sabato 20 settembre 2025

L'Amaca

 

La verità del tricheco
di MICHELE SERRA
Può un tricheco flirtare con una bagnante? E un’aquila soccorrere un cucciolo di cane? No, ovviamente. Ma una quantità non piccola dei banner pubblicitari veicolati, in coda agli articoli, da tutti i media online (compreso il nostro), si basa su falsi come questi; se preferite l’eufemismo, sull’artefazione.
Immagini manipolate e notizie inventate, per attirare l’attenzione e propinare proposte commerciali. A trichechi e aquile si aggiungono star sfigurate o in rovina (“non potere credere come è ridotta Tizia, come è caduto in disgrazia Caio”) e finti arresti di persone vere (è capitato anche a me).
Molti di questi banner non sono riconoscibili come contenuti esterni: sono travestiti da notizie di cronaca. E magari si potrebbe fare qualcosa di più per far capire a chi legge che non si tratta di contenuti del giornale, separando drasticamente quanto il medium-vettore certifica essere di sua fattura, quanto invece è appannaggio di soggetti esterni la cui tecnica comunicativa è spesso quella degli imbroglioni.
Ma non è poi questo — non solamente questo — il punto. Il punto è la paurosa moltiplicazione del falso come tecnica di comunicazione corrente. La balla non più come effrazione o come espediente, ma come metodo, come linguaggio ordinario, così che l’intera comunità mediatica si abitui per assuefazione a considerare normale credere, e far credere, che i trichechi seducano le bagnanti, Caio sia rovinato e Tizia sfigurata: che l’intera realtà, comprese le persone, sia merce disponibile a qualunque manipolazione e abuso di immagine.
Si discute molto, in questi giorni, della falsificazione come strumento del potere (vedi Trump). Difendere la realtà, rafforzandone gli anticorpi, è una missione possibile, a patto che si cominci dal basso, nella comunicazione di tutti i giorni.

Nessun commento:

Posta un commento