martedì 30 settembre 2025

Ottima risposta!

 


L’Amaca

 Sulla stessa barca

di Michele Serra

I toni, i modi, i contenuti politici e umani, insomma le parole con le quali Carlo Moroni, romano, 70 anni, ha spiegato la sua scelta di scendere da Flotilla, sono esemplari. Prima di tutto per il rispetto e la fraternità che esprime per chi è rimasto a bordo, facendo una scelta contraria alla sua.

Si tratta di una scelta difficilissima, nell’uno e nell’altro caso. In un contesto drammatico e rischioso: non teorico, maledettamente concreto, così come Flotilla ha deciso debba essere la pratica politica, esposta anche personalmente, fisicamente, ai venti terribili della Storia. Secondo i canoni triti, e anche tristi, della sinistra non solo italiana, chi arretra è un traditore, chi passa il limite un pazzo estremista. Leggete l’intervista a Moroni, e finalmente troverete la misura (la giusta misura) che abbandona questa vecchia e lacerante contrapposizione.

Moroni si sente compagno di ogni altro navigante di Flotilla, ma è per la trattativa. Era disposto “a portare la barca fino al 51esimo miglio dalle coste di Gaza, non a entrare nelle acque che Israele considera sue. Mi sembra un rischio eccessivo”. Chissà se sui social qualche esaltato (nella comodità della sua cameretta) gli dà del disertore, ignorando la fatica, l’azzardo, il coraggio fino a qui messi in campo da Moroni. E chissà se l’opposto moralismo “riformista” oserà contrapporre al coraggio di chi fa rotta per Gaza l’accusa di stupido oltranzismo. Chissà, infine, se qualcuno comincerà a capire che quelli che sono scesi, e quelli che proseguono il viaggio, sono sulla stessa barca.

Onore al Capo!

 



Natangelo

 



A lezione da Elena

 

L’Europa dei vari Sikorski va in cerca di escalation
DI ELENA BASILE
Si sa che i cittadini sono manipolabili emotivamente da élite senza scrupolo. Votano sulla base di impulsi irrazionali, convinzioni radicate nel loro Dna e sembrano insensibili alle motivazioni razionali. Nelle oligarchie illiberali occidentali, l’asservimento dello spazio mediatico e della politica agli apparati di potere permette la strumentalizzazione degli elettori che continuano a votare per la stessa classe dominante, la maggioranza Ursula, che li sta defraudando dei lori diritti alla pace e alla sicurezza, allo Stato sociale, alla loro stessa umanità. Ritorniamo in solitudine alle argomentazioni razionali che restano la nostra unica arma.
Radoslaw Sikorski, il ministro degli Esteri polacco, al vertice di Bucarest del 2008 aggredì pubblicamente, col mascherato compiacimento di Condoleezza Rice, il ministro tedesco Steinmeier che aveva osato argomentare, appoggiato dal resto dell’Europa continentale e mediterranea, in primis da Francia e Italia, che l’adesione di Georgia e Ucraina alla Nato era una strategia comprensibilmente inaccettabile per Mosca, date le legittime preoccupazioni di sicurezza russe. Di tempo ne è trascorso. L’Europa è divenuta polacca. Sikorski è oggi nuovamente il ministro degli Esteri polacco (a conferma delle dinastie del potere nelle oligarchie) e alle Nazioni Unite ha minacciato pubblicamente la Russia, affermando che ogni sconfinamento volontario o involontario degli aerei russi negli spazi aerei polacchi avrebbe meritato l’abbattimento, nel quadro di una strategia condivisa della Nato. Se ci trovassimo di fronte a una persona morale, il politico che ha osservato il massacro dei giovani ucraini provocato dalla temeraria politica da lui sostenuta sarebbe assalito dai sensi di colpa. Il falco invece in un comizio all’Onu alza il livello dell’escalation. La strategia è chiara. Provocare l’incidente e forzare gli Stati Uniti a una guerra diretta con la Nato. La tesi che la Russia, bisognosa di avere Trump come interlocutore e freno nella Nato, voglia invece testare la pazienza degli occidentali, con interferenze sul Gps di Ursula, lanciando droni non armati e privi di effetto oppure sconfinando nei cieli estoni e polacchi, è consona a uno script demenziale di Hollywood ed è accettata supinamente dalla politica, dai media, dalla intellighentia europea. Trump, di ritorno dalla farsesca visita ai reali britannici durante la quale nel suo discorso di fronte al re Carlo ha toccato vette di grottesca comicità, avrà ottenuto qualche comunicazione dell’infallibile intelligence e con un tweet e dal podio dell’Onu, ha pagato pegno ai guerrafondai, affermando che l’Ucraina può vincere e colpire in profondità la Russia, con l’ennesima giravolta politica, degna del suo predecessore. Di fatto non vi sono grandi novità nell’impegno statunitense in termini di forniture di armi e di fondi. Credo che gli europei per forzare la mano a Trump siano disposti al casus belli, ad abbattere un jet russo. Stiamo entrando in uno scontro con una potenza nucleare senza che l’opinione pubblica europea, principale vittima della strategia suicida, nella grande maggioranza sia consapevole e reagisca.
La società civile mondiale si mobilita fortunatamente per il genocidio in diretta a Gaza. La politica europea, pur non facendo nulla di serio (arresto immediato delle forniture economiche e di armi, sanzioni durissime) cavalca il dissenso con trovate tragicomiche quali il riconoscimento dello Stato della Palestina, priva ormai di terra e tra poco anche della popolazione. Basta osservarli. Guardate i filmati degli incontri a New York di leader come Macron e Erdogan e capite in che mani siamo. Del resto i Clinton e gli Obama fanno persino di meno degli Starmer e dei Macron a riprova che il Partito Democratico come quello Repubblicano è sotto il diktat della lobby di Israele. L’opposizione, in Italia come in Europa, ha una carta importante. Il governo Meloni è in buona compagnia in Europa. Hanno cancellato il diritto internazionale e costituzionale. Il riconoscimento del genocidio non spetta a questi luminari del diritto – Meloni, Tajani o Rutte o Starmer. Spetta ai tribunali dell’Onu. La Cig e la Commissione del Consiglio Onu per i diritti umani si sono pronunciati. Come ricordava Domenico Gallo, il genocidio è una parola densa di contenuto politico e giuridico con conseguenze oggettive. L’isolamento di Israele è la condizione per far cessare il massacro degli innocenti a Gaza. Una mobilitazione popolare che trovi corrispondenza nell’ostruzionismo parlamentare può ancora fermare i carnefici.
I piani presentati per Gaza, persino da Trump, ambigui e conflittuali sul destino dei palestinesi, sono l’ennesima ammuina oppure saranno imposti da Washington al criminale di guerra accolto all’Onu mentre l’Anp si è vista rifiutare i visti? Il dubbio è lecito.

Ma che bell'alleato!

 

Che bell’alleato
DI MARCO TRAVAGLIO
Il bombardamento quotidiano dei media di destra alla Flotilla è un buon segno: denota il nervosismo di Meloni&C., disperati per un’opinione pubblica sempre più vasta e trasversale indignata per il loro asservimento al criminale Netanyahu. E, quando si è disperati, si dicono cose insensate.
Meloni: “Non c’è bisogno di infilarsi in un teatro di guerra e rischiare l’incolumità per consegnare aiuti a Gaza che il governo italiano avrebbe potuto consegnare in poche ore”. Ma se può consegnare aiuti in poche ore, perché non lo fa da due anni per sfamare i palestinesi anziché lasciarne morire ogni giorno qualcuno di fame? Se i governi Ue non vogliono farlo, sono criminali. Se vogliono farlo, ma Netanyahu glielo impedisce, è criminale Netanyahu e sono vili gli europei che non provano a forzare il blocco, anzi continuano a fare affari con Israele e a fornirgli armi. Ma che c’entra in tutto ciò la Flotilla?
Crosetto: “Rischi drammatici se la Flotilla forza il blocco”. Tajani: “Non possiamo fare nulla per scortare la Flotilla”. Meloni: “Se forzano il blocco navale di Israele, cosa dovremmo? Mandare la Marina militare e dichiarare guerra a Israele?”. Il blocco navale fu deciso nel 2009 per bloccare le armi ad Hamas, che governava la Striscia dopo aver vinto le elezioni dopo il ritiro di Israele. Quindi le acque di Gaza non sono di Israele, ma dei palestinesi e il blocco navale è contro le armi che uccidono persone, non gli aiuti che salvano persone. Se Israele attaccasse barche con bandiera italiana, disarmate e cariche di aiuti, l’Italia dovrebbe rispondere al fuoco abbattendo droni o altri ordigni per difendere ciò che è a tutti gli effetti territorio italiano. E sarebbe Israele a dichiarare guerra all’Italia, non viceversa. L’altro giorno, parlando delle fantomatiche minacce russe all’Europa, la Meloni non ha avuto dubbi: “Se un jet viola lo spazio aereo, va abbattuto”. Perché invece, se un drone israeliano colpisce una nave italiana disarmata, non va abbattuto?
Nel 2012 una petroliera italiana fu incredibilmente scortata a 20 miglia dalla costa indiana da fucilieri della nostra Marina militare, due dei quali uccisero due pescatori scambiandoli per pirati: i due famosi marò che molti politici, fra cui la Meloni, pretesero di sottrarre alla giustizia indiana. Perché la Meloni non li scaricò per non dichiarare guerra all’India? Se i nostri pescherecci sconfinano in acque libiche e vengono sequestrati, la Meloni chiede di mollarli per non dichiarare guerra alla Libia? Si dirà: ma Israele è nostro alleato. Purtroppo è vero. Ma con un alleato si parla: si chiede e si ottiene la garanzia che non sparerà su nostre navi disarmate. Se non la otteniamo, è perché la Meloni si comporta da alleata di Israele. Ma Netanyahu si comporta da nemico dell’Italia.

lunedì 29 settembre 2025

Flash!

 

Dunque se ho capito bene siamo ad una svolta storica guidata da un miliardario palesemente psicolabile, il quale assieme a Tony Blair guiderà il Board of Peace e dice che sono tutti d’accordo: il mondo arabo - che già sembra dire di non essere stato consultato - e tutto il resto del mondo. Il punto essenziale è la restituzione degli ostaggi - e sarebbe ottima cosa - e poi la fine di Hamas la pulizia di tutto il territorio da armi ed infine la ricostruzione… guidata da miliardario e da quella faccia di.. di Blair. 

Tutto a posto ha detto lo Scellerato. Una pace eterna. E mente diceva questo aveva a fianco il pluriassassino sionista che, se fosse vero tutto ciò, verrebbe abbandonato da quei luridi esaltati che lo sostengono, e finirebbe dritto in galera. Naturalmente il popolo palestinese sarebbe un’enclave di senza Stato, non in grado di decidere nulla, controllato da tiranni dediti a loschi affari. 

Insomma mi ha dato l’impressione di essere al bar nel momento in cui entra il pazzo del paese che informa gli astanti di aver appena imprestato cento euro a Di Caprio che in bolletta non poteva fare il pieno all’auto!

La missione dell'Aizzatore

 


Continua nella sua folle opera l'Aizzatore per antonomasia. Freme ed agogna il coinvolgimento di altre nazioni, magari tutta l'Europa, per proseguire nel suo insano obiettivo, la sconfitta della Russia. Follia, follia pura. 

Non si arrende, non si scompone, ad ogni occasione piange ed implora per ottenere armi e missili in grado di esplodere nella terra di una nazione che possiede oltre duemila testate nucleari. 

Fermo restando che è stato attaccato, anche se l'azione fu figlia dell'accerchiamento Nato, l'Aizzatore non demorde, stillando giornalmente palle megagalattiche come quella di ieri, ipotizzando l'attacco di droni al nostro paese. 

Infingardo come pochi, pericolo permanente della pace, l'Aizzatore viene ancora ascoltato dagli innumerevoli psicopatici al potere ovunque. 

Nessuno che gli parli, che lo faccia ragionare. Ammesso che sia possibile. 

Senza parole

 


Finalmente|

 



Ziliani Number One!

 

Agnelli e coccodrilli. Dal fisco ai bilanci: John e Andrea patteggiano tra le lacrime
DI PAOLO ZILIANI
Delle due l’una: o contro la Famiglia Agnelli (Agnelli/Elkann) è in atto una congiura planetaria che si traduce in continue indagini in cui restano invischiati a mo’ di carta moschicida i rampolli di sangue blu e i loro giocattoli di famiglia (leggi la Juventus) in una sorta di persecuzione kafkiana da cui il solo modo di uscire è patteggiare e pagare, oppure i nostri eroi, al secolo Andrea Agnelli figlio di Umberto e John Elkann figlio di Margherita figlia dell’Avvocato Gianni, passano da una malefatta all’altra in modo così grossolano e smaccato da rendere inevitabile l’apertura di procedimenti nei loro confronti arginabili solo andando a Canossa: e cioè, al fine di evitare processi e anni di galera, chiedendo il patteggiamento, cioè l’applicazione della pena su richiesta delle parti.
Non si era ancora spenta l’eco del patteggiamento raggiunto da John Elkann nell’ambito dell’inchiesta sulla sottrazione dell’eredità di famiglia alla madre Margherita, per cui John ha pagato 183 milioni all’Agenzia delle Entrate e ha chiesto, ottenendolo, l’affidamento per un anno ai servizi sociali motivando il tutto con l’urgenza di mettere fine a una vicenda familiare troppo “dolorosa” (“Ma la richiesta di Elkann non comporta, come del resto la definizione con il fisco, alcuna ammissione di responsabilità ”, si è affrettato a comunicare l’avvocato Paolo Siniscalchi), ed ecco che dopo il nipote dell’Avvocato tocca al figlio di Umberto, Andrea, per 12 anni presidente della Juventus, uscire dal procedimento scaturito dall’Inchiesta Prisma della Procura di Torino con un patteggiamento: un anno e 8 mesi con sospensione della pena e una somma ancora da definire per risarcire le parti civili costituitesi tra cui Consob e piccoli azionisti. Inutile dire che anche quella di Agnelli è stata, è lui stesso a dircelo, una decisione “molto sofferta”, presa per sottrarsi a un “limbo destinato a trascinarsi ancora per moltissimo tempo” dopo i quattro anni già trascorsi di cui Andrea si rammarica dimenticando che due sono andati persi per i ricorsi da lui stesso presentati al fine di ottenere lo spostamento della competenza territoriale da Torino a Roma. Nel comunicato a sua firma Agnelli spiega che il patteggiamento avviene “senza riconoscimento di responsabilità , quindi coerente con la mia posizione di innocenza”, ricorda al mondo non si sa bene perchè di essere un benefattore (dal 2017 è presidente di una fondazione piemontese per l’Oncologia) e dimentica le carte processuali secondo le quali i dirigenti della Juventus “diffondevano notizie false circa la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni ordinarie in Borsa”; e redigevano bilanci che descrivevano “una minor perdita di esercizio pari a 89 milioni anziché 236 e un patrimonio netto pari a 239 milioni anzichè pari a 47”, il tutto in combutta col revisore Ernst & Young che “ometteva di esercitare un effettivo controllo contabile esprimendo un giudizio positivo e privo di rilievi”.​ Per la cronaca, dalla giustizia sportiva italiana Andrea Agnelli ha ricevuto tre maxi condanne:12 mesi più 20 mila euro di ammenda nel 2017 per i rapporti con gli ultrà malavitosi; 24 mesi nel 2023 per le plusvalenze fittizie che costarono alla Juventus la squalifica per un anno dalle Coppe; e 16 mesi più 60 mila euro di ammenda, poi ridotti a 10 mesi e 40 mila euro, nel 2024 per le manovre stipendi.
Benefattore insomma, ma non certo del calcio. Che per anni e anni ha falsato. Se può interessare, a dirlo sono i magistrati.

Guarda guarda!

 

I reporter francesi: “Gaza, tutto ok”. Ma il “tour” è pagato da Tel Aviv
DI YUNNES ABZOUZ
A luglio, quando Emmanuel Macron non aveva ancora annunciato la sua intenzione di riconoscere lo Stato di Palestina, Benjamin Netanyahu ha organizzato un press tour in Israele, interamente spesato, per diverse testate giornalistiche francesi. Il primo ministro israeliano è consapevole del fatto che la sua ostinazione a portare avanti la guerra contro Gaza, definita genocidaria da molte voci internazionali, solleva l’indignazione mondiale. Ma poiché non ha nessuna intenzione di ritardare il suo obiettivo, ovvero l’annientamento della Striscia, ritiene che a Israele resti solo una strada per non perdere definitivamente la battaglia dell’opinione: rafforzare la propaganda. È in questo contesto che, secondo le informazioni di Mediapart, l’ambasciata di Israele in Francia ha invitato un gruppo di giornalisti francesi a partecipare al viaggio stampa, dal 20 al 24 luglio scorsi: “Tutti i Paesi del mondo organizzano viaggi di questo tipo, non c’è nulla di straordinario”, ha spiegato un portavoce dell’ambasciata.
Bavagli e morti. ma la trasparenza “Non era vincolante”
Cinque testate vi hanno partecipato: Le Journal du dimanche (JDD) , Le Figaro, La Croix, L’Express e Marianne. L’ambasciata ha coperto tutte le spese: i voli di andata e ritorno – fatta eccezione per La Croix, che ha chiesto di farsene carico autonomamente – le notti di albergo e i pasti. A parte il quotidiano cattolico e L’Express, le altre testate non hanno ritenuto necessario specificare che i loro articoli erano stati scritti nell’ambito di un viaggio organizzato dall’ambasciata israeliana: “Non era vincolante”, ha giustificato Ève Szeftel, direttrice della redazione di Marianne e autrice dell’articolo. Resta però il dubbio: partecipare ad un viaggio, interamente spesato e organizzato da una delle parti in conflitto – che ha inoltre scelto con cura gli interlocutori cui i giornalisti avrebbero avuto accesso –, passando sotto silenzio tutto questo contesto al lettore, non pone un problema deontologico? “No. La prova è che l’articolo che ho scritto era molto equilibrato”, ha detto Ève Szeftel. Il JDD e Le Figaro non hanno voluto rispondere alle nostre domande. Ricordiamo che dal 7 ottobre 2023, Israele impedisce l’accesso indipendente alla striscia di Gaza ai giornalisti stranieri e che ha ucciso più di 200 giornalisti palestinesi nell’enclave assediata. Il programma del viaggio, che Mediapart ha potuto consultare, prevedeva di portare i giornalisti sui principali fronti dove è attivo l’esercito israeliano: le frontiere a nord, con Libano e Siria, e Gaza. Alla fine, però, i giornalisti non sono potuti andare a Gaza perché, secondo quanto spiegato dall’ambasciata, le autorizzazioni non erano arrivate in tempo. In alternativa, i giornalisti sono stati scortati dall’esercito israeliano al valico di Kerem Shalom, dove si accatastano gli aiuti umanitari: Israele voleva così dimostrare che la responsabilità della carestia a Gaza non è sua, ma delle Ong che rifiutano di trasportare gli aiuti a destinazione. Questa volta, nei loro articoli, il JDD, Le Figaro e L’Express hanno precisato di avere partecipato ad un reportage “embedded” con l’esercito israeliano. Arrivati di domenica pomeriggio, i giornalisti sono stati condotti in un lussuoso albergo di Safed, nella nord di Israele. La sera hanno partecipato ad una cena di benvenuto con Oren Marmorstein, il portavoce del ministero degli Esteri. “Marmorstein ha giustificato la guerra e insistito sulla responsabilità di Hamas nello scoppio delle ostilità – racconta Laurent Larcher, reporter di La Croix -. Ci ha spiegato che Hamas utilizza i civili come scudi umani e che di conseguenza Israele non avrebbe altra scelta che ricorrere ai bombardamenti per eliminare chi intende distruggere Israele”. Il giorno seguente, i reporter sono stati accompagnati a visitare l’imponente dispositivo di sicurezza messo in campo da Israele per ​ colpire Hezbollah al confine con il Libano. Il giorno dopo ancora, sono stati portati al confine con la Siria per incontrare la comunità drusa. Ad ogni tappa del viaggio, i giornalisti hanno potuto raccogliere le testimonianze di alti ufficiali dell’esercito israeliano, di rappresentanti della società civile e anche di persone comuni. Non a caso però lo stesso venditore di pita viene intervistato tanto nell’articolo di Le Figaro che in quello del JDD. “È la strategia del chiaroscuro di Israele – spiega Amélie Férey, responsabile del laboratorio di ricerca sulla difesa dell’Institut français des relations internationales -: sommergere giornalisti, ricercatori, giuristi e operatori umanitari di informazioni, comunicati, foto, per trasmettere le loro argomentazioni e mettere in risalto certi elementi piuttosto che altri”. Al termine dei cinque giorni di visita, solo i giornalisti di La Croix e L’Express hanno preso le distanze dal flusso di informazioni distillato dagli ufficiali israeliani. Il JDD e Le Figaro invece non hanno ritenuto opportuno precisare ai loro lettori che le persone a cui avevano dato la parola erano state accuratamente selezionate da Israele.
La “graziosa casa dall’architettura levantina”
Nel suo articolo, il JDD suggerisce persino che gli incontri con le diverse fonti in Israele fossero avvenuti in maniera spontanea: “Maya Farhat, guida turistica, accoglie il JDD nella sua graziosa casa dall’architettura levantina.,.” , scrive la giornalista del settimanale, controllato dall’imprenditore Vincent Bolloré, vicino all’estrema destra. La stessa persona viene poi intervistata anche da Le Figaro. Comunicazione o giornalismo? Nel caso di Marianne, del JDD e Le Figaro la domanda è lecita. Gli articoli pubblicati da questi media danno ampio spazio alle argomentazioni israeliane, senza cercare di confrontarle con altre fonti indipendenti. Eppure, secondo Laurent Larcher di La Croix, si potevano trovare spunti interessanti al di là del quadro vincolante del viaggio. “Con il giornale avevamo concordato che avremmo partecipato senza obbligo di pubblicare un articolo – ha spiegato il giornalista – perché, dal 7 ottobre, l’unico modo per accedere al fronte è di essere guidati dall’’esercito israeliano. In questo viaggio, come sempre del resto, ho trovato le risposte più sorprendenti negli interstizi, negli imprevisti e nei silenzi, ma anche nelle mie stesse domande”. Il giornalista voleva sapere in particolare se, e in che modo, l’esercito israeliano tiene conto delle potenziali vittime civili quando spara su Hamas o Hezbollah. “È stato sorprendente constatare per esempio che i funzionari israeliani ammettevano apertamente di uccidere dei civili colpendo Hamas”, ricorda Laurent Larcher. A Marianne, le stesse riflessioni etiche non hanno portato allo stesso risultato.
La direttrice: “La redazione mi critica? E allora ci vado io”
In un primo momento, la direttrice della redazione, Ève Szeftel, le cui scelte sul trattamento editoriale della guerra a Gaza sono molto contestate internamente, non aveva previsto di partecipare al viaggio. Poiché la giornalista che si occupa abitualmente di Medio Oriente per il settimanale non era disponibile, Ève Szeftel aveva proposto allora ad un altro reporter, Étienne Campion, di partecipare. Quest’ultimo aveva però subito puntato l’attenzione su una serie di questioni deontologiche che un viaggio di questo tipo, organizzato da un Paese accusato di commettere un genocidio, inevitabilmente solleva: per il giornalista, l’unico modo di partecipare, senza compromettersi deontologicamente, sarebbe stato di raccontare onestamente ai lettori i retroscena di tutta la vicenda. La sua proposta era stata immediatamente respinta dalla direttrice della redazione: “Se è per fare qualcosa alla Checknews (la rubrica di fact checking del quotidiano Libération, ndt), allora, tanto meglio non farla”, gli aveva risposto. Ève Szeftel aveva dunque deciso di andarci lei stessa. Nei due articoli che ha scritto e pubblicato per Marianne non ha mai precisato le circostanze esatte ​ dei suoi reportage. Una scelta che ha pesato molto sulla decisione presa dalla maggioranza dei redattori di Marianne, il 18 settembre scorso, di votare una “mozione di sfiducia” contro la responsabile della redazione. A Mediapart, Ève Szeftel ha spiegato di aver “risposto alla chiamata del giornalismo”: “Nulla sostituisce il fatto di andare sul posto, di vedere, sentire, parlare con la gente”.

domenica 28 settembre 2025

Siamo così!


 

Noi siamo questi ragazzi qui, noi siamo questi italiani, che si commuovono ancora per l’amico che non è potuto andar nelle Filippine per infortunio, siamo permeati di questi valori e ne andiamo fieri, siamo come loro che ci commuoviamo per salutare la mamma e il papà, le mogli, i figli gli amici. È questa l’Italia non quella divaricante e pregna d’odio, serva di psicolabili, incapace di decidere da sola, di non andar dietro alle favole degli assalti per rimpinguar scrigni di orchi levando cibo e prebende sanitarie a chi è indietro nella fogna divaricatrice di nero vestita. Noi ci sentiamo come questi ragazzi, pronti a gioire per l’intera nazione, a parlare per tutti e non come “quella” che vede complotti e nemici ovunque, ripiena di benaltrismo com’è. 

Corriamo incontro a questi valori di cui da sempre siamo i miglior rappresentanti. Quel caprone biondo intriso di dabbenaggine prima o poi lo sconfiggeremo con un sorriso. Ed un velato vaffanculo. Ops!

Ahhh Fabrizio!

 


Oh si!

 



Sarebbe cambiata così!

 


Natangelo

 



Precisazioni

 

Democrazia 2.0
DI MARCO TRAVAGLIO
Il generatore automatico di attacchi russi all’Europa indifesa dev’essersi inceppato dopo un mese di duro lavoro. Infatti, per non perdere il ritmo, la Stampa raschia il fondo del barile con deludenti “avvistamenti di droni sopra lo Schleswig-Holstein” e l’“arresto di due spie adolescenti in Olanda: due diciassettenni accusati di spionaggio a favore di un Paese terzo per aver cercato di intercettare con un dispositivo wireless i dati di Europol, di Eurojust e dell’ambasciata canadese”. E quale potrà mai essere il “Paese terzo”? Indovinato! “Secondo il padre di uno dei due, sarebbe stato un hacker filorusso a reclutarli su Telegram”. Quindi ha stato Putin. Nella pagina accanto, la chiave di lettura della diuturna produzione di falsi attacchi russi: oggi si vota in Moldova. E il governo filo-Ue vicino alla presidente Sandu rischia perdere perché la gente è stufa di bellicismo, austerità e russofobia, teme di finire come l’Ucraina e minaccia di votare i partiti anti-Ue che l’Ue chiama “filorussi”: se il popolo ce l’ha con le politiche Ue, ha stato Putin. Quindi Rep spiega ai moldavi come devono votare: “Moldova al bivio tra Ue e Mosca: ‘Putin vuole truccare le urne’ con interferenze e soldi. Vuole Chisinau per attaccare Kiev” (l’ha già attaccata una volta nel 2022, ma fa niente).
Il Cremlino interferisce sempre e l’Ue mai. Infatti, per non interferire, Macron, Merz, Tusk e Zelensky si sono uniti alla Sandu per ammonire i moldavi a fare come dice lei perché “un governo amico di Mosca sarebbe un trampolino di lancio per attacchi ibridi contro l’Ue”. Sempre per non interferire, la commissaria Ue Marta Kos si fa intervistare dalla Stampa per intimare ai moldavi di “scegliere fra democrazia e regime”: se non votano bene sono dei luridi fascisti e perderanno gli “investimenti della Ue”, che ora “sta dando un sostegno senza precedenti alla democrazia”. Per sostenerla meglio, non muove un dito contro le autorità che han messo fuorilegge quasi tutti i partiti di opposizione perché “filorussi” (infatti in Moldova c’è la Transnistria, piena di russi). Le prove generali dell’inedita democrazia 2.0 si erano svolte l’anno scorso in Romania: Presidenziali annullate perché vinte dal candidato sbagliato, Georgescu, arrestato e reso incandidabile. E fra sette giorni tocca alla Repubblica Ceca: anche lì il premier Fiala è odiatissimo per le politiche filo-Ue e filo-Kiev e il favorito è il rivale e predecessore Babis. Ma il sito Politico avverte che Babis è “populista” e “ha un rapporto ambiguo con la Nato” (roba da ergastolo): infatti il presidente Pavel, democraticamente “suo avversario politico”, “ha un’opzione costituzionale: non nominare Babis premier, anche se dovesse vincere le elezioni”. Giusto: nelle democrazie 2.0 governa chi le perde.

L'Amaca

 

l dilemma del radical chic
di MICHELE SERRA
Oggi vi parlerò del dilemma del radical chic (dove per radical chic ormai si intende, in senso molto molto molto lato: colui che rutta solo in privato, non a tavola). Il dilemma è siffatto: quando parla, per esempio, il Bandecchi, che è una specie di Vannacci di periferia, e dice le cose brute e sommarie che si dicono da secoli quando non si hanno avuto il tempo e la fortuna di dare una forma ai propri modi, bisogna fare finta di niente oppure bisogna dirgli: suvvia, non dica così, che fa una gran brutta figura.
Il tema è più complesso di quanto sembri.
Se rimbrotti il Bandecchi (cosa che puntualmente fanno politici di vario livello, per esempio ieri avendo detto il Bandecchi le sue sconcezze su Gaza e le bambine di Gaza), non rischi di sprecare il fiato e peggio ancora di dare troppa importanza a chi la reclama senza merito, come quando i bambini dicono “cacca” e tutti si voltano? Ma se non lo rimbrotti, non rischi forse che diventi normale dire qualunque porcheria, per abitudine social o per attitudine umana, e alla fin fine ti sentirai responsabile, insieme a tanti altri, di non avere fatto nulla, quando era ancora possibile, perché il discorso pubblico non diventasse una fogna?
Di più, e di ancora più spinoso, perché si entra nell’etica pura: è giusto ignorare il bullo, lasciarlo al suo destino infelice?
Bisogna darlo per perso? O merita anche lui, ultimo tra gli ultimi, attenzione umana? E il soccorritore del bullo, a qualunque titolo (assistente sociale, pedagogista, psicoterapeuta, magistrato dei minori) come può esercitare la sua opera di contrasto, e di terapia, senza dare luogo al sospetto di sentirsi munito di princìpi superiori a quelli dei bulli? E se invece si decidesse che sì, ci sono princìpi superiori a quelli dei bulli, e tanto vale dirlo?

sabato 27 settembre 2025

Baila Antò!

 



Chapeau prof Montanari!


Queste le parole di Tomaso Montanari ❤️

"Ma cosa si ricorderà del nostro tempo? Gli incidenti di Milano o il genocidio di Gaza? lo credo che dobbiamo tenere fissi gli occhi su quello che succede a Gaza, nessuna simpatia e nessuna indulgenza per nessuna violenza. Nessuna violenza va bene. Né quella piccola e stupida e controproducente di Milano né quella smisurata e mostruosa di Israele. Bisogna ricordare però che la giornata di oggi è un'altra cosa. Famiglie, appunto bambini, studenti, operai ... Mi ha colpito sulla tangenziale est di Roma le persone bloccate nelle automobili da chi occupava la strada che applaudiva i manifestanti, e un gruppo di sacerdoti in mezzo alla tangenziale che pregava contro il genocidio. Hanno manifestato i margini, i senza potere. Non c'erano partiti. Con un errore non c'era nemmeno la CGL. Mi hanno scritto da Gaza i ragazzi che sperano di arrivare qui con le borse, gli studenti. L'hanno vista, ci hanno ringraziato. Ed è un fatto enorme che non deve essere sporcato da pochi deficienti violenti. Quanto a Giorgia Meloni, quella che non capiva la matrice dell'assalto ben altrimenti avversivo alla CGL e dei giornalisti obbedienti, forse non bisogna cadere nella loro trappola. Cosa si ricorderà del nostro tempo? Gli incidenti di Milano o il genocidio di Gaza? lo credo che dobbiamo tenere fissi gli occhi su quello che succede a Gaza, oggi, anche oggi. Le

immagini che mi hanno veramente indignato, rivoltato lo stomaco, sono gli ospedali bombardati. L'esercito israeliano che rompe in università nella Cisgiordania, che sta per essere annessa, dice il governo Netanyahu. Questa è una violenza spaventosa che ci trascina in un gorgo infinito. Detto questo, chi assalta le stazioni, le vetrine, distrugge le vetrine o si scontra con la polizia, non c'entra nulla con la causa di Gaza".

GRAZIE PROF! 

Mi scusi....

 



Mi scusi Presidente, ma la mediazione consisterebbe nel lasciare i viveri a Cipro e 

tornare indietro? Allora sarebbe bastato affidarli ad un Dhl, non crede?

Un ricordo

 



Natangelo

 



Svelamento di malefici

 

Tra una balla e l’altra
DI MARCO TRAVAGLIO
A leggere Repubblica, la tanto sospirata terza guerra mondiale è finalmente scoppiata: “La battaglia dei cieli”, “caccia Nato respingono incursioni di jet russi sull’Alaska e al confine lettone”, “allarme delle capitali” per il “rischio aeroporti in tilt e incidenti ad alta quota… Gps accecati, voli civili coinvolti in azioni belliche”. Segue la mappa dei ben 9 “sconfinamenti russi” in 15 giorni. Poi l’unica frase sensata: “L’obiettivo è spaventare la popolazione”. Sì, ma della Nato e dei suoi trombettieri, visto che nulla di tutto ciò è mai accaduto. Così come i war game di Corriere (“Jet russi, altri sconfinamenti”), Stampa e Sole (“Jet russi intercettati in Alaska”), Messaggero (“Caccia russi nei cieli Nato”) e Foglio (“Putin invade i cieli Nato”).
Cos’è successo nel mondo reale? Lo spiega Analisi Difesa: quattro F-16 russi hanno raggiunto altrettanti velivoli “nell’area di identificazione aerea in Alaska, dove Russia e Usa monitorano da sempre i movimenti aerei militari, ma all’esterno dei rispettivi spazi aerei. Nessuna violazione russa dello spazio aereo Usa”. Intanto due caccia ungheresi schierati in Lituania identificavano (non “intercettavano” né “respingevano”) cinque aerei russi: che, secondo lo stesso comando Nato, “non hanno violato lo spazio aereo lettone”. Volavano anche lì nel corridoio consentito. Zero sconfinamenti, zero battaglie.
La stessa miseranda fine hanno fatto i falsi allarmi dei Paesi Ue che da un mese si danno il cambio per inventare un attacco russo al giorno. Il sabotaggio al Gps dell’aereo della Von der Leyen non è mai esistito. Il Mig-31 russo che, secondo Varsavia, ha sorvolato una piattaforma petrolifera nel Baltico non ha violato alcuno spazio aereo: parola delle stesse autorità militari polacche. Il famoso sconfinamento di Mig russi nei cieli estoni, secondo il comandante supremo Nato in Europa, gen. Grynkewich, è stato probabilmente accidentale, visto l’esiguo spazio aereo consentito nell’area. I droni, apoditticamente russi, sugli aeroporti di Oslo e Copenaghen sono decollati dalle vicinanze dei due scali: non dalla Russia. Per i cyberattacchi russi agli aeroporti del Nord Europa hanno fermato un hacker inglese a caccia di soldi. I 19 droni finiti in Polonia erano, nella migliore delle ipotesi, uno sciame lanciato dai russi su obiettivi ucraini e deviati oltre confine (involontariamente o apposta) dai jammer di Kiev; nella peggiore, un collage di pezzi di velivoli abbattuti in Ucraina e incollati col nastro isolante per la messinscena polacca. E il famoso drone russo che ha sfondato il tetto della casa in Polonia era un missile Usa lanciato da un jet polacco. Fortuna che quel giorno la Nato non aveva ancora deciso di abbattere i jet russi: appena lo farà, si sparerà nelle palle.

L'Amaca

 

Forza Venezi! Si faccia rispettare
di MICHELE SERRA
Non dev’essere facile essere Beatrice Venezi, la direttrice d’orchestra accusata (da molti orchestrali, primadi Palermo, ora di Venezia) di essere “promossa” politicamente — è di destra — a dispetto di un curriculum modesto. Al suo posto, piuttosto che ricorrere al solito risaputo ritornello (comunisti! gli orchestrali sono tutti comunisti!), prenderei di petto le contestazioni nella sola maniera possibile, e credibile: dimostrare sul campo che sono brava, anzi bravissima, e non ho alcun bisogno di appoggi politici per fare carriera.
Sono sicuro che gli orchestrali — ancorché tutti comunisti — rimarrebbero conquistati dal talento e dall’impegno; qualcuno scusandosi con Venezi per il pregiudizio, perché non sono le idee politiche a costruire l’artista: è la devozione all’arte.
Von Karajan, del resto, non fu esattamente un “antifa”, ma nessuno, a fronte del suo indiscusso magistero, osò imputargli alcunché, perché se uno è bravo è bravo, punto e basta. Allo stesso modo Leonard Bernstein, che fu una specie di padre fondatore dei radical chic, era un tale gigante che nessuno, oggi, se ne ricorda per ragioni politiche, e tutti esclusivamente per ragioni musicali.
Dunque, maestra Venezi, anzi mi scusi, maestro Venezi: non si dia per vinta, ce la metta tutta e abbatta il muro della diffidenza politica. Il tempo è galantuomo: tra un paio d’anni, al massimo, se è davvero brava lei avrà ai suoi piedi l’intera orchestra della Fenice, e gli abbonati e i palchettisti, diffidenti per sentito dire, la seppelliranno di applausi. È quanto le auguriamo, di cuore. In caso contrario non si abbatta, capita a molti di essere sopravvalutati per meriti politici. Anche a sinistra, sa, ci sono stati artisti e intellettuali che valevano pochino, e sono rimasti a galla per ragioni di scuderia. Ma la maggior parte — uso una metafora di destra, così ci capiamo — erano artisti con i controcoglioni. Ed è per questo che fioccavano gli applausi.

Con Michele

 

Perché l’umanità deve resistere
di MICHELE SERRA
Nell’Assemblea del Mondo (per quanto consunta e depotenziata, questa, non altro, è l’Onu), Bibi Netanyahu ha parlato come un capotribù. Come se il contesto fosse ininfluente, liquidata per sempre l’idea che esistano interessi sovranazionali, che i diritti umani, per definizione, siano umani e dunque di tutti, che in quel luogo si vada, fino dalla sua fondazione, per tentare — almeno tentare! — di mediare i conflitti e sedare l’odio.
Come pochi giorni fa ha dimostrato un altro capotribù, quello molto più grosso di lui, Donald Trump, all’Onu non si va per parlare con il Mondo, ma per sfidarlo a muso duro.
Per offenderlo oppure deriderlo, farlo sentire una zavorra di ciance e illusioni, declassarlo a vecchio impiccio ideologico, a ricatto ipocrita, niente che possa fare arretrare la Nazione, unico vero soggetto autorizzato all’azione (e alla guerra) perché munito di un’etica antica e riconoscibile: la Grande Israele, la Grande America, la Grande Russia, ecco il vento del terzo millennio.
Il resto — il multilateralismo, la pace come destino morale sovra-ideologico dopo secoli di guerra e di sterminio, la gestione sovranazionale della lotta alle malattie e alla e fame — è cianfrusaglia novecentesca. L’umanità non esiste più. Esiste solo la Nazione.
I banchi vuoti per più della metà erano già un segno: il segno di una fuoruscita ormai di massa dalla sopportazione reciproca. Lo show di Bibi aveva la modestia, immediatamente riconoscibile, della propaganda politica, e nello specifico della propaganda bellica: per uscirne, dalla propaganda, bisognerebbe alzare lo sguardo, sconfinare anche di pochi chilometri dalle proprie mura, capire che il dolore altrui vale il proprio e il sangue altrui non lava il proprio; nemmeno se in proporzione cento a uno, cento litri per ogni litro, cento bambini per ogni bambino, traguardo ormai alla portata di Bibi.
Non è vero, non è per niente vero che «tutti si sono dimenticati del 7 ottobre». Nel florilegio di menzogne di Netanyahu, è forse la più sconcia. La lagna ombelicale di Bibi, identica a quella di tutti i boss nazionalisti, tende a far credere che il proprio lutto, la propria tragedia, sia incompresa dal Mondo (cattivo Mondo!) perché il nazionalista è convinto che tutti siano uguali a lui, irosi e meschini come lui, conformi alla sua visione tribale delle cose, dunque incapaci di compiangere alcuno al di fuori del proprio villaggio. Non si capacita che qualcuno consideri orrendo allo stesso modo, diabolico allo stesso modo, il massacro subìto e il massacro inferto. La boria nazionalista è così smisurata da non riconoscere intelligenza in chi si china sui morti senza controllare prima il passaporto, specie i morti bambini, troppo precoci destinatari della catalogazione nazionale, religiosa e ormai neo-razziale che devasta la testa degli adulti, dei capi assatanati e degli attivisti ossessi che hanno come solo obiettivo uccidere per sopravvivere.
Bibi piazza i suoi megafoni sulla testa piegata del nemico, ostenta all’occhiello il suopredomino tecnologico e manda i suoi sciami di droni a colpire chi pretende di non dividere l’umanità in Nazioni, e va per mare credendo sia vero e rispettato il codice (antico!) della navigazione in acque internazionali. La scala rovesciata dei nazionalisti (la Nazione è smisuratamente più importante del Mondo, pur essendone, obiettivamente, una infima porzione) sta vincendo, forse hagià vinto. Non c’è più niente di credibilmente inter-nazionale. Tutto è solo Nazione. La Nazione mette a riposo la ragione, dispensa dalla fatica di pensare e, non sia mai, di nutrire dubbi non solamente sugli altri, perfino su se stessi: «Il popolo russo non è abituato a pensare» è la frase, annichilente, terminale, che la figlia di Anna Politkovskaya ci ha consegnato pochi anni fa. Chissà in quale percentuale il popolo israeliano, che ha una tradizione millenaria di confutazione e discussione, è ancora nelle condizioni di pensare. E mentre Bibi sciorina all’Onu il suo diario minimo credendolo la Bibbia, un manipolo di gente inerme e senza-Nazione, sulle barche della Flotilla, sa di poter contare solamente sulla propria buona stella.
Volendo scovare anche dentro una mediocre pagina — il discorso di Netanyahu all’Onu e contro l’Onu — un elemento positivo, quel discorso ci aiuta a mettere a fuoco che il nazionalismo israeliano non è poi così differente dagli altri. Lo valutiamo sempre, come è inevitabile che sia, alla luce della storia orribile di persecuzione e sterminio che gli ebrei hanno subìto. Capiamo a stento come da quella storia di perseguitati possa sortire, sia pure solo in una parte di quel popolo, un simile spirito di persecuzione — e desta incredulità, dolore, scandalo scoprirlo. Ma il nazionalismo è piatto: uguale ovunque, Noi abbiamo ragione, Noi vinceremo, e a indicarci la strada è Dio in persona. Sono fatti con lo stampino, i leader nazionalisti.
L’attuale governo israeliano non è per niente eccezionale, il suo riduzionismo ottuso e violento (Nazione contro Mondo) è uguale a quello dei capoccia “patriottici” di mezzo pianeta, niente di più niente di meno. È l’altro pezzo di umanità, quello che antepone i diritti umani alla Nazione, la promiscuità alla purezza, dunque la convivenza alla guerra, e il rispetto del vivente, e dei viventi, a tutte le religioni del Libro, a doversi riorganizzare come se si fosse al punto zero. E i discorsi di Trump e Netanyahu all’Onu sono una buona approssimazione di quello che possiamo definire: punto zero.

venerdì 26 settembre 2025

A un passo dal baratro

 



Natangelo

 



Sempre sui pazzi

 

Milei, idolo di “riformisti” e renziani, è già “afuera”
DI DANIELA RANIERI
Ultimamente è tutto un passare di cadaveri politici sulla riva del fiume. L’ultimo è il grottesco presidente anarco-capitalista dell’Argentina, Javier Milei, una specie di imperatore romano pazzo ibridato con la creatura partorita da un’Intelligenza artificiale fuori controllo. È quel tizio che ha fatto tutta la campagna elettorale promettendo di tagliare fino all’osso la spesa pubblica per salvare l’economia del Paese, brandendo una motosega al grido di Afuera!, “fuori!”, con ciò intendendo che avrebbe demolito tutti i pesi morti dello Stato, che per lui e sua sorella, una sorta di Arianna Meloni più inquietante, sono: pensioni; assegni per persone con disabilità; Sanità pubblica, trattata al pari di ogni altro bene di consumo; enti per la sicurezza nei trasporti; mense per i poveri; fondi per le università (rimaste letteralmente al buio) e la Ricerca; 13 ministeri, tra cui quello all’Istruzione; l’unità che rintracciava i figli dei desaparecido, sottratti ai genitori durante la dittatura militare; la principale agenzia di stampa dell’America latina, etc.
Risultato: più della metà della popolazione letteralmente ridotta alla fame, crisi finanziaria, perdita del potere d’acquisto, disoccupazione alle stelle, conti dello Stato fuori controllo. Be’? Che sono quelle facce? Questa macelleria sociale fatta bene ha portato alla riduzione del 74% della spesa pubblica, ha stabilizzato la moneta e contenuto inflazione e debito pubblico: non è da sempre il sogno dell’austerity all’europea, sempre sia lodata? Non avevamo già presente come sono felici i greci?
Adesso, innescata questa bomba civile e sulla soglia del default sul debito col Fondo Monetario, Milei è costretto a chiedere aiuto a Trump, sacerdote della religione iper-capitalista che impone il taglio di ogni spesa “non necessaria”, a cominciare dagli aiuti ai poveri. Trump ha promesso che farà di tutto per salvare l’Argentina (il Tesoro Usa ha donato 20 miliardi di dollari alla Banca centrale argentina): ne va della sopravvivenza del loro culto di morte ai deboli.
Ora, il problema è che tutta questa tragedia sulle spalle della povera gente non è solo intrattenimento per imperatori pazzi, posto che Milei regalò a Elon Musk una motosega in segno dell’eterna alleanza; piuttosto, La Libertad Avanza, il partito di Milei, non è che la versione radicale (e senza palliativi a costo zero, tipo le unioni civili) dei partiti neoliberisti, sia nella versione “tecnica” che in quella fintamente di “sinistra” à la Tony Blair (quello che sta facendo accordi con Trump per fare una riviera per ricchi a Gaza). E ti pareva che qui in Italia, siccome eravamo scarsi in quanto a risorse psichiatricamente labili, un genio simile non poteva contare sul suo bel drappello di ammiratori? Dai giornali borghesi ai migliori politici liberali, a un certo punto questo Milei è parso una specie di Draghi senza Super-io e senza terapia farmacologica. Come Milei, i fan del whatever in takes da Draghi in giù vedono nella classe dei lavoratori il “capitale umano”, che non si ribella, non pensa e non ha alcun diritto, perché è proprietà del capitalista. Risultato: compressione dei salari, peggioramento delle condizioni di lavoro, malattia, precarietà (chiedere ai greci). Perché non provare la sua ricetta? Ricordiamo su tutti un icastico post su X di Luigi Marattin, già membro di Italia Viva, ora capo di un partito (ci sembra) sedicente liberaldemocratico: “È scattata l’ora X. A tutti coloro i quali alberga la fede nella libertà, nel mercato, e nell’inefficienza della spesa pubblica: afuera!”. Del resto, il maestro Renzi aveva ben insegnato. Colui che i giornali stranieri ribattezzarono “Demolition man” per i suoi piani di smantellare la vecchia classe politica, voleva scassare tutto ciò che ci costava (“Vogliamo metà Parlamento e a metà prezzo”, disse alla prima Leopolda), creare uno Stato leggero, semplificare: via le pastoie burocratiche, via le Soprintendenze, via i politici anziani, via il bicameralismo perfetto, via i “sassi sui binari”. Renzi è (stato) un Milei in versione da oratorio, pastorizzato dallo scoutismo; ha pure scritto un libro dal titolo Fuori!, “afuera” in spagnolo.
Ormai lobby e imprese dettano l’agenda politica ai loro referenti istituzionali. Non serve più la politica a mediare tra gli interessi sociali e quelli del mercato: bastano (pseudo) leader funzionali al dominio dell’economia. Perciò l’Europa alle dipendenze degli Usa s’è ridotta a utilizzare debito pubblico per finanziare le multinazionali delle armi invece che le politiche sociali. Bisogna prendere atto che le destre estreme e iperliberiste, che chiamiamo “fasciste” perché così fa comodo al blocco borghese sedicente moderato, non sono che lo stato terminale del neoliberismo e insieme la nemesi del “centro” efficiente, riformista e darwinista rappresentato dai Draghi e dai Renzi dell’Occidente.

Ci vorrebbe Basaglia!

 

Pazzi in libertà
DI MARCO TRAVAGLIO
Che Trump sia totalmente fuori controllo e non riesca a dire una cosa senza contraddirla in mezz’ora è cosa nota, confermata dal catalogo completo di sindromi psichiatriche esibito all’Onu. Ma per fortuna gli altri leader occidentali sono tutti sul pezzo, uno più lucido dell’altro. Zelensky il 18.12.24 ammise che “l’Ucraina non può riconquistare i territori occupati dai russi” e, ora che il suo esercito è messo ancora peggio, annuncia che li riconquisterà tutti perché i russi che avanzano su tutto il fronte sono in rotta, dunque ora invadono l’Europa. Fila, no? La Meloni, a proposito della Flotilla con 51 barche e 400-500 attivisti di 44 Paesi (dalla Nuova Zelanda alla Malesia, dalla Colombia all’Irlanda), dice che è fatta apposta per “creare problemi al governo”: infatti in Nuova Zelanda, Malesia, Colombia e Irlanda si parla solo del governo Meloni: non ci dormono la notte. Fila, no? Von der Leyen, Rutte, Tusk, il governo tedesco e persino quello estone e il presidente ceco delirano di “abbattere i jet russi che violano lo spazio aereo”, ancor prima di dimostrare che l’hanno fatto e intendevano farlo (gli sconfinamenti càpitano a tutti, da sempre e ovunque), senza porsi il problema di ciò che accadrebbe un minuto dopo: la rappresaglia della prima potenza atomica che trasformerebbe la presunta guerra ibrida in guerra mondiale nucleare. Invece i continui attacchi con missili, caccia e droni donati o pagati dalla Nato a un Paese che non ne fa parte contro obiettivi civili in Russia non sono violazioni dello spazio aereo e del territorio russo. Fila, no?
I droni che bombardano la Flotilla sono “non identificati” anche se tutti sanno da dove arrivano, e nessuno invoca la Nato per difendere le barche battenti bandiera di Paesi Nato (dunque territorio Nato). Invece i droni che ronzano in Europa senza fare un euro di danni sono sempre russi, a prescindere, anche se nessuno sa da dove vengano. La sapete l’ultima? Dopo giorni di dichiarazioni di guerra alla Russia per i droni su cinque aeroporti danesi, “certamente russi” per Occhiodilince Zelensky, il ministro della Difesa Poulsen ha dichiarato che “non c’è alcuna prova contro Mosca”, anche perché i velivoli sono stati “lanciati localmente”: non dalla Russia, ma dalla Danimarca. Non solo: l’hackeraggio che nel weekend ha bloccato aeroporti inglesi, francesi, belgi e tedeschi, sùbito attribuito alla guerra ibrida di Putin, era un atto di “criminalità comune a scopo di estorsione”. Parola degli inquirenti britannici, che l’altroieri hanno fermato un hacker 40enne del West Sussex che puntava a un riscatto in denaro. Quando scoppierà la terza guerra mondiale, per trovarne le cause non serviranno gli storici: basterà uno psichiatra con qualche cartella clinica.

L'Amaca

 

Quale sarà il Dio degli americani?
di MICHELE SERRA
Prima o poi, si presume che il Papa americano dovrà pronunciarsi a proposito dell’impressionante torsione della fede cristiana in chiave nazionalista e reazionaria che sta sconvolgendo lo scenario culturale e politico nel suo Paese. Una miriade di chiese e chiesuole protestanti, ma anche una parte importante del clero cattolico conservatore, sono al fianco di Trump nel nome del ripristino dei “valori tradizionali”.
In che modo, e con quale autorevolezza morale, un miliardario arrogante e sopraffattore possa onorare il Vangelo, non è chiaro. La cosa certa è che il suo avvento viene vissuto come una fuoruscita dalla deriva “liberal”, dal multiculturalismo, dal famigerato primato dei diritti, dalla corruzione mondialista dell’identità nazionale. I funerali di Kirk sono stati, da questo punto di vista, espliciti e perfino convincenti: nel senso che si è capito meglio fino a che punto la religione di Cristo, e il simbolo della croce, abbiano armato quel popolo bianco, perbenista, ben pettinato, con mogli e figli biondi, disposto a qualunque forma di esclusione dei dissimili pur di eternare se stesso, il proprio primato sociale ed economico, le proprie credenze e le proprie abitudini. E disposto anche a esiliare Darwin (e la scienza nel suo complesso) dalle librerie scolastiche perché la Ragione è una via diabolica, e già tutto sta scritto nella Bibbia.
Sono cristiano per nascita e, in parte, per educazione, non per fede. Non mi sento dunque eccessivamente coinvolto. Però mi domando quanto tempo dovrà passare perché — prima di tutto in America — i cristiani che hanno letto il Vangelo facciano presente ai cristiani che amano Kirk, e votano Trump, che sarebbe ora di leggerlo, il Vangelo.