I soli profughi amati da Trump
di MICHELE SERRA
L’uscita del Sudafrica dall’apartheid, un regime di segregazione razziale che premiava i colonizzatori europei e puniva i colonizzati indigeni (il ladro che incatena il derubato), avvenne pacificamente e fu accolta nel mondo intero come un buon esempio di conciliazione, e di difficile remissione dei torti commessi.
Oggi, per quanto dall’amministrazione Trump ci si aspetti di tutto, si rimane di stucco alla notizia che l’America considera i bianchi sudafricani discriminati, e per questo degni di essere accolti come profughi politici. I bianchi di origine olandese, pur essendo il dieci per cento della popolazione sudafricana, possiedono il settanta per cento dei terreni agricoli. Alcuni dei quali, incolti o di interesse pubblico, dopo trent’anni di tentennamenti sono stati espropriati dal governo, così da recuperare almeno una piccola parte della refurtiva coloniale. È quanto basta agli espropriati per sentirsi perseguitati e chiedere soccorso a Musk, anch’egli bianco sudafricano, e a Trump.
Il vittimismo dei bianchi (che per darsi un contegno virile si autodefinisce: suprematismo bianco) è uno dei fenomeni più rivoltanti del nuovo millennio, considerando che in quello precedente la predazione mondiale dei bianchi, l’imperialismo, lo schiavismo, la sottomissione e la distruzione delle popolazioni indigene, la cancellazione delle loro culture, sono state la regola.
Nel regolare i conti, da Gandhi a Mandela a Luther King, le sole vere vittime dell’imperialismo europeo, ovvero i non bianchi, si sono rivelati fin troppo clementi.
Ora vengono ripagati dall’accusa di avere discriminato i bianchi. La solita vecchia storia del lupo che accusa l’agnello.
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