mercoledì 10 dicembre 2025

Natangelo

 



Calendario dell'Avvento

 



Robecchi

 

Follia. Hind Rajab come Anna Frank: un paragone che sarà vietato per legge
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Si può regolare (cioè: vietare) per legge un paragone storico? Una similitudine tra epoche e attori della tragedia umana, un’analogia operativa o ideologica, una riflessione storica? Il ddl Delrio, cosiddetto “sull’antisemitismo”, tra le altre cosette, contiene anche questa prelibatezza censoria, costruita ad hoc, una vera “legge ad paesem”, applicabile solo e soltanto allo Stato di Israele. Si sa che l’accezione di “antisemitismo” su cui poggia il ddl è quella di Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance), benedetta da Israele e accolta come base da qualche istituzione, e che quella definizione punta essenzialmente a una cosa: far coincidere ogni critica allo Stato di Israele, alle sue azioni, alla sua politica di sterminio e pulizia etnica, con un sentimento antisemita. Molti studiosi e storici, anche ebrei, contestano quella definizione, dicendo che può essere strumentalmente usata per limitare la libertà di opinione e di critica, e la cosa è evidente, dato che si accetta la storica politica dello Stato israeliano, e di molti fiancheggiatori, di coprire vergognosamente le proprie disumane malefatte con l’ombrello dell’Olocausto. Un vecchio trucco che funziona sempre meno e che non a caso si vuole trasformare in legge.
“Fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei nazisti” è uno dei punti di quella definizione. Cioè: se dite che quel che sta succedendo a Gaza ricorda quel che successe nei campi di sterminio nazisti, o se notate che un campo profughi palestinese somiglia al ghetto di Varsavia, o se certe affermazioni di ministri e politici e cittadini israeliani ricordano i deliri suprematisti dei gerarchi nazisti (come la definizione di “non umani” riferita ai palestinesi), o se pensate che deportazioni, torture, uccisioni deliberate di donne e bambini per mano di Idf ricordino certe imprese agghiaccianti delle SS, potreste incorrere in censura o sanzioni in quanto antisemiti. È una norma che non vale per nessuno Stato, solo per Israele, e colpisce che la definizione fu elaborata dieci anni fa: l’analogia tra Tel Aviv e il Terzo Reich non nasce con Gaza, insomma.
Si sa che i paragoni storici non sono mai in scala uno a uno, che sono più similitudini e suggestioni che ripetizioni meccaniche di fatti e modalità. Eppure le analogie tra le azioni di Idf e quelle delle truppe di occupazione naziste sono innegabili, a partire dalla “scientificità” dell’oppressione del popolo palestinese nei territori occupati e a Gaza, per arrivare a molte modalità operative (i molti medici che riferiscono di bambini uccisi con un colpo singolo alla testa sono solo uno di quei casi, la fame usata come arma è un altro esempio). Vietare di dirlo per legge non è solo un’assurdità, è anche una specie di lasciapassare perché certi crimini contro l’umanità vengano normalizzati, almeno se li commette Israele. In pratica, si tenta di vietare ogni critica allo Stato di Israele, accusato di genocidio e i cui crimini di guerra e contro l’umanità sono abbondantemente provati (anche da evidenze fornite sui social degli stessi carnefici). La storia di Hind Rajab, la bambina (5 anni) assassinata insieme ai membri della sua famiglia e ai soccorritori dai militari israeliani, sarà per sempre un simbolo per il popolo palestinese e per chi vuole giustizia. Hind sarà per sempre una piccola Anna Frank, legge o non legge, perché se non vuoi farti paragonare ai nazisti la prima mossa è non comportarti come i nazisti. Ecco, per Israele è un po’ tardi: già fatto.

Chiarimenti

 

Il gioco Usa è sempre sporco, eppure noi ci roviniamo da soli
DI DANIELA RANIERI
Ma veramente qualcuno credeva che a Trump potessero interessare il Donbass e la Crimea? Che alla Casa Bianca qualcuno potesse credere alla frottola del “c’è un aggressore e un aggredito”, all’Ucraina che “difende anche la democrazia europea difendendo sé stessa”? Qualcuno ancora crede che interessassero a Biden? A malapena i due anziani sapranno dove si trova Kiev sulla cartina. Adesso forse è chiaro anche ai più fanatici tra i bellicisti a oltranza che l’Ucraina, col suo popolo eterogeneo, era solo una pedina dello sporco gioco degli americani in Europa.
Trump, come già altre volte, ha solo esplicitato quello che gli altri presidenti americani, sedicenti democratici, dissimulavano dietro coltri di perbenismo e finta bontà: gli Usa considerano l’Unione europea un mero strumento burocratico per tenere a bada i mercati della provincia occidentale e non farli confliggere con quello imperiale; un simulacro, nato dopo la ricostruzione (saremo sempre in debito per il piano Marshall), per intortare i cittadini europei con la favoletta della pace e dei valori superiori della liberal-democrazia. Con il documento che delinea la Strategia di sicurezza nazionale, Trump ha reso palese l’obiettivo degli Usa: disunire i 27 paesi dell’Unione Europea, che in realtà avrebbero dovuto iniziare a smettere di credere a Babbo Natale già dalla Brexit, a favore di un’ondata sovranista e autarchica che li renda più deboli sul piano economico e militare. L’Ue aveva già rinunciato alla dignità scegliendo di appoggiare lo scellerato progetto della Nato a guida Usa di muovere guerra alla Russia usando l’Ucraina, un Paese oggi distrutto, con 6 milioni di emigrati, una generazione falcidiata sul campo, una classe dirigente decimata dalla corruzione, un presidente delegittimato a cui resta solo di obbedire a ciò che Trump e Putin decideranno per lui. La Disunione Europea, dopo aver acconsentito a dare il 5% del suo (nostro) Prodotto Interno Lordo alla Nato e di ingrassare l’industria delle armi, soprattutto americane, a scapito dello Stato sociale (un’invenzione europea), sta progettando di mandare i figli delle sue patrie al macello, ciò che completerà la sua parabola nella Storia.
Intanto i giornali padronali si sgolano: “Putin minaccia l’Europa”; quando Putin ha detto l’esatto contrario: “Non abbiamo intenzione di andare in guerra con l’Europa. Ma se l’Europa volesse combattere contro di noi, saremmo pronti fin da subito”. Putin ha detto l’ovvio: cari europei, visto che vi state riarmando allo spasimo e state insufflando i vostri popoli di retorica bellicista, anche se essi sono refrattari a fare la guerra a un Paese che non è loro nemico, sappiate che, se proprio volete, ci troverete pronti” (al contrario dell’Italia, come confessò il ministro Crosetto).
Meloni, che ha preso i voti promettendo guerra alle potenze sovranazionali, ubbidisce a Trump perché ciò le consente di fingersi coerente (“siamo sempre stati per la sovranità nazionale, non europea”), in realtà autodenunciandosi quale capo di un governo-colonia. Il ministro della Guerra italiano, già mercante di armi, fa la colomba: non istituiremo proprio una leva volontaria, come in Francia (Macron, distruttore di welfare e pensioni, promette ai “volontari” 800 euro lordi per 10 mesi) e in Germania (dove, se i volontari saranno pochi, si ricorrerà ai proscritti, come fosse in vigore la legge marziale); si tratta di una “riserva selezionata e meccanismi per attirare le persone, incentivi economici”; una cinica mossa che affonda il coltello nella disuguaglianza di classe che domina l’Occidente, giacché si sa che in assenza di un lavoro dignitoso, ed escludendo la carriera ecclesiastica come in epoca feudale, saranno i giovani poveri a dover accettare lo stipendio da militari, e allora, non potendo essere dignitosamente lavoratori “salariati” come sognarono i nostri padri, saranno a tutti gli effetti soldati.

Furbiscemi

 

Furbi di guerra
DI MARCO TRAVAGLIO
Forse, col titolo del libro Scemi di guerra, ho contribuito a diffondere un tragico equivoco: che, cioè, gli sgovernanti europei terrorizzati dalla pace e arrapati dalla guerra permanente con la Russia siano stupidi. Lo sarebbero se il loro scopo fosse fare gli interessi dell’Europa, visto che ogni giorno fanno gl’interessi di tutti – degli Usa, della Russia, di Zelensky e della sua cricca – fuorché quelli dei loro popoli. Ma il loro scopo è fare i loro interessi, che sono opposti ai nostri. Quindi sono furbissimi. Gli scemi sono quelli che continuano a votarli e ad appoggiarli, pensando che il pericolo per l’Europa venga da fuori (dagli Usa, dalla Russia, dalla Cina) e non da dentro, anzi dall’alto.
Se “siamo in guerra” – come ci dicono, aggiungendo l’aggettivo “ibrida” (che si porta su tutto e indora la pillola) – noi paghiamo il riarmo, gli “aiuti” a Kiev, l’energia più cara, la crisi economica e industriale, i salari più bassi, i tagli ai servizi e allo Stato sociale, ma lorsignori ci guadagnano. Governare in stato di guerra, cioè di eccezione, è una pacchia. Netanyahu insegna: finché c’è guerra c’è speranza. In guerra i governi non si discutono, non si contestano, non si processano, non possono cadere. Vale tutto: governi tecnici di larghe intese (Italia), governi di minoranza per non far governare la maggioranza (Francia), elezioni rinviate (Ucraina), voto annullato se vince quello sbagliato, con arresto e messa al bando del favorito (Romania), partiti di opposizione aboliti (Ucraina e Moldova), vittoria negata a chi prende più voti (Georgia), Parlamenti aggirati (Von der Leyen sul riarmo). Le opposizioni devono smettere di opporsi, se no è disfattismo. Chi critica è un agente ibrido dell’Impero del Male: va isolato e imbavagliato con appositi “scudi democratici”, incriminato per intelligenza col nemico, indotto a tacere o a cantare nel coro. I giornalisti devono osservare la censura di guerra e passare solo le veline giuste (“Taci, il nemico ti ascolta”), altrimenti sono accusati di prendere soldi e ordini dal nemico (“omnia sozza sozzis”, per dirla con Massimo Fini) e banditi dai media, dai festival, persino dai teatri privati. In compenso gli sgovernanti e i loro trombettieri possono fare tutto ciò che vogliono: se prendono tangenti o truccano appalti, è colpa dei russi che rubano di più oppure pilotano i magistrati; se perdono consensi, è colpa di Putin e della sua guerra ibrida; se perdono la guerra, tutti dicono che la vincono; se qualcuno gli chiede conto di qualche balla, è un nemico della Patria; se le loro condotte sono contro le leggi o le Costituzioni, non si cambiano le condotte, ma le leggi e le Costituzioni; e se poi la guerra, a furia di inventarsi nemici inesistenti, scoppia davvero, al fronte ci mandano gli altri. Chi sta meglio di loro?

L'Amaca

 

Almeno guardare le figure
di Michele Serra
La Crimea è «circondata dall’oceano sui quattro lati», dice Trump. Forse l’Atlantico, forse il Pacifico, forse il vago luogo della Terra nel quale gli americani incolti collocano, tutta quanta, la non-America, un resto del mondo immeritevole di approfondimento. Insulso e a volte dannoso.
Non che non esistano anche europei incolti, non che alcuni di loro non siano approdati, tra gli applausi, a posizioni di potere: ma insomma, l’aspettativa sarebbe che un capo di governo, nonché del governo più potente del mondo, almeno per fare finta di essere all’altezza del ruolo, prima di parlare di Crimea, o di Ucraina, o di quant’altro, trascorresse una manciata di secondi su Google Maps. Ma no, nemmeno quello. Nemmeno la fatica di verificare, con fatica quasi nulla, che la Crimea è una penisola dell’Ucraina affacciata su Mar Nero e Mar d’Azov.
Lo scrupolo di sapere di che cosa si sta parlando minaccia di diventare antico, obsoleto, come i centrini da tavolo e i bicchieri da cognac. Si parla a vanvera, si parla per parlare, chi se ne frega di quel pur vago interesse per i fatti che si chiamò — prima di Trump — cultura. Che non è erudizione, non è ostentazione di conoscenza, è molto banalmente curiosità del mondo. Chi vuole conoscere, può almeno provarci. Chi se ne frega (per esempio Trump) se ne frega.
Poi dice che sei antiamericano. Ma quella mancanza di pensiero e di rispetto, delle quali Trump è il campione di ogni epoca (John Wayne, al confronto, era Spinoza), quello spensierato provincialismo secondo il quale America è tutto, il resto è niente, come fai a far finta che non siano quello che sono? Come fai a fare finta che sia normale che un uomo che, tra pochi altri, ha nelle mani il futuro dell’umanità, non sappia nemmeno cliccare “Crimea”, e leggere ciò che appare? O almeno guardare le figure?

martedì 9 dicembre 2025

Forza Adrien!

 Problemi per il fortissimo giocatore rossonero che ha ricevuto un invito a comparire per provocato allarme e attentato alla sicurezza pubblica, avendo scagliato il pallone oltre i limiti stabiliti dalla comunità europea. Forza Adrien ti siamo vicini!



Gran primario!

 



L'Intervista fisica

 

Carlo Rovelli: “Chi non vuole armare Kiev è demonizzato: sia benedetto il piano Usa”
DI LORENZO GIARELLI
Riconosce che chi non si allinea sull’Ucraina viene “demonizzato”, ma avvisa: “Gli italiani sono ragionevoli, e la censura aumenta la visibilità degli eventi censurati”. Il fisico teorico Carlo Rovelli è tra i più noti uomini di scienza in Italia. Oggi avrebbe dovuto partecipare in video all’evento “Democrazia in tempo di guerra” organizzato a Torino dallo storico Angelo d’Orsi. I Salesiani hanno però revocato la sala all’ultimo minuto dopo le solite denunce di “propaganda filorussa”. Rovelli ne parla col Fatto mentre assiste ai colloqui dei leader europei con Zelensky: “La convergenza di Trump e Putin è un passo indietro rispetto alla terza guerra mondiale”.
Professor Rovelli, oggi avrebbe dovuto partecipare all’evento a Torino, ma i Salesiani si sono tirati indietro.
Sono grato ai Salesiani. Hanno portato l’attenzione sull’evento, aumentandone la visibilità. Quello che intendevo dire l’ho messo in un video su Facebook.
La preoccupa il clima intorno a temi e voci scomode?
Mi preoccupa la sudditanza della maggior parte dei media alle direttive di una intera classe politica, destra e sinistra, che non va nella direzione che vorrebbero gli italiani.
Però da quasi 4 anni sembra esserci una campagna di demonizzazione di chiunque si discosti dalla linea del sostegno militare a oltranza all’Ucraina.
Sì, non c’è dubbio. Anche quando queste persone sono invitate nelle televisioni, si mette loro intorno un recinto di critiche e risolini.
Da quando ha espresso pubblicamente le sue idee sul riarmo e sul conflitto in Ucraina, ha percepito un cambio di atteggiamento nei suoi confronti?
No, esprimo idee e proposte da sempre, e ho sempre ricevuto assenso e dissenso, come naturale. Partecipo come posso al dibattito civile.
I sondaggi ciclicamente confermano che gli italiani temono un’escalation e vorrebbero un ruolo di pace per l’Italia e l’Europa. Ha l’impressione ci sia ancora una società fermamente ancorata al pacifismo?
Gli italiani non vogliono il riarmo, non vogliono il sostegno alle guerre. Gran parte dell’Italia sinceramente cattolica, per esempio, non lo vuole.
Fa bene l’Ue a respingere il piano di Pace americano per tutelare i propri interessi?
È curioso che si parli di interessi europei, ora. Non eravamo in guerra contro la Russia, dando armi a Kiev, solo per una generosa e disinteressata difesa dei poveri ucraini? Cos’è successo? È cascato l’asino? Adesso quello che conta sono diventati i nostri interessi. I giovani ucraini devono morire per i nostri interessi.
Il tema dei territori è centrale: l’Ue teme che concedere troppo alla Russia adesso possa avere conseguenze nefaste per il futuro della nostra sicurezza.
Chi sarebbe l’Europa per “concedere”? Sono forse suoi, quei territori? Prima dell’invasione Russa, in quei territori c’erano abitanti in guerra civile, con migliaia di morti, perché lì molti volevano indipendenza da Kiev. La Russia mandava armi, come ora noi a Kiev. Facciamo, come la Russia, i nostri sporchi giochi di potere sulla pelle degli ucraini. Che il confine sia dieci chilometri più a destra o più a sinistra non ha alcuna importanza. Il margine fra l’influenza Nato e Russa si è spostato a Est di migliaia di chilometri. Per arrivare fin là, gli occidentali hanno organizzato un colpo di stato a Kiev. Non è certo una tragedia per l’Europa se la Russia ha impedisce qualche chilometro di questa avanzata.
Dunque ci sono colpe europee per come sono andate le cose?
Tutti giocano sporco. Era meglio quando con la Russia costruivamo una pacifica convivenza, come voleva Angela Merkel. Ad alterare l’equilibrio non sono stati i russi, ma gli occidentali, accecati dalla hubris di essere i totali signori del mondo, quelli che ora discutono se “concedere” territori altrui.
La spaventa la convergenza tra Putin e Trump sul piano americano?
Spaventarmi? Che sia benedetta dal Signore! È un passo indietro rispetto alla Terza guerra mondiale.
Crede che gli scandali ucraini incidano sui negoziati?
Non ne ho idea. Spero di sì.
Su di lei che effetto hanno fatto le notizie sugli scandali?
Nessuno. Basta guardare le vecchie statistiche delle organizzazioni internazionali, per sapere che l’Ucraina è fra i paesi più corrotti del mondo. Qualcuno pensava che fosse guarita perché l’hanno invasa i russi?
Il ministro Crosetto ha ammesso che l’Ucraina combatte per “guadagnare tempo”. Crede possa funzionare la tattica di prolungare il conflitto, confidando che la Russia debba trattare da una posizione peggiore di quella attuale?
Stanno morendo come mosche giovani ucraini e giovani russi, perché qualcuno fa tattiche o “guadagna tempo”.
Presto l’Italia dovrà decidere se mandare armi a Kiev anche per il 2026. La Lega minaccia di sfilarsi. L’Italia potrebbe dare un segnale diverso, rispetto al passato?
La nostra presidente del Consiglio potrebbe per una volta seguire gli Stati Uniti, ora che vanno nella direzione giusta, invece di farlo quando vanno nella direzione sbagliata.
Non ci sono dubbi invece sul riarmo italiano ed europeo. Necessario?
L’obiettivo dichiarato è il 5% del Pil. Ho i dati del 2022. Gli unici paesi nel mondo che spendono il 5% del PIL per spese militari sono Ucraina (in guerra), Arabia Saudita (in guerra), Qatar, Togo e Oman. La Russia spende il 4%, gli Stati Uniti il 3,45%, la Cina l’1,6%. Perché mai dovremmo spendere più di tutti i 200 paesi del pianeta? Più di tre volte la Cina, che accusiamo di destabilizzare il mondo perché si arma.

Ottusi

 

L’unica strategia Ue sono le armi e non esiste altro
DI GIANFRANCO VIESTI
In Italia si discute pochissimo della proposta di luglio della Commissione Ue per il bilancio del 2028-2034, su cui ora si tratta a Bruxelles. Una grave sottovalutazione. Perché il bilancio è cruciale: definisce le politiche che si faranno a livello europeo, e che hanno notevole influenza anche su quelle nazionali. E perché la proposta della Commissione è assai contestabile, per più motivi.
In primo luogo, la dimensione effettiva del bilancio rimane inalterata, minima (1% del Pil europeo) rispetto ai problemi da affrontare. I Paesi preferiscono usare ciascuno le proprie risorse, e non incrementare i contributi per azioni comuni. Non si propone alcuna forma di nuovo indebitamento europeo, come era stato fatto a seguito del Covid con il Next Generation Eu. Non si propone alcuna rilevante nuova “risorsa propria” (finanziamento diretto) dell’Unione, neanche collegata alle necessità di promuovere la transizione ecologica.
In secondo luogo, la frenesia bellicista che pervade le classi dirigenti europee e l’assurdo impegno preso in sede Nato di crescita esponenziale delle spese militari, si traducono in diffuse indicazioni di favore per queste ultime, all’interno delle grandi voci di bilancio. Sia all’interno delle politiche “di competitività” sia per quelle di coesione vi è una spinta a utilizzare le risorse europee per la difesa: cioè, a non utilizzarle per le fondamentali esigenze di rilancio tecnologico e di sostegno a tutti i territori. Solo con il tempo si potrà capire davvero quanto sarà destinato agli armamenti: ma sarà troppo tardi per intervenire.
Ancora, grandi risorse sono destinate all’Ucraina e ai futuri allargamenti. Tema assai spinoso. Dare per scontato un rilevante ampliamento a Est dell’Unione trascura problemi sostanziali: dall’effettiva connotazione democratica di quei Paesi (condizione giustamente imposta dai “criteri di Copenaghen” per l’ingresso nella Ue) al peso che essi eserciterebbero su tutte le spese dell’Unione. Dalle straordinarie difficoltà procedurali e decisionali già evidenti con 27 membri (che crescerebbero ancora, molto), alla questione dei Balcani, in fila da tempo per entrare.
Stesse risorse comunitarie, più spese per la difesa e per gli allargamenti. Chi paga? I tagli si scaricano sugli investimenti per la tenuta sociale e politica dell’Europa. Da un lato sulle politiche agricole; e soprattutto sulla dimensione dello sviluppo rurale. Tema di grande importanza, alla luce delle trasformazioni demografiche e del disagio e del risentimento che si manifestano nelle aree lontane dalle grandi città. E che si esprime sempre più chiaramente con il voto per formazioni di estrema destra. Dall’altro sulle politiche di coesione: la spina dorsale degli interventi comunitari, il principale canale di finanziamento degli investimenti pubblici e delle, pur modeste, politiche industriali; per impedire un ulteriore marginalizzazione delle regioni più deboli e sostenere l’evoluzione di quelle più forti. Anche a scala comunitaria le esigenze dell’“economia di guerra” vengono finanziate tagliando le risorse per la formazione e la ricerca, le infrastrutture economiche e sociali, gli interventi di creazione di nuova occupazione.
Per le politiche di coesione la proposta della Commissione fa però molto di più e molto di peggio. Scardina quell’insieme di indirizzi e di regole comuni a tutta l’Europa che sono maturate dagli anni Ottanta a oggi, dai criteri di allocazione territoriale (di più ai più deboli in Europa) al governo “multilivello” (Ue-Stato-Regioni) di questi programmi, alle priorità condivise. Indirizza i fondi comunitari a un unico contenitore, paese per paese, che ogni esecutivo nazionale potrà utilizzare come meglio crede, scegliendo politiche e territori. Segno dei tempi, potrebbe essere un politico italiano, il vicepresidente Fitto, a smantellare una politica che per 40 anni, pur con tutti i suoi difetti, ha sostenuto il nostro Paese e soprattutto il Sud.
C’è una salvaguardia finanziaria, in riduzione rispetto al passato, per le regioni più deboli, ma non per le altre. Non per il Piemonte, regione indebolita, “scesa di livello” nelle classificazioni comunitarie, che con le vecchie regole avrebbe avuto una riserva significativa; che non c’è più, e che dovrà elemosinare a Roma, sperando in un governo amico. Un “modello Pnrr”, condizionato dal rispetto dell’austerità macroeconomica, con politiche nazionali che difficilmente incontreranno le differenti esigenze territoriali; ridisegnabile nel tempo, con estrema flessibilità per soddisfare le preferenze contingenti della politica, come sta avvenendo per il vero Pnrr, ormai alla sesta, opaca, riprogrammazione sotto il ferreo controllo dell’esecutivo. Insomma, meno Europa (quella buona, del passato), più armi, più sovranismo: è il caso di discuterne.

I scendiletto

 

Chi è causa del suo mal
DI MARCO TRAVAGLIO
O tempora, o mores! Signora mia, ma ha sentito cosa dice di noi bravi europei quel cattivone di Trump? E quel Musk, mamma mia che impressione! Dove andremo a finire! E giù insulti, improperi, anatemi, macumbe, bandierine europee sui social e nuove marcette col Manifesto di Ventotene usato come ventaglio. Ecco: se le classi dirigenti e intellettuali europee pensano di affrontare la sfida lanciata dagli Usa non sabato, ma 30 anni fa, con la strategia della lagna, consolandosi con le scomuniche all’amico che finalmente si scopre nemico per evitare l’autocritica, hanno già perso. Se invece vogliono ottenere qualche risultato, cioè fare eccezionalmente gli interessi dei cittadini europei, dovrebbero partire dalla brutale realtà: i danni che gli Usa potranno farci in futuro non sono niente al confronto di quelli che ci hanno già fatto col nostro consenso. Il paradosso è che il presidente Usa ci cazzia per aver sempre obbedito agli Usa. Bisognerebbe prenderlo in parola e piantarla, anziché seguitare a farlo con lui.
Gli diciamo no quando dovremmo dirgli sì perché ci conviene: sul piano di pace per l’Ucraina, continuando a finanziare e ad armare un regime terrorista che ci ha fatto saltare i gasdotti Nord Stream con la complicità di Usa e Polonia e fa di tutto per trascinarci nella terza guerra mondiale. E gli diciamo sì quando dovremmo dirgli no perché non ci conviene: abbiamo sostituto il gas russo col Gnl americano che costa il quintuplo; abbiamo subìto i dazi Usa al 15% anziché rivolgerci a mercati in espansione che non vedono l’ora di fare affari con noi, tipo Cina, India e gli altri Brics; promettiamo il 5% del Pil alla Nato e compriamo armi Usa per regalarle a Kiev e aiutarla a perdere altri uomini e territori, distruggendo la nostra economia; e – contro lo stesso volere degli Usa – mettiamo a repentaglio l’euro con piani illegali di rapina degli asset russi, che dovremo poi restituire e pagare pure i danni. Nel nuovo (si fa per dire) mondo dominato dalla legge del più forte, la regola di ogni negoziato dovrebbe essere quella di Pertini: “A brigante, brigante e mezzo”. Trump ci bullizza? Noi dovremmo essere altrettanto bulli: riprendere a comprare gas russo, aprirci ai mercati Brics, disdettare l’accordo sul 5% di Pil alla Nato, lavorare a un vero esercito europeo (che costerebbe meno delle già eccessive spese militari attuali: altro che riarmo) e chiudere tutte le basi Usa in Italia e nel resto d’Europa. Il vecchio Carlo Donat-Cattin, diccì anomalo, diceva: “Prima di trattare con Agnelli bisogna dargli un calcio nei coglioni”. I nostri sgovernanti, prima di trattare con Trump, i coglioni se li martellano da soli e poi, giunti a debita distanza, corrono a dare la colpa a lui.

L'Amaca

 

È anche la mia bandiera
di Michele Serra
Questa è la bandiera dell’unione delle nazioni più libere, pacifiche e democratiche del mondo. È anche la mia bandiera». Sono le parole con le quali il vecchio europeista Jacques Attali ha rilanciato, su X, una campagna di orgoglio europeo che sta raccogliendo decine di migliaia di adesioni, in risposta al disgustoso post di Elon Musk che ha accostato la bandiera blu-stellata a quella del Terzo Reich (proprio lui: che finanzia i nazisti). Gli fa eco Daniel Cohn-Bendit: «Il patto Trump-Putin è come il patto Molotov-Ribbentrop, l’Europa deve reagire federandosi».
Sembra di tornare allo spirito della «manifestazione blu» del 15 marzo a Roma, identica è l’opposizione ai due boss dell’Est e dell’Ovest, identico il richiamo ai valori costitutivi dell’Unione. Ma allora come oggi è uno spirito al tempo stesso di speranza e di disillusione (uno spirito-ossimoro, dunque). Perché gli europei esistono, ma la politica è incapace di dare forma al loro richiamo all’unità. Mi chiedo quanti esponenti politici di rilievo sapranno schierarsi, con la stessa autorevolezza e nettezza di Attali e Cohn-Bendit, contro la volgarità sprezzante che i due gemelli diversi, Trump e Putin, dimostrano nei confronti dell’Europa e della democrazia (concetti, in questo momento storico, quasi del tutto coincidenti).
In tutti questi mesi nulla è cambiato, se non in peggio. Da un lato impotenza e timidezza dei leader nazionali che avrebbero il compito – quelli che ci credono – di accelerare il processo unitario; dall’altro l’opposizione anti-europea interna all’Europa. Ovvia quella dei sovranisti (compresa Meloni, trumpiana per Dna). Triste e autolesionista quella “di sinistra”, una specie di Fronte del Senso di Colpa che in ogni atto di orgoglio europeista vede l’ombra del colonialismo e – i più faziosi – del suprematismo bianco. Ad altri, più banalmente, della democrazia non importa nulla.

Calendario dell'Avvento

 



Perseverate!


 


lunedì 8 dicembre 2025

Commosso!

 



Sempre loro!

 

La quarta pista di Fiumicino e il favore dei Benetton a Mps
DI GIANNI DRAGONI
La scalata del Monte dei Paschi di Siena a Mediobanca si intreccia con le manovre dei Benetton per l’ampliamento dell’aeroporto di Fiumicino. Dietro l’appoggio della famiglia veneta alla scalata sostenuta dal governo di Giorgia Meloni c’è la volontà di superare gli ostacoli che bloccano il piano di espansione dello scalo. Il progetto è imperniato sulla costruzione della quarta pista, che si mangerebbe una grossa fetta della “Riserva naturale statale del litorale romano”, protetta per legge.
Il maxi-piano di raddoppio dello scalo è stato bocciato il 25 ottobre 2019 dalla commissione tecnica Via-Vas e quindi dai ministeri dell’Ambiente e Beni culturali. La famiglia di Treviso ha presentato un nuovo progetto, solo la quarta pista, che però continua a cozzare contro il problema della Riserva.
I Benetton mettono sul piatto 9 miliardi di euro di investimenti, una somma che fa gola. Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, è allineato con gli ex azionisti di controllo di Autostrade che, attraverso Mundys, possiedono il 99,39% di Aeroporti di Roma, la società di gestione che è dietro il gigantesco affare di Fiumicino. “Basta con l’Italia dei no. No alla nuova pista a Fiumicino, no all’area cargo a Malpensa, no al ponte sullo Stretto, no alla Tav, no al Mose, no al Brennero. E’ sempre no”, ha detto Salvini il 3 dicembre.
AdR sostiene che l’ampliamento è necessario per il previsto raddoppio dei passeggeri dai circa 50 milioni di quest’anno a 100 milioni entro il 2050. Dopo la bocciatura del maxi-piano che prevedeva il raddoppio dello scalo verso Nord, sui terreni di Maccarese, di proprietà dei Benetton, il 20 gennaio 2021 AdR ha presentato all’Enac un nuovo piano per Fiumicino.
“Lo sviluppo a Nord previsto dal precedente Masterplan avrebbe comportato un consumo di circa 1.300 ettari di suolo aggiuntivo, in buona parte nella Riserva naturale. Il nuovo progetto, invece, implica un ampliamento del sedime di 260 ettari, di cui 151 nella Riserva”, ha spiegato l’ad di AdR, Marco Troncone, alla commissione Trasporti della Regione Lazio l’11 febbraio 2021. La pista 1, la più vicina all’abitato, di 3,9 km, verrebbe tagliata di 900 metri. “La popolazione potrà beneficiare anche della restituzione di 85 ettari del sedime che potranno tornare alla Riserva”, ha detto Troncone.
Il piano dei Benetton era stato accolto con freddezza da FdI. Giovanbattista Fazzolari, attuale sottosegretario a Palazzo Chigi, per anni ha fatto la guerra ai piani faraonici dei Benetton. Nel maggio 2018 “Fazzo” ha promosso un ordine del giorno votato dal Senato che impegnava “il governo a potenziare l’aeroporto di Fiumicino entro i confini dell’attuale sedime aeroportuale”. Un atto firmato anche da Ignazio La Russa, Daniela Santanchè e Adolfo Urso.
L’opposizione di Fazzolari ha frenato i piani dei Benetton dopo l’arrivo di Meloni a Palazzo Chigi. Il 13 marzo di quest’anno il capo di gabinetto della presidenza del Consiglio, Gaetano Caputi, ha scritto una lettera ai vertici di AdR nella quale si afferma che “qualsiasi nuova iniziativa progettuale per la realizzazione della quarta pista dell’aeroporto di Fiumicino che risulti in contrasto (…) con i valori tutelati dalla Riserva naturale statale del litorale romano non può, allo stato, costituire oggetto di valutazione da parte del governo”. La lettera però ha lasciato uno spiraglio, in caso di “approvazione di una revisione della perimetrazione della Riserva statale”.
I Benetton hanno così intensificato l’attività di lobbying per modificare i confini della Riserva. In maggio, attraverso l’Enac, AdR ha presentato un’istanza di revisione della “perimetrazione”. Il Comitato FuoriPista, che combatte la cementificazione a Fiumicino e Maccarese, dice che c’è un trucco: “La proposta è di fare un buco nella Riserva per costruire la quarta pista, prendendo 157 ettari di territorio in cui non si può costruire nulla o quasi e dare in compensazione 80 ettari del sedime aeroportuale, cioè scarti spezzettati, per fare parchi e piste ciclabili”.
Ormai i Benetton avevano capito di avere una carta vincente in un’altra partita, la scalata di Mps a Mediobanca. La famiglia – azionista con il 2% della banca milanese – ha abbandonato il management Mediobanca ed è saltata sul carro degli scalatori. Nell’assemblea di Mediobanca del 21 agosto si sono astenuti sulla proposta anti-scalata di lanciare un’Ops su Banca Generali: l’astensione equivale a un voto contrario e il piano è stato respinto. Edizione, la holding dei Benetton, ha quindi consegnato il proprio 2% di azioni Mediobanca a Mps, contribuendo al successo dell’Opas cara a Giorgia Meloni.
Il piano dei Benetton ha il sostegno del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca (FdI), del sindaco di Fiumicino di centro-destra Mario Baccini (e del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, Pd). “La quarta pista è inutile. L’aeroporto non è saturo per movimenti aerei, cioè atterraggi e decolli”, ribatte il Comitato FuoriPista. “Le previsioni di traffico di AdR sono sovradimensionate del 25 per cento. La crescita del 13% dei passeggeri negli ultimi 5 anni è la conseguenza del maggior riempimento degli aerei, mentre il numero dei movimenti aerei nel 2024 (315.597) è rimasto invariato rispetto al 2006 (315.539), quando i passeggeri furono poco più di 30 milioni”. AdR rileva che questi dati sono dovuti all’impiego di aerei più grandi, ma insiste che “questo non ha risolto il problema della saturazione della capacità complessiva di pista”, dice al Fatto Ivan Bassato, chief aviation officer di AdR. “Il sistema piste di volo, con due piste tra loro interferenti, raggiunge infatti la saturazione in diverse fasce orarie della giornata”. Conclusione: “Per sviluppare un hub come Fiumicino, è fondamentale aumentare la capacità durante le ore di punta”.
La premier Meloni, che il 16 luglio 2019 sul Secolo d’Italia diceva che “i contratti su Autostrade e sugli Aeroporti di Roma vanno rivisti in ogni caso” dopo “anni di facili profitti miliardari” per i Benetton, tace. E Fazzolari? Rispondono dal Comitato FuoriPista: “Fazzolari era contrario fino a un mese fa. Poi c’è stato Monte dei Paschi-Mediobanca…”.

Imitate!

 



Calendario dell'Avvento

 



domenica 7 dicembre 2025

E quindi?

 



Salesianamente

 


E dove se no?

 


Calendario dell'Avvento

 



Cascano dal pero

 

Sai che novità
DI MARCO TRAVAGLIO
La notizia che Trump se ne frega dell’Europa e bada a cose più serie ha seminato stupore e costernazione fra gli sgovernanti Ue, che sono un po’ come i cornuti: sempre gli ultimi a sapere le cose (il Corriere parla di “attacco choc”, la Stampa di “strappo” e Rep dice che “Trump scarica l’Europa”). Intanto trovano strano che un presidente americano faccia gli interessi degli americani anziché quelli degli europei. E vanno capiti, visto che gli sgovernanti europei fanno gli interessi degli americani anziché quelli degli europei senza trovarlo strano. Sono anche convinti che, fino al ritorno di Trump, gli Usa amassero l’Ue alla follia: non si sono accorti che i nostri interessi sono opposti a quelli degli Usa da almeno 30 anni. Infatti i danni peggiori ce li hanno fatti i Clinton (lui e lei), Bush. jr., Obama e Biden. Terrorizzati dal dialogo post-Muro tra Ue e Russia e dalla superpotenza euroasiatica nascente dall’unione fra industria europea e gas russo a basso costo, gli Usa hanno fomentato le tensioni con Mosca fino al golpe bianco ucraino, alla guerra civile e all’invasione russa per spezzare quel vincolo. Nel 2013 Victoria Nuland, inviata a Kiev per finanziare e pilotare il golpetto, sintetizzò la dottrina europeista Obama-Biden con l’icastica formula “Fuck the Eu!” (la Ue si fotta).
Intanto i buoni dem Usa minacciavano la Germania perché partecipava al monumento della cooperazione euro-russa: i gasdotti Nord Stream, fatti saltare nel 2022 da terroristi ucraini con complicità americane e polacche. Altro che droni o palloni aerostatici da attribuire alla guerra ibrida russa: quelli servono a tenerci con naso all’insù per farci dimenticare il più grave attacco ibrido all’Europa dal 1945. E tutti gli altri graziosi regalini degli “amici” yankee: le bombe sulla Serbia che hanno destabilizzato i Balcani, le invasioni di Afghanistan e Iraq che ci hanno infestati di terroristi islamici, i raid in Siria e in Libia che ci hanno inondati di migranti. Tutte guerre perse dagli Usa, ma pagate da noi europei, inclusi quelli così beoti da avervi pure partecipato. Nel 2016, intervistato da The Atlantic, Obama parlava degli europei come oggi Trump: “Dovete pagare la vostra quota”, “mi irritano questi free riders” (portoghesi, scrocconi). Ma si guardò bene, come ora Trump, dal ritirare le basi militari, i soldati e le testate nucleari Usa dai Paesi Nato. L’Europa agli Usa interessa eccome, e non per difenderla (non abbiamo nemici, anche se ce ne inventiamo uno all’anno): per presidiare il Mediterraneo e il Baltico e per controllarci. Solo che ci danno per scontati, ben sapendo che obbediremo sempre prim’ancora di ricevere gli ordini: come sui dazi al 15% e sul 5% di Pil alla Nato. Perché perdere tempo a discutere con la servitù?

L'Amaca

 

La volpe è nel pollaio
di Michele Serra
La scalata di Netflix a Warner Bros, non ancora ratificata, sembra fatta apposta per farci capire se nel capitalismo del terzo millennio l’antitrust e la lotta ai monopoli sia ancora un fattore attivo oppure solo un cascame novecentesco. Ovvero se il capitalismo sia ancora disposto ad ammettere regole o non ne conosca al di fuori della legge del più forte che fagocita il più debole.
Vedremo come si pronunceranno in proposito gli enti regolatori degli Stati Uniti – ammesso che Trump non ficchi pure loro, a male parole, nel novero degli enti inutili che si impicciano di cose che non li riguardano. Nell’attesa, fa una certa impressione ricordare che, nei dintorni della caduta del Muro e del disastro dell’economia pianificata di Stato, legioni di ottimisti pronosticarono che il trionfo mondiale del liberismo (allora in piena sintonia con la globalizzazione) avrebbe prodotto, a pioggia, un contagio virtuoso, e un moltiplicarsi febbrile dello spirito imprenditoriale. Fu la stagione (breve) degli yuppies, degli impiegatini che si atteggiavano a manager, in uno sforzo simulatorio di “capitalismo popolare” che si rivelò ben presto, anche prima della grande crisi del 2008, molto differente da quanto promesso, o ingenuamente immaginato.
Il rattrappirsi del ceto medio, la crescita vertiginosa degli oligopoli della tecnologia e della distribuzione commerciale, sono invece lo sbocco visibile e tangibile del neoliberismo: e non assomigliano alle premesse dei suoi propagandisti di allora. L’idea di un possibile quasi-monopolio anche nella produzione dell’immaginario sorprende, dunque, quanto scoprire che la volpe è entrata nel pollaio. Ci era già entrata da un bel pezzo.

sabato 6 dicembre 2025

L'Amaca

 

Sopra la nazione niente
di Michele Serra
Nel documento dell’amministrazione Trump denominato “Strategia nazionale”, in realtà un vero e proprio rapporto sullo stato del mondo, l’Unione Europea viene tirata in ballo, oltre che per decretarne la rottamazione, come «uno degli organismi transnazionali che minano la libertà e la sovranità politica». Di conseguenza si annovera, tra le piaghe del vecchio continente, la «perdita delle identità nazionali».
Nel caso non si fosse ancora capito, per Trump (esattamente come per Putin) non sono i singoli Stati europei, è l’Unione il nemico da combattere. Nella visione sovranista tutto ciò che sottomette il concetto di Nazione a vincoli più ampi è opera del Maligno. Il solo modo legittimo di trascendere i propri confini è allargarli invadendo altre Nazioni, o rovesciare, in altre parti del mondo, i governi sgraditi.
Ma sopra la Nazione, concettualmente, nessuna entità, nessun ordine, nessuna legge può darsi. Non deve esiste arbitro, nel match tra le Nazioni, non l’Onu, non il Tribunale dell’Aia, non l’appellarsi a diritti universali che puzzano di cosmopolitismo (mondialismo, dicono i fascisti). L’identità nazionale è racchiusa nel triangolo Dio Patria Famiglia, e peggio per chi non ci si ritrova. E la guerra — che altro? — rimane la sola forma percepibile di regolamento dei conti.
A questo punto è interessante chiedersi se e quando la Chiesa di Roma, rimasta forse la sola istituzione sovranazionale del Pianeta funzionante e influente, entrerà in conflitto con la nuova egemonia sovranista. Chissà se il Papa americano si fa domande e si dà risposte, su questo passaggio così antievangelico della storia umana: nel quale non è più l’umanità intera, la fonte e l’oggetto del diritto. Sono le Nazioni più forti e più ricche. Il resto non esiste, e se esiste va cancellato.

Osservatorio psichiatrico

 

Missili con vaselina
DI MARCO TRAVAGLIO
Dopo i guerrafondai che si fan chiamare “volenterosi” e preparano le “truppe di rassicurazione” per l’Ucraina, dopo il riarmo da 800 miliardi che da Rearm Eu diventa Readiness 2030 (prontezza tra 5 anni: un ossimoro) e poi Preserving Peace (preservare la pace: altra barzelletta), dopo il monito di Cavo Dragon Ball a essere “proattivi” (cioè ad attaccare la Russia per primi, sempre per la pace), il bellicismo alla vaselina per fregare la gente fa un altro salto di qualità con Crosetto. Che si inventa una paradossale “leva volontaria”. Per il dizionario Treccani, la leva è “il servizio militare prestato all’età stabilita dalla legge dove esso sia obbligatorio”. Ergo la leva o è obbligatoria o non è leva, ma esercito professionale, come il nostro dal 2005. Il sospetto è che queste furbate linguistiche servano a prepararci per gradi alla vera leva, quella obbligatoria: ma non quella dei Padri costituenti (Calamandrei esaltava l’“esercito di popolo”, cioè democratico, unito al “ripudio” della guerra), bensì quella della guerra mondiale che mezza Ue fomenta per giustificare i dobloni buttati nel riarmo.
Giovedì a Otto e mezzo Vaselina Bernabè, con l’aria volpina e suadente del piazzista che offre alla massaia due fustini al posto del Dash, spiegava che “parlare di guerra è eccessivo”: il riarmo è solo per la “guerra ibrida”. Niente armi o soldati al fronte: roba pulita, asettica, senza schizzi di sangue, “una difesa molto sofisticata contro attacchi politici, cibernetici, satellitari” (tipo – l’ha detto davvero – “quando gli inglesi votarono la Brexit sotto influenza della Russia”). Strano. Crosetto vuole “una parte kombat sempre più ampia”. L’Ue compra carrettate di missili, droni, bombe, munizioni, cannoni, carri armati, caccia e pure “armi controverse” (ah, bricconcelle!): cioè ordigni nucleari, uranio impoverito, laser accecanti, fosforo bianco, robot killer. E manda alle stelle i titoli dell’industria militare pesante, purtroppo calati quando è uscito il piano di pace di Trump. Il Sole 24 Ore schiera la bellezza di 21 pareri di generali e manager di aziende militari in orgasmo per il Piano Crosetto, con titoli perentori e imperativi per tutti: “Ora i conflitti sono simultanei”, “Serve approccio integrato”, “Siamo flessibili e completi”, “Deterrenza solida da coesione”, “La parola d’ordine velocità” (Cingolani), “Nuove minacce da affrontare”, “Armi cyber diffuse in guerra oggi”, “Fase di crescita per le imprese”, “Forte accelerazione da simulazione” fino all’immortale “Fari puntati sul mare profondo”. Mancano solo “Vincere e vinceremo”, “Marciare non marcire”, “Molti nemici molto onore”, “Credere obbedire combattere”. Ecco, devono avere tutti equivocato: mica prepariamo la guerra, solo computer e satelliti. Ma ora ci parla Bernabè.