La normalità della guerra
di Michele Serra
Dice che è solo propaganda, ovvero un fracasso di fondo, una fanfara metallica, che si fa per assordare “gli altri” e galvanizzare “i nostri”. Ma per quanto si sia abituati, o meglio rassegnati alla stupidità e alla vuotezza della propaganda, l’ininterrotto battibecco su quella che sarebbe, grosso modo, la terza guerra mondiale, fa una certa impressione, perché l’argomento ormai quotidianamente agitato — la guerra — è nei fatti lo sterminio “ufficiale” di buona parte dei “loro” e dei “nostri”, con preferenza programmatica per la morte dei maschi tra i venti e i trent’anni più l’aggiunta, dovuta alle recenti conquiste tecnologiche, di parecchi civili, compresi i bambini. (Il mezzo milione di caduti dalle due parti in Ucraina è un abominio ormai normalizzato. È la guerra, no?)
Parlarne come se fosse una delle tante beghe ordinarie tra quelle versioni moderne della tribù che sono le Nazioni, magari ha lo scopo calcolato di abituare “noi” e “loro” a considerare la guerra tra le opzioni della politica. Magari, invece, è solo sciocca irresponsabilità, imputabile a classi dirigenti sempre più mediocri e di conseguenza sempre meno responsabili. Nel conto si metta, poi, anche l’ipotesi che ai maschi di potere la parola “guerra” qualche brivido lo dia a prescindere.
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