giovedì 30/08/2018
Tempo scaduto?
di Marco Travaglio
Quando partì il “governo del cambiamento”, scrivemmo che era legittimo, visto che univa i due vincitori (parziali) dalle elezioni e rappresentava – diversamente dai quattro precedenti – la maggioranza degli italiani. Oltretutto era l’unico governo possibile, dopo il (sacrosanto) rifiuto dei 5Stelle di allearsi con B. e il (demenziale) diniego del Pd, cioè di Renzi, di rinnovarsi profondamente e di dialogare con loro su pochi punti per un’intesa a tempo (la soluzione più auspicabile dopo il 4 marzo). L’unica alternativa erano elezioni subito, dall’esito scontato e terrificante: vittoria del centrodestra a trazione leghista e governo Salvini con B. riabilitato e dunque ministro, magari della Giustizia. Poi però aggiungemmo che quel “governo Frankenstein” avrebbe avuto un senso soltanto se avesse cambiato profondamente le cose, almeno su alcuni annosi problemi italiani: mancanza di lavoro, precariato, povertà, corruzione, evasione fiscale, conflitti d’interessi ecc. Sulla carta, che a governare fossero le uniche due grandi forze politiche che negli ultimi 7 anni erano rimaste fuori poteva essere un vantaggio, anche se la Lega è il partito più antico (più ancora di Forza Italia), ben incistato nel sistema di potere che ha retto l’Italia nella Seconda Repubblica. E che proprio di lì – nonostante il maquillage di Salvini – sarebbero sorti i maggiori ostacoli al cambiamento. La riuscita e la durata del Salvimaio, che unisce due forze popolari, ma con idee e basi sociali diverse se non opposte, dipendevano dalla fedeltà al contratto. Ma soprattutto dalla capacità di Salvini di uscire dalla sua campagna elettorale permanente. E di mettersi a fare le cose, profittando delle mani libere dell’alleato non (o non ancora) lobbyzzato.
In questi tre mesi, quella condizione non si è verificata. Salvini non ha alcuna intenzione di risolvere i problemi, ma solo di usarli. È sempre in giro a farsi propaganda. In questo somiglia spaventosamente a B. e Renzi: l’amministrazione, primo dovere di un ministro-vicepremier, forse lo annoia, forse non gl’interessa proprio. Vinta un’elezione, già pensa a come stravincere quella successiva. Fermarsi a lavorare sui dossier è un’inutile perdita di tempo che lo distoglie dal perenne giro d’Italia per conquistare altri voti a suon di sparate. E anche di errori grossolani. Come l’assurdo braccio di ferro sulla Diciotti, che alla fine l’ha visto cedere dopo aver inflitto a quei 167 disperati un inutile surplus di sofferenze; ma, quando finalmente avrebbe dovuto spiegare la retromarcia ai suoi fan, è arrivata provvidenziale l’arma di distrazione di massa.
Cioè l’incriminazione giudiziaria, ottimo pretesto per parlar d’altro. O come la tragicomica alleanza col fascista ungherese Viktor Orbán, un Salvini senza porti e senza mare: lui i migranti non li vuole a casa sua, li preferisce a casa nostra. Se la nuova Europa passa da quell’asse, peggio per noi, ma anche per Salvini. Altro che “prima gli italiani”: semmai, prima gli ungheresi e i loro compari di Visegrad. I 15mila milanesi in piazza a Milano a fine agosto, al seguito di una sinistra che pareva morta, dovrebbero suggerirgli qualche pensiero. Anche molti elettori di centrodestra non vogliono aver nulla a che fare con quel truce e trucido figuro e mai hanno sognato – se non come incubo – un’alleanza con certa gentaglia. Intanto Conte e Moavero tessono pazientemente, fra mille difficoltà, la tela diplomatica e ottengono ogni tanto qualche piccolo risultato per risalire la china degli accordi-capestro firmati dagli scriteriati predecessori, sui migranti e non solo. E la linea dura sull’immigrazione, pur fra mille contraddizioni e forzature, ha portato a un nuovo crollo delle partenze dei barconi e dunque delle morti in mare, anche se le condizioni dei campi-lager in Libia restano agghiaccianti.
Ma le cose buone fatte da un governo che è anche il suo e dalla maggioranza che è anche la sua (taglio dei vitalizi alla Camera, dl Dignità, un Dg indipendente alla Rai, revisione delle concessioni di beni pubblici a partire da quella regalata ad Autostrade&Benetton) sembrano non interessare Salvini. Che anzi le vive come un fastidio e un inciampo alla sua scorribanda demagogica e solitaria di Cazzaro Verde solo contro tutti. A questo punto è evidente che la maionese è impazzita. I 5Stelle non possono passare il loro tempo a fermare la mano dell’alleato e a prenderne le distanze. Né lasciarsi logorare da un partner che non ha alcuna intenzione di governare e ogni giorno, cinicamente, li sputtana. La catastrofe di Genova, poi, ha dimostrato che le lobby – orfane dei vecchi sponsor e complici – puntano tutto sulla Lega per salvare i loro privilegi: infatti i governatori nordisti Fontana, Zaia, Fedriga e Toti han subito fatto cambiare idea a Salvini sulla ri-nazionalizzazione di Autostrade: preferiscono tenersi buono il mondo confindustriale, che li usa come ultimo baluardo per le sue greppie. Prima o poi, anzi più prima che poi, se nulla cambia, Di Maio & C. dovranno porsi seriamente il problema del che fare: cioè se e quando staccare la spina. Anche perché presto o tardi, più presto che tardi, prima delle Europee 2019 o subito dopo, lo farà Salvini.
Ps. Di questo e di tanti altri temi parleremo alla festa del Fatto, che inizia stasera alla Versiliana: è un appuntamento (ormai il decimo) che ci dà la carica per iniziare bene ogni nuova stagione del nostro giornale e per captare le voci e gli umori della comunità dei nostri lettori. In attesa di cominciare, ringrazio tutti gli ospiti che hanno accolto l’invito. Iniziando da Carlo Verdone, che sarà con noi stasera, e da Max Gazzè, che ha aggiunto la tappa di domani del suo Alchemaya Tour a Marina di Pietrasanta apposta per noi. Buona festa a tutti.
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