giovedì 9 agosto 2018

Tutto il marcio è paese


giovedì 09/08/2018
L'INCHIESTA
Ulivi, vigne e alberi da frutta. Il caporalato è anche a Nord
DAL CHIANTI AL PIEMONTE, DALLA FRANCIACORTA FINO AL LAZIO: LO SFRUTTAMENTO STAGIONALE DELLA MANODOPERA MIGRANTE NON È UN’ESCLUSIVA DEL MEZZOGIORNO

di Ferruccio Sansa

“Quando non vi serviamo ci lasciate annegare. Quando avete bisogno ci sfruttate come schiavi. Così non vale. Accade anche al Nord”, racconta Vasile, 37 anni, che viene dalla Romania e da anni si passa l’estate nel nostro Paese. Non per una vacanza, anche se ufficialmente arriva con un’agenzia turistica (fasulla) per un viaggio di piacere (altrettanto finto). Vasile ti punta lo sguardo addosso: “Lei che cosa mangia stasera? Pomodori, un piatto di riso, una bella insalata con la bistecca. Magari un bicchiere di vino con le bollicine e una mela. Ecco, ogni boccone che sta mangiando potremmo averlo raccolto noi per 20 euro al giorno. Certo, è responsabilità dei caporali, ma anche degli agricoltori. Della grande distribuzione che vuole strappare prezzi assurdi. E, non me ne voglia, anche sua che mangia”.

Non c’è soltanto il Sud. Nella mappa del caporalato ci sono quasi tutte le regioni del Centro-Nord. A cominciare dal Lazio. “In provincia di Latina”, esordisce Ivana Galli, segretario nazionale della Flai Cgil, “c’è una comunità di lavoratori indiani che nel periodo della raccolta degli ortaggi lavorano fino a 12-13 ore al giorno. Piegati sotto il sole. Magari per 25 euro al giorno, ma devi toglierci quello che il caporale prende per trasporto, acqua e cibo”.

In Abruzzo, intorno ad Avezzano, la specialità sono i finocchi, per raccoglierli devi alzarti all’una di notte perché si comincia prima dell’alba. Raccolti poveri, ma non solo: il caporalato si sta radicando anche nel Chianti dei vini e negli uliveti del grossetano.

In Emilia Romagna, come dimostrano le inchieste della Procura, ci sono Ravenna, Cesena e Forlì. Qui si parla soprattutto di allevamento. Tra i lavoratori a tempo determinato gli stranieri sono il 51% (quasi la metà donne).

Scegliete voi il menù: “In provincia di Brescia – racconta Galli – si segnala la diffusione del caporalato nella produzione di vini pregiati come il Franciacorta. Dimostrazione del fatto che non viene utilizzato solo in coltivazioni con bassissimi margini di guadagno, come i pomodori”.

Sempre in Lombardia i sindacati hanno puntato il dito sui vigneti e le mele della provincia di Sondrio. Non è esente nemmeno il bergamasco con le produzioni di insalate. Ma soprattutto ci sono Mantova e Pavia, e qui sarebbe interessante sovrapporre la mappa del caporalato a quella del radicamento della ‘ndrangheta, come consiglia Cataldo Motta, ex procuratore di Lecce oggi impegnato con Coldiretti per la lotta alle agromafie: “Al Sud il caporalato è sempre legato alla criminalità organizzata. Ma il discorso vale sempre di più anche per il Nord”. Ecco cosa può esserci dietro un melone che arriva sulle nostre tavole da Mantova, dietro certi vini e risi di Pavia. Ma ci sono anche le coltivazioni e la floricoltura di Albenga, in Liguria. E c’è chi teme che il caporalato stia arrivando fino alle mele in Trentino Alto Adige.

A Saluzzo, in Piemonte, per dare alloggio ai migranti che arrivano per la raccolta sono stati trovati 368 posti in un’ex caserma. Ma le condizioni di vita sono terribili. Duecento lavoratori hanno scritto al sindaco, Mauro Calderoni: “Noi, gli africani del Foro Boario, siamo qui a Saluzzo per cercare lavoro e non per fare casino. Restiamo qui per qualche mese e poi ce ne andremo via. Guardate la situazione in cui ci troviamo: costretti a dormire fuori, senza una tenda, senz’acqua. Non si può vivere così”.

Al Sud c’è la piaga dei trasporti folli – come hanno dimostrato le tragedie di Foggia – ma al Nord i migranti talvolta sono rinchiusi nelle aziende agricole in condizioni che ricordano la detenzione: 24 ore al giorno a disposizione del “padrone”.“Le leggi contro il caporalato risalgono all’inizio del 900. Erano nate per il Nord, per la coltivazione del riso”, spiega Motta (che ha elaborato un progetto di legge). Aggiunge: il punto è non fermarsi ai caporali, “bisogna puntare sullo sfruttamento lavorativo”.

Insomma, anche i datori di lavoro. E occorre “prevedere una premialità per chi aiuta le indagini”. Come? “Chi denuncia potrebbe essere assunto in aziende comprese in un elenco regionale”. Una lotta difficilissima anche perché in Italia le ispezioni sono calate: 8.662 nel 2015, 7.265 lo scorso anno. E l’illegalità trova nuove forme: c’è chi lavora con regolari contratti che, però, prevedono la metà delle ore. Chi sbarca su pullman di finte agenzie turistiche. Mentre la Flai contesta il decreto Dignità che in questo settore “potrebbe ampliare e non ridurre l’abuso dei voucher”. Sarà lungo estirpare il caporalato, conclude Galli, “bisogna coinvolgere la grande distribuzione che compra i pomodori alle aste online, che si basano sul massimo ribasso, arrivando a 0,31 euro a confezione”. E bisognerà coinvolgere anche i consumatori. Insomma, noi.

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