo Ruggiero, Carlo Buora, Franco Bernabè, Marco Patuano, Giuseppe Recchi, Amos Ghenis, Arnaud de Puyfontaine, Fulvio Conti e Gubitosi.

La liberalizzazione della telefonia ha ridotto le tariffe privando gli operatori delle risorse per gli investimenti. Se si aggiunge, come con Tim, un debito monstre, la frittata è fatta. È per questo che non era mai avvenuta prima di allora una scalata ostile a un gestore telefonico, peraltro privatizzato con tutta la rete.

Oggi il colosso perde ricavi e si teme una terza revisione dei profitti (profit waring) dopo le due lanciate da Gubitosi da marzo. Con Kkr l’ipotesi originale sarebbe uno “spezzatino” che parta separando la rete Tim dai servizi per darla (con debito ed esuberi annessi) allo Stato per il tramite di Cdp. È, in sostanza, il “piano Rovati” consegnato ai tempi del governo Prodi-2 alla Tim gestione Pirelli, che gridò all’esproprio. Quindici anni dopo, siamo ancora lì, con Vivendi disponibile a trattare, ma senza che nessuno riesca a spiegare perché ora si potrebbe fare.

domenica 21 novembre 2021

Rutti nello spazio




Che meraviglia!



Era il 1982, c'era Muhammad Ali in Italia, l'avevamo fatto venire per "Blitz"; a quei tempi ci
permettevamo questi lussi su Rai Due.
Un giorno uscii di casa per andare a prendere
Muhammad all' hotel Hilton e portarlo a pranzo e in
quel momento squillò il telefono; era Robert De Niro
che in quel periodo si trovava a Roma e voleva evitare ogni tipo di assembramento o contatto con la gente.
Gli dissi che sarei andato a pranzo con Muhammad
Ali e lui rispose: "Vai a pranzo con Muhammad Ali e
non mi inviti?!" e allora gli dico: "va bene vieni anche
te".
Passa neanche un minuto e risquilla il telefono,
rispondo e dall'altra parte sento: "Ma allora tu sei un
figlio de na....Ma come? lo devo parlare con Bob di
lavoro e lui dice che deve andare a cena con te e Ali.
E a me nun me porti?"
Era Sergio Leone….gli dissi: Vieni anche te, andiamo
da "Checco er Carrettiere".
Ero pronto per uscire di casa finalmente, ma risquillò
il telefono nuovamente ed ero indeciso se rispondere o meno.
Alla fine risposi e dall'altra parte una voce disse: "Ora tu dirai che sono un figlio di puttana”…
Era Gabriel Garcia Marquez, futuro premio Nobel
della Letteratura.
Gli Dissi: "Eh perche saresti un figlio di..
E lui: "Perchè sono alcuni giorni che mi trovo a Roma
e quindi sono un figlio di... perchè non ti ho chiamato”.
Però anche tu lo sei; vai a pranzo con Muhammad Ali e non me lo dici? E' il sogno della mia vita.
Gli dico: "Vieni pure anche tu".

E così tavolo per cinque. Fu Sergio Leone a proporre
di prenderlo da "Checco er carrettiere". Era la
trattoria dove si era sempre sentito a casa. Checco e Leone, insieme a Ennio Morricone, si erano
conosciuti alle elementari, alla Scuola dei Fratelli
Cristiani, e avevano condiviso la loro infanzia
trasteverina sulla scalinata di Viale Glorioso.
Mezz'ora dopo ci ritrovammo tutti insieme da Checco er Carrettiere.
Passammo l'intera serata a fare domande a
Muhammad sulla sua carriera e sui suoi match. Ci
raccontò tutto. lo, De Niro, Marquez e Sergio Leone.

Gianni Minà

Rigurgiti

 

Rigurgiti della settimana trascorsa, segno dell'inadeguatezza della ragione, del suo poco utilizzo in questa valle di selfie: al primo posto c'è un imbecille, tra l'altro capogruppo della Lega a Lissone, al secolo Fabio Meroni che si è permesso di riferirsi a Liliana Segre citandola mediante il codice nazista che la grande senatrice porta sul braccio. Il Cazzaro dovrebbe congedarlo in seduta stante, ma probabilmente il fatto che l'idiota attiri voti lo convincerà ad agevolare il benaltrismo becero che dimora in lui (e allora le Foibe? etc etc)
Gianluca Rospi, nome sconosciuto, come tanti nell'emiciclo, votato all'epoca da tutti coloro che credevano nella nuova ondata di cambiamento del Movimento 5 Stelle. L'infingardo è stato accalappiato da un pregiudicato, amante delle cene eleganti, pagatore seriale di tangenti alla mafia, che si è messo in testa di divenire il prossimo presidente della Repubblica.
Stephane Vancel, amministratore delegato di Moderna: da quando è scoppiata la pandemia ha iniziato a centellinare la vendita delle azioni della società in suo possesso, ricavandone, al momento, duecento milioni di dollari.
Gavino Mariotti, rettore dell'università di Sassari: all'apertura del 460° anno accademico, ha avuto la brillante idea di invitare alla cerimonia, oltre a Maria Elisabetta Alberta in Casellati - vien dal mare - presidente del Senato, anche Antonio Razzi, che sta alla cultura come Maria Giovanna Maglie all'opinionista costruttivo.
C'era anche l'amicone di Razzi, il senatore Carlo Doria, fedelissimo del grande, e grosso, governatore Solinas; Doria nel 2020 faceva parte dell'Unità di crisi combattente il Covid. Usci con una illuminata dichiarazione: "il Covid non uccide più: è una un'influenza." Quando si dice la saggezza e la lungimiranza.
Infine in una stazione in disuso fiorentina c'è un comico che sta attaccando magistratura e giornalisti, solo quelli liberi di dire come la pensano, senza alcun contraddittorio. Non merita nessuna rilevanza, essendo prossimo a dissolversi politicamente. La tristezza è che lo stanno ascoltando circa duemila persone a serata, che se li aggiungiamo alle migliaia di no vai, no green pass, fanno venire voglia di non sorridere più, invocando il meteorite...

L'Amaca

 

La droga dei partiti
di Michele Serra
L’effetto della Rai sui partiti è devastante. Droga pesante.
Li sconvolge, li sovreccita, disposti a qualunque scenata, ricatto, patteggiamento pur di avere la propria dose di Rai, anche se in modica quantità: un direttore o un vicedirettore di fiducia al quale telefonare ogni tanto.
La crisi di nervi di Conte è stata l’ennesima pagina di una storia eterna, immutabile, che vede tutti i partiti, senza eccezione, legislatura dopo legislatura, bivaccare in quelle stanze con il pretesto (comico, alla luce dei fatti) di garantire “il pluralismo dell’informazione”, nome elegante per una lottizzazione desolante, il cui risultato più evidente sono quelle orride fettine di telegiornale assegnate ai portavoce di partito, una frasetta insulsa cadauno solo per piantare una bandierina nel palinsesto, non certo per dire qualcosa di utile e interessante.
L’informazione sarebbe l’esatto contrario: dire solo ciò che è utile e interessante.
L’occupazione stabile dei telegiornali da parte dei dichiaratori di partito è dunque, per l’informazione, la morte in diretta. Per non dire dei continui cazziatoni sulla qualità dei programmi da parte di deputati e senatori che non saprebbero nemmeno dire “signore e signori buonasera”.
Non si vede traccia di disintossicazione, anche i cinquestelle, sedicenti eversori della partitocrazia, hanno fatto, sulla Rai, la loro mesta figura. Andassero in Parlamento gli unni, i marziani, le amazzoni, chiederebbero comunque di avere almeno un vicedirettore di rete. Prima, seconda, terza, ottava Repubblica, non c’è scampo, quando si parla di Rai l’occhio del politico si accende come quello del bisonte di Yellowstone quando carica gli altri maschi.

sabato 20 novembre 2021

Gad

 

Migranti, perché la crisi umanitaria non ci tocca?
DI GAD LERNER
Non penso certo di essere migliore, né tantomeno più buono di chi mi legge. Solo vorrei che insieme rispondessimo sinceramente a una domanda brutale: perché non ce ne frega niente dei 10 africani morti d’asfissia martedì scorso nel Canale di Sicilia, rimasti schiacciati dalla calca degli altri 186 che la nave di Medici senza Frontiere è riuscita a salvare? Perché non ce ne frega niente di quelli che nelle stesse ore morivano assiderati nella pianura bielorussa, magari con un briciolo di attenzione in più concessa alla malasorte del bambino siriano di un anno che qualche giornale ha sentito il dovere di affacciare in prima pagina?
Ok, meglio cambiare tono. A colpevolizzarsi si finisce solo per far retorica a buon mercato, e magari a offendersi. A nessuno piace sentirsi definire cinico o cattivo. Ma la domanda resta: da dove nasce e dove ci porterà l’indifferenza predominante nell’opinione pubblica di fronte a una catastrofe umanitaria che avvolge il nostro continente dallo Stretto di Gibilterra fino alle steppe orientali, passando per la costa meridionale del Mediterraneo e la penisola balcanica? C’è assuefazione, d’accordo. Ci si abitua a tutto, almeno finché la sofferenza altrui si consuma a distanza. Vero è che i governanti si guardano bene dal turbare questa nostra indifferenza, semmai si sforzano di giustificarla. Ci spiegano che la colpa è dei trafficanti di esseri umani e dei dittatori che usano i migranti per minacciarci d’invasione. Confidano di riscuotere il nostro consenso impegnandosi a respingere chi si ammassa ai nostri confini senza avere le carte in regola. Accusano chi tenta di soccorrerli di nascondere i propri secondi fini e gli danno la colpa di illudere quei poveretti, attirandoli in una trappola mortale.
Tutto ciò mi è chiaro, ma ancora non risponde alla domanda: come si spiega tanta indifferenza? Perché di fronte a ogni nuovo fronte di crisi che si apre – ultimo quello che coinvolge la Polonia e le Repubbliche baltiche – l’attenzione si concentra sui risvolti geopolitici, relegando in secondo piano la sorte di quegli sventurati? Ci siamo gingillati troppo nella discussione terminologica intorno a un concetto astratto, il razzismo, che nessuno è più disposto a intestarsi. A parole tutti conveniamo che il valore della vita umana non ammette graduatorie. E nessuno più, tranne pochi fanatici, teorizza l’esistenza di razze inferiori e razze superiori. Eppure, temo che proprio qui si nasconda la convinzione non dichiarabile, imbarazzante ma radicatissima, con la quale dobbiamo ancora fare i conti dentro a noi stessi. Non è facile sbarazzarsi del senso comune sedimentato in secoli, millenni di storia, secondo cui nel mondo convivono uomini e sottouomini, sicché metterli alla pari sarebbe solo una forzatura intellettuale artificiosa, contraddetta dalla realtà. Fatichiamo, insomma, ad accettare che i profughi disposti a rischiare la pelle, e a farla rischiare ai loro figli, pur di raggiungere le zone più ricche del pianeta, siano davvero persone come noi che vi abitiamo. Gli antichi li chiamavano barbari. I nazisti, più di recente, untermensch. Cioè per l’appunto sub-umani, sottouomini. Nell’età contemporanea ci siamo proibiti di ricorrere a una simile terminologia, ma nell’intimo quella sensazione è dura da sradicare. Ne muoiono a migliaia per raggiungerci. Quelli che ce la fanno accettano di buon grado – per loro è già un miglioramento – di venir ammassati in centri di raccolta inospitali. Pur di sopravvivere, svolgono lavori con retribuzioni miserabili (il che ci fa comodo) e senza diritti civili riconosciuti. Anche questa loro predisposizione alla subalternità contribuisce a farceli percepire come esseri inferiori, selvaggi da allontanare o, laddove serve, da assoggettare.
Mi è servito a chiarirmi le idee il libro che Francesco Filippi ha dedicato all’eredità culturale del colonialismo italiano: Noi però gli abbiamo costruito i ponti. Le colonie italiane tra bugie, razzismo e amnesie (Bollati Boringhieri). A differenza che nel Regno Unito, in Francia, in Belgio, dove i processi di decolonizzazione furono meno frettolosi e diedero vita già nel dopoguerra a vaste comunità immigrate, l’Italia non ha mai fatto veramente i conti con la storia del suo Impero straccione. Semmai, col vittimismo che la Grande Proletaria non ha mai smesso di coltivare, a lungo è serpeggiato un atteggiamento di rimprovero nei confronti delle popolazioni che eravamo andati a civilizzare e che, strano a dirsi, non ce ne sono affatto grate. Una mentalità forgiata nel tempo, alimentata dalla rimozione dei crimini di guerra perpetrati in Libia e in Etiopia.
Può succedere così che se un bambino muore di freddo lungo il viaggio ci venga spontaneo darne la colpa ai genitori irresponsabili o a Lukashenko. Il pensiero che lo si poteva, lo si doveva soccorrere per tempo, viene solo dopo.

Grande Zerocalcare!

 


Sono un fan di Zerocalcare e vorrei spronare tutti a godersi la serie su Netflix da lui creata, naturalmente a fumetti, dal titolo "Strappare lungo i bordi" dove lo stesso mago del disegno tra l'altro raffigura perfettamente ciò che a me capita spesso, allorché non volendo finire in fretta le puntate della serie, tentenno ad andare avanti, congelandole, come quando spilucchi il torrone natalizio a piccoli morsi, sognandone uno di dimensioni enormi. 

Zerocalcare riesce nella meravigliosa arte riservata a pochi, di far ridere inducendo alla riflessione, alla pari dei grandi maghi della settima arte. Guardate questo fumetto preso dal nuovo giornale L'Essenziale: è tutto qui, compresso, liquefatto, liofilizzato, pronto all'uso, ovvero una scrollata neuronica, propedeutica al riemergere dal torpore pandemico, per porsi finalmente dinnanzi all'essenza dell'inverecondo pensiero di questa tecno-pluto-rapto-finanziacrazia che ci guida e governa: sbattiti pure come vuoi ma sappi che t'ho accalappiato, depredato, annichilito. Devi solo credere di lottare. Un giorno tra l'altro capirai che quelli, come da prassi, non sono altro che i canonici mulini a vento!
Grazie mille Zerocalcare!

venerdì 19 novembre 2021

Tutti in attesa!!

 

Fuori dall’allocchismo


Il parlamento abbruttito e depotenziato nell’era del Dragone rende l’idea di come questa restaurazione dell’uomo forte piaccia tanto ai giornalucoli di proprietà della ribalda tecno-pluto-rapto-finanzacrazia. Il silenzio imperante difronte a questo vulnus costituzionale rende l’idea di quanto sia becera e condivisa codesta infima politica. Pensando alla proroga dello stato di emergenza passato sotto il consueto silenzio, alle decine di richieste di fiducia viene da chiedersi con sgargiante naturalezza: ma se tutto questo l’avesse fatto Conte, cosa sarebbe successo, a quali immani proteste avremmo assistito? Quello che oltremodo sconquassa è il mortificante silenzio di coloro che volevano aprire il parlamento come una scatola di tonno e che invece se ne stanno silenti ed in compagnia di Al Tappone ad aspettare il bonifico mensile! Vomitevole fine di un movimento che a parole avrebbe potuto far nascere qualcosa di nuovo e che invece ora è pronto a votare un Casini qualsiasi per il Quirinale! Bleah!

A volte non mi trattengo...

 


Accade ancora, come sempre accadrà, che la malefica normalità generante lontananza di intenti, di compartecipazione incuta, nei paesi cosiddetti civili, quel freddo e gelido distacco tipico delle nazioni cosiddette evolute, in sintesi: se ho la pancia piena mi sbatto i ciufoli dei tuoi problemi!
Il circo di paese che si fa chiamare Onu, un carrozzone indegno, insapore e pure acidulo nella sua insensatezza, oltre che a indire riunioni alla "cazzo&campana" nulla può nei confronti di bestie ed orchi come è tra i peggiori il dittatore bielorusso, che non nomino apposta per spregio e ludibrio, il quale va a braccetto con l'altra canaglia, potente, potentissima per il quale quasi ogni giorno scruto siti e giornali al fine di rassicurarmi in merito al fatto che non sia ancora stato trovato nulla di migliorativo circa l'ovvia conclusione biologica della vita e che quindi, spero prima possibile, quell'assassino si leverà finalmente dai coglioni per disperdersi nel vento, m'auguro pure tempestoso.

Guardo le mani, il volto di questo bambino spinto dal bastardo bielorusso verso i bastardi polacchi e mi chiedo: possibile di aver agevolato come allocchi questa spirale di morte e insensibilità? Possibile che acconsentiamo che ci accalappino ancora coi jingle bells fatati per strisciare carte alla faccia della maggioranza del mondo, in palese e perenne difficoltà, a cui da arci-stolti neghiamo pure i vaccini perché costano e li vendono a sei sette volte il loro prezzo perché quelle tre aziende là, con bilanci da stato, se lo regalassero non potrebbero superare il muro dei cento miliardi di lucro alla faccia dell'umanità? Ma che cazzo di mondo è questo? Dove sei "Che"?

Grande Amaca

 

L’amaca
Nessuna misura di distanziamento
di Michele Serra
Il lancio del libro natalizio di Bruno Vespa è, a tutti gli effetti, una solennità romana. Una specie di festa del consociativismo, quella regola non scritta, eppure tra le più applicate, che raggruppa in un unico enorme sciame politici di destra, sinistra e centro, cardinali, generali, magistrati, dame, giornalisti, direttori e presidenti di questo e di quello, spioni in chiaro e spioni criptati, chiunque si senta parte di quella cerchia vasta, cangiante eppure eterna, che è il potere: il famoso Palazzo. A parte le Brigate Rosse e il Ku Klux Klan, non credo esistano altre forze politiche che non abbiano celebrato, presentando il nuovo libro di Vespa, il riconoscimento della propria esistenza tra quelli che contano.
Per capire quanto sia colloso quell’ambiente, e quanto certo della propria inamovibilità (i governi passano a decine, Vespa li passa in rassegna), si ascoltino le parole, non si capisce quanto autoironiche, quanto rassegnate, del segretario del Pd Enrico Letta, invitato per la prima volta e formalmente grato per l’ammissione in quell’empireo per altro popolosissimo, con decine di amici e centinaia di amici degli amici. Non proprio un club esclusivo, e addio alle regole di distanziamento.
Peccato, considero Letta persona stimabile e munito di risorse proprie, non debitrici del pappa e ciccia (si dice anche: culo e camicia) che è la Roma vespiana. Ma ormai è fatta, ci è andato pure lui, forse ci tornerà, e come direbbe Bergoglio, chi sono io per giudicarlo?
Sono un privilegiato: non faccio politica e pur essendo romano ho vissuto la mia vita, umana e professionale, quasi tutta a Milano. Ogni volta che esce il nuovo libro di Vespa, me ne rallegro assai.