sabato 31 maggio 2025

Serata

 



Sempre per emergere

 

Renzi-Calenda: bandiere per Israele, ma a teatro
DI DANIELA RANIERI
Nel momento in cui l’opposizione decide di fare una manifestazione il più possibile partecipata per indurre il governo Meloni a condannare almeno a parole lo sterminatore di bambini Netanyahu, e sperabilmente a smettere di inviargli armi e solidarietà, era proprio il caso di mettersi a fare dei distinguo pro-Israele. E chi poteva incaricarsi di un compito così ingrato, indicendo una manifestazione alternativa il giorno prima della piazza di Roma del 7 giugno indetta da Pd, M5S e Avs? (Diciamo manifestazione per modo di dire, visto che di solito le manifestazioni si tengono nelle piazze o consistono in cortei, mentre qui stiamo parlando di un ritrovo in un teatro di Milano in una sala da 500 posti, per cui sarebbe meglio chiamarlo meeting).
Ovvio: i due politici più scrausi su piazza, cioè Renzi e Calenda. Insieme a loro, i cosiddetti riformisti del Pd, tipo Quartapelle, Delrio, Fassino, Guerini, Picierno, gente molto a suo agio con le bombe (in Ucraina) e per la quale l’organizzazione terroristica Hamas, che ha ucciso 1295 israeliani il 7 ottobre 2023, è comunque più cattiva di un governo “democratico” che abbatte (almeno) 55mila innocenti. E sì che a Roma ci sarà anche chi fino a ieri ha negato lo sterminio; bisogna essere proprio più likudisti di Netanyahu, per mettersi a fare i capziosi. Ma perché distinguersi?
Calenda vabbè, lo conosciamo: siccome si è intestato su X il ruolo di difensore biblico del popolo eletto d’Israele, deve tenere il punto: la situazione a Gaza è indecente, sì, ma l’antisemitismo pure non scherza. Sui principi morali di Renzi è lecito dubitare dopo la lunga frequentazione tra lui e il Paese: infatti la piattaforma del ritrovo a teatro, ha detto a Piazzapulita, consiste nel “portare le bandiere israeliana e palestinese insieme al teatro Parenti; se uno viene con la bandiera israeliana, noi gli diamo quella palestinese, e viceversa”. È una questione di merchandising, insomma. Peserà, nel suo cerchiobottismo contro il carnefice ma anche un po’ pro, il fatto che il suo amico Marco Carrai sia console onorario di Israele e vanti importanti relazioni con aziende israeliane nel campo della cybersecurity (il cui comando nazionale Matteo voleva affidargli quand’era al governo)? Chissà.
La motivazione ufficiale della “manifestazione” scismatica è che nella piattaforma di Roma non c’è la condanna all’antisemitismo, un’urgenza tale da far riavvicinare Renzi e Calenda, due che forse si odiano più di quanto si odino israeliani e palestinesi. Questo, casomai avessimo qualche dubbio, vuol dire non capire niente; vuol dire non comprendere che la piaga dell’antisemitismo viene ogni giorno infettata da Netanyahu in tutto il mondo con la sua diuturna strage degli innocenti, e che il peggior nemico degli ebrei è al momento questo criminale che fa sfollare la popolazione palestinese e poi la bombarda nel luogo in cui si rifugia; che dichiara non esserci nessuna carestia a Gaza perché lui i palestinesi li ha visti nudi e semmai erano poco allenati (scappare dalle sue bombe non li mantiene abbastanza in forma); del resto l’associazione inglese “Avvocati per Israele” dice che la guerra aiuta a ridurre l’obesità nella Striscia. Lo spazio mediatico di cui gode la reunion dei due politici del 2-3% è come di consueto esorbitante, e va di pari passo col fremito che si è impossessato delle redazioni appena si è saputo che a Genova aveva vinto la candidata di Pd, M5S e Avs sostenuta pure dalla lista Riformiamo Genova, dentro cui si erano infrattati Italia Viva e Azione. Ciò è bastato per inneggiare alle proprietà salvifiche del “Centro” o “Terzo Polo”, la creatura fantasy che fa sognare i nostri editorialisti quasi quanto la chimerica Agenda Draghi. Fa niente se l’Istituto Cattaneo ha rilevato che il sostegno di Renzi e Calenda non ha spostato un voto a favore di Salis (direte voi: è già tanto che Renzi non le abbia fatto perdere cataste di voti, e pure questo è vero); e può darsi che più che un’improvvisa resipiscenza campolarghiana abbia pesato il fatto che Matteo sia amico del marito di Salis, il regista Fausto Brizzi, nel cui loft a San Lorenzo Matteo si “rifugiava” (L’Espresso) ai tempi della discesa su Roma. Ma non roviniamo un sogno.
Quanto a Calenda, il 20 febbraio disse al Corriere che siccome sulla guerra in Ucraina Conte a suo avviso è russofilo, lui avrebbe posto un ultimatum al Pd: “Io non farò più alleanze, nemmeno a livello locale, con il Movimento 5Stelle”, infatti il giorno prima aveva annunciato che avrebbe appoggiato Salis alleandosi col M5S; poi ha raddoppiato a Lamezia Terme, sostenendo la candidata di Pd e M5S. Forte di questa specchiata coerenza, l’altro ieri è andato a Tagadà a insultare gli elettori che non votano per lui, cioè il 97% degli italiani. Non tutti possono portare con disinvoltura la bandiera di uno Stato il cui governo bombarda case, ospedali, rifugi: ci vogliono due così.

Fubini

 

L’ultimo giapponese
DI MARCO TRAVAGLIO
L’altra sera mi mozzicavo i pugni per non poter fermare le rotative mentre Federico Fubini, a Otto e mezzo, sconvolgeva il mondo con uno dei suoi scoop: “I russi non hanno più i mezzi corazzati, fanno gli assalti coi motorini sotto i droni, mandano i muli nelle retrovie” e “sono ridotti a tal punto che in Jacuzia c’è il programma ‘Cambia Vita’ rivolto agli homeless, che sono tutti alcolizzati, per entrare nell’esercito… Non è vero che l’Ucraina sta perdendo”. Ora, Fubini è non solo il vicedirettore del Corriere (che peraltro gli rema contro raccontando che “Kiev è a corto di Patriot e i missili russi bucano le sue difese”, “i russi sono cinque contro uno”, “50 mila russi per sfondare a Sumy: rischio offensiva estiva su tre direttrici”). Ma è anche la punta di lancia della famosa Task Force europea anti-fake news: quindi ogni sua parola è vangelo.
Già sapevamo, grazie al Corriere e alle altre gazzette atlantiste, che da 39 mesi Putin e l’economia russa hanno le ore contate e le truppe di Mosca combattono “senza calzini”, “senza divise”, “senza munizioni”, “senza razzi”, “senza missili”, “con le pale del 1869” e “usano le dita come baionette”, mentre i chip dei carri armati li rubano da “lavatrici, refrigeratori e tiralatte elettrici”. Il che già faceva ben sperare, anche se non si capiva cosa aspettassero ad arrendersi. Ma ora che han finito anche i tank, sostituiti con motorini e muli, e soprattutto i soldati, quasi tutti morti (gli ucraini invece sono invulnerabili e dunque ansiosi di arruolarsi) e rimpiazzati con homeless ubriachi fradici, la speranza diventa certezza: abbiamo vinto. Resta solo da spiegare perché: 1) gli euro-vip vanno e vengono da Kiev progettando di inviarle altre armi senza averle e financo truppe, temendo un tracollo definitivo non per i russi, ma per gli ucraini (pretattica?); 2) l’Ucraina non s’è ancora ripresa le cinque regioni annesse dai russi e ha pure perduto le aree che aveva invaso a Kursk (una finta per disorientare il nemico?); 3) centinaia di migliaia di ucraini scappano dalla leva e dal fronte, mentre Mosca seguita a inviare truppe fresche (tutti clochard jacuzi avvinazzati a dorso di mulo o sul Ciao Piaggio?); 4) a reclamare garanzie contro future invasioni sono Zelensky e i Volenterosi, non Putin. Ma soprattutto: che bisogno c’è di buttare 800 miliardi per riarmarci fino ai denti indebitandoci fino al collo? Se la Russia è già ridotta ai motorini e ai muli con qualche superciuck contro un solo esercito, figurarsi come potrebbe affrontare i 32 della Nato invadendo l’Europa. Quindi sia chiaro: noi stiamo con Fubini, ultimo giapponese nella jungla. Spicciamoci a dichiarare vittoria e a metterla nero su bianco, prima che qualcuno ci ripensi. Così risparmiamo un sacco di soldi pubblici, ché lui fra l’altro ci tiene tanto.

Il Fesso del Ponte

 

Sapere che questo signore ha in mano un’opera colossale che nemmeno lui conosce bene, mi sprona a sognare una vera, sana, vivifica idea rivoluzionaria!






Ohhhh this is America!

 



Cavalieri e cavalli

 



L'Amaca

 

Un ricco che ruba ai poveri
di MICHELE SERRA
Avere messo sul lastrico parecchie migliaia di dipendenti pubblici, e averlo fatto scaricando sulle spalle delle vittime la responsabilità morale della loro rovina, in quanto inutili parassiti. Questo è il bilancio della breve stagione politica di Elon Musk. Tutto il resto (l’esibizionismo patologico, l’uso di droghe, perfino l’appoggio sguaiato alle peggiori destre del mondo) è quasi folklore rispetto alla sostanza sociale delle sue scelte: colpire direttamente, lui che è un miliardario, un tipico segmento del ceto medio, quali sono gli impiegati pubblici. E colpire indirettamente la parte più indifesa della popolazione attraverso i tagli al Welfare, considerato uno spreco a prescindere.
Un ricco che ruba ai poveri, questo è Musk.
O almeno lo sarebbe se contasse, nel giudizio pubblico, la realtà delle cose, piuttosto che il fracasso sui social, il rosario di tweet sempre identici, ripetuti a mitraglia (sono i pater-ave-gloria del nostro evo), la discussione piuttosto oziosa se sia un genio e dunque, in quanto genio, autorizzato alle peggiori intemperanze e alle balle più sconcertanti, come se essere un inventore di talento autorizzasse a essere un cretino mediatico, o un fanatico di estrema destra.
La dimensione patologica e/o pittoresca di Musk, quando mai il mondo tornasse a essere normale, e a ragionare su basi razionali, conterebbe molto meno del suo devastante operato politico. Nemmeno i padroni in marsina e cilindro delle vignette socialiste ottocentesche, nemmeno il “sciur padrun da li beli braghi bianchi” dei canti delle mondariso sono comparabili, quanto a suprematismo sociale dei ricchi sui poveri, al manipolo di estremisti del capitalismo che ha conquistato la Casa Bianca grazie al voto suicida di milioni di poveri cristi.

venerdì 30 maggio 2025

Addio idiota!



Non poteva che dimettersi questo squallido essere umano, che ha distrutto la vita di migliaia di famiglie con la sua psicotica azione ripulente, a suo dire, l’amministrazione degli ex Stati Uniti, ora un immenso Circo Barnum. Non poteva che finire così con questo tossicodipendente in preda a deliri d’onnipotenza, di braccia alzate per confermare la sua idiozia innata. E ora è il tempo della speranza: che si riduca in bolletta a pulire cessi pubblici; il dimezzamento delle vendite della Tesla (chi la compra è un Salvini) e l’ennesimo razzo finito a caxxo fan ben sperare. Una prece per questo imbecille!

Campo minato

 

Che dico, di che parlo che ho figli, che non ho mai vissuto l'esperienza di vederli crescere, agevolando la loro formazione da genitore? 

Dovrei star zitto, come molti soloni, pure paonazzi, invece non fanno. 

Ma il dolore delle vicende nostrane mi sta portando a dir qualcosa in merito all'assassinio di quella minorenne, quattordicenne, ad Afragola, per mano dell'ex fidanzato diciottenne. 

Martina è stata fidanzata al suo assassino sin da quando aveva dodici anni. Dodici anni. Come è possibile far fidanzare la propria figlia con un allora sedicenne? Quale cultura, anzi, quale mostruosa assenza di cultura scatena una tale anomalia? 

Come si può permettere ad una dodicenne di fidanzarsi con un ragazzo di quattro anni più grande a dodici anni? Dodici anni. 

Non colpevolizzo nessuno, sia chiaro, medito soltanto su questi tempi di merda allo stato puro, la cultura, l'apprendimento, gli dei del momento, l'ansia della visibilità, ciccione in leggins, paiette ovunque, gli oracoli del vuoto pneumatico in tv a sproloquiare, gli influencer, la cultura del tutto e subito, gli oracoli cellulari. 

Tutto, ma proprio tutto devasta la società, i giovani, i giovanissimi che che un tempo giravano con le calze bianche alle ginocchia, ora vengono sparati lontani dieci anni dalla loro età reale, vivendo da maggiorenni ciò che prima non osavano neppure immaginare. I make up sempre più parossistici, la richiesta incessante del ritocchino sfanculante la natura, la simulazione di vivere come una star, come un vip! Dai diciamocelo! Non ce ne frega una mazza dei giovani di oggi, rompono quasi i coglioni visto i pensionati ancora attaccati alla scrivania, o a indicarci le vie della politica! Nessuno che si levi dalle palle, spazio ai giovani un bel caxxo!  

E allora accadono queste bestialità, perché esiste ancora la cultura del possesso. Sei mia, nessuno ti deve toccare, guardare, parlare. Sono il maschio predominante, non ti azzardare a distogliere lo sguardo da me. 

Sei mia e se per caso t'azzardi ad allontanare, ti ammazzo. 

Non è la normalità per fortuna, è una bassissima percentuale, ma è chiaro che in moltissime teste l'abnormità viene evaporata, in altre purtroppo no. 

Vedere sempre più cinquantenni padri che si vestono da figli e credono di essere ancora a scuola mi riempie il cuore di dolore. 

Frasi forse a caxxo certo. Ma assistere a queste morti rende il cuore molto, molto immerso nel dolore. 

Ciao Martina!   

Nuovo Premio

 



Premio alcolico

 



Natangelo

 



Effettivamente

 

Un suicidio assistito
DI MARCO TRAVAGLIO
Quanti fiumi di parole inutili, anzi dannose, sulla pace in Ucraina pur di non arrivare mai al nocciolo della questione: e cioè che Nato, Ue e Kiev hanno perso la guerra, la Russia l’ha vinta, il tempo gioca a favore di Mosca e spetta agli sconfitti convincere i vincitori a smetterla con un’offerta che non possano rifiutare. Sennò i vincitori continueranno ad avanzare e gli sconfitti a perdere territori e vite umane. Il 18.12.2024 Zelensky, che cambia idea a seconda dell’ultimo con cui parla, ammise di non poter recuperare le cinque regioni occupate e annesse dai russi: da allora non riesce più a spiegare ai suoi soldati per cosa combattono e muoiono. Ora invece garantisce che non rinuncerà neppure alla Crimea, che il negoziato gliele ridarà come per miracolo e che “avremo una pace giusta solo dopo Putin”. Devono di nuovo avergli fatto credere che: 1) Putin ha i giorni contati, come tre anni fa, quando Zelensky giurò che era morto e quello che vedevamo era un sosia; 2) chi lo sostituirà sarà un sincero democratico, pacifista e amico di Kiev, che si ritirerà dai territori occupati con tante scuse e li restituirà dopo averli ricostruiti a proprie spese; 3) Zelensky potrà finalmente indire le elezioni rinviate un anno fa, rivincerle in carrozza, entrare nella Nato e nell’Ue, riarmarsi fino ai denti con tutta l’Europa e piazzare missili nucleari sotto le finestre del Cremlino fra gli applausi del nuovo inquilino. Come se nulla fosse accaduto.
A furia di drogarlo con promesse false e aspettative utopistiche, l’Ue dei finti amici sta spingendo l’Ucraina nella fossa: un lungo suicidio assistito, come lo definì tre anni fa Fabio Mini sul Fatto. L’unico vero amico di Kiev è quello che passa per suo nemico al soldo di Putin: Trump, che con i suoi modi buzzurri fu il primo alleato a dirgli la verità. Cioè che la guerra è persa, Kiev senza le armi Usa non regge due settimane e al negoziato non ha carte da giocare. Ora Zelensky accusa Putin di non voler negoziare perché non gli anticipa il suo “memorandum” prima del nuovo round del 2 giugno a Istanbul. Come se non conoscesse a memoria la posizione russa, sempre la stessa da oltre dieci anni: neutralità e smilitarizzazione di Kiev, stop all’allargamento della Nato a Est, “denazificazione” (che, al netto della propaganda, significa basta persecuzioni russofobe contro i russofoni), rinuncia ai territori occupati (che non sono tutti quelli annessi), fine delle sanzioni, assetti futuri di sicurezza per tutti. Su questo, cioè sulla sicurezza, l’Ucraina avrà ragione di pretendere garanzie serie contro futuri attacchi. Su tutto il resto c’è poco da trattare: solo da prendere atto della triste realtà. Non si può perdere ciò che si è già irrimediabilmente perduto: si può solo perdere ciò che si ha ancora.

Nuovo corso acciughino

 



L'Amaca

 

Il citofono per favore no
di MICHELE SERRA
Citofonare ai genitori di un assassino, poche ore dopo il crimine, e chiedere “avete chiesto perdono ai genitori della vittima?”, è cosa che perfino un magistrato inquirente non si sentirebbe autorizzato a fare. Un poco per rispetto, un poco perché quella domanda non aggiunge niente all’inchiesta: è solo una inutile impudicizia attorno a un argomento (il perdono) che è tanto serio e grave da non meritare che se ne chiacchieri in tre secondi, e con tanta inevitabile approssimazione.
Ma allora perché il tg1 di ieri lo ha fatto, perché molti giornalisti continuano a farlo, come e quando si è deciso che portare un microfono e una telecamera sotto un citofono, o ficcarlo sotto il naso di una persona appena coinvolta in un crimine, per carpire poche parole bofonchiate, spesso pronunciate in uno stato di prostrazione, faccia parte del mestiere di informare?
Può anche darsi che esista, anzi esiste sicuramente, un pubblico di bocca buona che non vede l’ora di vedersi rovesciare addosso l’emotività a badilate, e il dolore in diretta. Gli piace. Ne gode. Ne ha perfino il diritto, perché tutti i gusti son gusti. Ma un telegiornale, santo cielo, lo si guarda per avere notizie. Seppure afflitti dalle dichiarazioncine in serie dei partiti, si conta sempre sulla possibilità di capire qualcosa di più su quello che succede nel mondo. E difficilmente il mondo si annida in un citofono.
L’informazione non è un accessorio, è un organo importante del corpo sociale. Lo spettacolo è un’altra cosa, e in genere si sceglie a quale assistere, a quale no.

giovedì 29 maggio 2025

Stika

 



Impossibilitato

 



Natangelo

 



Ottime riflessioni

 

La Nato fra Kiev e Gaza: il sonno della ragione
DI ELENA BASILE
Alla fine ci avranno per la repulsa che proviamo a ripetere sempre gli stessi argomenti. Sono più o meno due anni che insieme ad altri analisti proviamo a demistificare la propaganda, a porre domande razionali che non trovano risposta. Russell si illudeva: la ragione illuministica e umanistica serve a poco. Prevalgono a cicli gli impulsi viscerali distruttivi e autodistruttivi degli esseri umani. I marxisti forse erano in grado di rivelare come le guerre servissero a tutelare il sistema di potere, gli equilibri di classe tra privilegiati e sudditi. Ci meravigliamo quindi di non essere ascoltati dalla classe di servizio che ricava vantaggi e prebende dalle oligarchie che governano?
Dovessi soccombere per la nausea, continuerò a porre le stesse domande: perché il posizionamento di basi Nato e di armi nucleari in Ucraina non dovrebbe essere percepito come una minaccia esistenziale dalla Russia? Perché, se fosse vero che Mosca vuole invadere i Paesi Nato, avrebbe chiesto dal 2007 al 2021 la neutralità di Kiev? Perché parlare di una Ucraina quando basta aprire un libro per comprendere che di Ucraine ve ne sono due, persino tre? Come è possibile credere nella vittoria militare su una potenza nucleare? Come è possibile definirsi filo-ucraini mentre si lascia distruggere un Paese e si utilizza il suo popolo come carne da macello? Perché si vuole eseguire il mandato di arresto del procuratore della Cpi per Putin e non per Netanyahu? Perché la Russia sarebbe uno Stato aggressore mentre non si sanziona l’aggressione di Israele? Come è possibile affermare che il genocidio di Gaza sia dovuto agli attacchi terroristici di Hamas mentre in Cisgiordania, dove Hamas non esiste, la violenza dei coloni e gli incendi alle case continuano e lo stato di apartheid si rafforza?
Ho scritto una confutazione razionale e molto rispettosa, pubblicata da la Fionda, delle posizioni pubblicizzate dalla senatrice Segre in una recente intervista al Corriere della Sera. Non vi è stata alcuna risposta. Il dialogo non è possibile. Ancora mi pesa ed è lacerante la querela che ho subito per antisemitismo. Una accusa infamante contraria a tutta la mia storia, ai miei editoriali, ai libri che ho scritto. Così muore il dibattito pubblico democratico. E ancora cito i tempi in cui sul Corriere della Sera, sulla Repubblica intellettuali come Pasolini, Moravia, Calvino e altri dibattevano con interventi pieni di passione i temi politici e etici. Non si sostiene la democrazia creando personaggi televisivi con duetti Orsini-Parenzo, Di Battista-Floris, Basile-Calenda, Caracciolo-Gruber, ma dando la possibilità agli ascoltatori e ai lettori di essere messi di fronte ad argomenti razionali opposti.
Ancora non ho trovato alcun elemento di strategia politica negli europei che difendono la continuazione della carneficina ucraina e del genocidio a Gaza. Al netto della propaganda, non si conosce una strategia razionale, che almeno si potrebbe accettare anche senza condividerla. Comunque la retorica su Gaza sta cambiando. Ho il terrore di una società in cui scatta la luce verde e tutti in coro dicono quello che dopo 3 mila o 30 mila morti a Gaza dicevamo noi, accusati di antisemitismo. Ormai Repubblica e Corriere accusano apertamente Netanyahu e Trump. Si badi bene: non accusano Israele e gli Stati Uniti, ma questi due personaggi, veicolando il falso pensiero che, una volta eliminati o ricondotti a più miti propositi, la situazione possa cambiare. Il genocidio ha avuto inizio con Biden e in Israele non tutta l’opposizione è contraria all’assedio di Gaza, alle politiche di apartheid in Cisgiordania, non è a favore del riconoscimento di uno Stato di Palestina. Il sionismo ingenuo di Gillo Pontecorvo non esiste più.
Fingiamo di non capire che si utilizza persino la tragedia di Gaza per la politica contingente e stiamo al gioco. Che non ci prendano in giro con i buoni sentimenti! Chiediamo, a imitazione dell’intervento del ministro degli Esteri di un Paese esecrato e considerato un’autocrazia, la Cina, il voto al Consiglio di Sicurezza di Usa, Francia e Regno Unito insieme a Russia e Cina per il cessate il fuoco permanente; il riconoscimento dello Stato di Palestina, su Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est; il ritiro dell’esercito da Gaza e la fine delle violenze in Cisgiordania; sanzioni a Israele nel caso non esegua le nuove risoluzioni del Cds; fine immediata della cooperazione politica, economica e militare dell’Occidente con Israele. E poi l’avvio di negoziati aperti a tutti gli attori della regione, anche agli sciiti e al cosiddetto Asse del Male, per risolvere il conflitto israelo-palestinese, scacco della diplomazia mondiale. Bisognerebbe stanare i farisei delle élite occidentali, vedere il bluff, costringerli alla coerenza politica.

Dentro alla pazzia

 

Umorismo penale
DI MARCO TRAVAGLIO
Non fai in tempo a fare una battuta o a raccontare una barzelletta che quella diventa subito legge. Per anni, visti gli alti lai dei politici appena uno di loro finiva al fresco, li abbiamo sfidati scherzosamente: “Avvisatelo prima, così scappa”. Detto, fatto: grazie alla più spiritosa delle schiforme Nordio, il giudice che vuole arrestare un tizio deve avvertirlo cinque giorni prima perché si presenti all’interrogatorio di garanzia: così, a parte gli idioti e i monchi, se la danno tutti a gambe. Del resto il preavviso è già previsto per un altro tipico atto investigativo a sorpresa: le intercettazioni. Per disporle su un parlamentare, bisogna chiedere il permesso al Parlamento, cioè informare l’interessato: così, ove mai arrivi il via libera, è inutile intercettarlo perché lo sa già. Un tempo i favoreggiamenti con fughe di notizie erano reati gravi: ora li fa direttamente lo Stato, per legge.
Siccome al ridicolo non c’è limite, l’altroieri la Camera discuteva il dl Sicurezza e approvava un ordine del giorno del forzista Costa, che è l’ossimoro ideale rispetto alla sicurezza: i giudici non potranno più disporre la custodia cautelare per il pericolo di reiterazione del reato se chi l’ha commesso è incensurato. L’idea di questi squilibrati è che, se uno è incensurato, sia un sant’uomo che non ha mai violato la legge né mai la violerebbe una sola volta, figurarsi due: il sospetto che il mondo sia pieno di incensurati che hanno commesso decine di reati ma l’hanno sempre fatta franca non li sfiora neppure. Confondono l’incensuratezza con l’innocenza e fingono di non sapere che anche Riina, Provenzano, Messina Denaro e i peggiori criminali della storia, la prima volta che furono beccati, erano incensurati, il che non aveva impedito loro di delinquere fin dalla più tenera età. Ovviamente la norma è studiata su misura per i colletti bianchi. Ma vale per tutti i delitti, anche quelli che non sono tipici dei delinquenti abituali, perlopiù pluripregiudicati, ma degli insospettabili che iniziano a delinquere (o vengono scoperti) solo a un certo punto della vita e fin lì hanno la fedina penale immacolata: non solo tangentari, bancarottieri, frodatori, ma anche serial killer, assassini d’impeto, stupratori, stalker, coniugi o fidanzati violenti. Appena li becca, il giudice dovrà controllare i loro precedenti e, se non ne hanno ancora, lasciarli a piede libero (cioè a casa, magari con le loro vittime passate e future). Così potranno seguitare a delinquere indisturbati e pure inquinare le prove per mandare in fumo il processo, farsi assolvere e restare incensurati a vita. I nostri schiformatori devono essersi ispirati alla filastrocca su Monsieur de La Palisse, che cadde nel 1525 nella battaglia di Pavia, ma “un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo”.

L'Amaca

 

Su Meloni soffia il vento dell’Est
di MICHELE SERRA
Non possiamo fare una colpa ai Paesi dell’Europa dell’Est per il ritardo culturale e politico con il quale stanno elaborando, faticosamente, una cultura dei diritti all’altezza della democrazia. La tradizione democratica, specie per quanto riguarda i diritti umani e il rispetto dell’individuo, non si improvvisa, ed essere stati per mezzo secolo sottomessi al blocco sovietico non ha certo aiutato in questo senso.
Possiamo invece fare una colpa al governo italiano di ritrovarsi in quel gruppetto (Bulgaria, Croazia, Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria) che non ha aderito al documento dell’Unione Europea, firmato dagli altri venti Paesi membri, nel quale si ammonisce il governo Orbán — che ha appena vietato il Pride e l’attivismo politico delle comunità Lgbtq, come nella Russia di Putin — a non violare così platealmente le regole dell’Unione.
Si dubita che il governo Meloni capisca che molti milioni di italiani provano vergogna per questa prova definitiva di slealtà politica dell’Italia sovranista all’Unione Europea e ai suoi princìpi. Ma si spera che almeno quegli elettori che dicono di richiamarsi alla destra liberale — potremmo anche chiamarla: destra costituzionale — aprano gli occhi sulla natura di questo governo, così tenacemente reazionario da ritrovarsi, unico tra i Paesi fondatori dell’Unione, a condividere gli umori omofobi dei governi dell’Est.
Della congiunzione tra ex comunisti ed ex fascisti ove si tratti di disprezzare la democrazia si potrebbe parlare a lungo. Per ora chiamiamolo: Fronte Macho, rende abbastanza l’idea.

mercoledì 28 maggio 2025

Stupendamente



Il nuovo corso promesso da Alessandro Benetton non sembra dar frutti sperati. Qui a Fiumicino infatti, gestito dalla Famigliola Veneta, la ladreria funziona ancora a meraviglia: per un trancio di pizza 6,90 (sette farebbe scattare in noi comuni mortali la frase “che ladri”; invece se ti volessi gustare la focaccia Cicoria fanno 9 euro; vuoi un’insalatina nizzarda con meste foglie verdi, pomodori, olive e tonno? 12,90 please! Unico sollievo che qui i ribaldi almeno non nuocciono: la manutenzione parrebbe non essere affari loro! Che Belpaese!

Eh sì!




Robecchi

 

Gaza. Quando è Marzabotto ogni giorno, le coscienze si svegliano tardi
DI ALESSANDRO ROBECCHI
A Gaza è Marzabotto tutti i giorni. Ogni giorno – ogni giorno – da 20 mesi ci alziamo alla mattina e sentiamo di un nuovo massacro. Donne e bambini, soprattutto. I medici internazionali (ancora) in servizio a Gaza parlano tutti di cadaveri di piccoli palestinesi colpiti con colpi singoli alla testa o al collo. I bombardamenti avvengono di preferenza in zone indicate ai profughi come sicure: li ammassano per ammazzarli meglio. Scuole che fanno da rifugio vengono incendiate. Gli ospedali vengono colpiti. Le storie singole spuntano ogni tanto dalla mattanza generale, si prendono un titolo, poi si inabissano, si confondono.
Anche Auschwitz era pieno di storie singole, affogate nell’orrore collettivo. La fame gestita dall’esercito di invasione e di sterminio è usata come un’arma di guerra, dove non arriveranno le bombe incendiarie arriveranno gli stenti e le malattie. Non c’è acqua, non c’è corrente elettrica, non c’è benzina, le ambulanze e i soccorritori vengono deliberatamente assassinati dall’esercito israeliano. I carnefici sul campo si vantano sui social delle loro imprese criminali, i carnefici della politica, a Tel Aviv, rivendicano le loro decisioni genocide, spingono per la fame e per il massacro, per la deportazione di un intero popolo e per il suo sterminio. Sono cose note da un anno e mezzo, cose che si fingeva di non vedere.
Per 20 lunghissimi mesi, qui – qui in Italia – ha trionfato una neo-lingua schifosa e negazionista, quella per cui i palestinesi, misteriosamente, “morivano”, a volte addirittura “uccisi dalla guerra”, come se un genocidio fosse una specie di incidente stradale. Le stragi quotidiane finivano in un trafiletto nascosto, o nelle ultime righe degli articoli, con un penoso trucco giornalistico: “Intanto a Gaza…”. Nel frattempo, la grandissima parte dell’informazione compiva il suo ruolo di appoggio logistico: prima negando (“sono cifre di Hamas…”), poi minimizzando e giustificando (“un incidente…”), poi fingendo di credere alle incredibili spiegazioni dei massacratori (Israele, davanti ai fatti che non riesce a nascondere, dice spesso “Apriremo un’inchiesta”). Chiunque possa raccontare ciò che succede nel campo di sterminio di Gaza viene ucciso: oltre 220 giornalisti sono stati assassinati a Gaza per mano dell’esercito dello sterminio.
Solo una piccola parte della società italiana si è ribellata a questo stato di cose. Lo ha fatto rischiando quotidianamente accuse assurde e infamanti. Ora è chiaro e lampante: accusare di “antisemitismo” chi si opponeva al massacro di 20.000 bambini era un’arma miserabile, e oggi quello scudo non funziona più, la strumentalità dell’accusa ha polverizzato ogni briciolo di credibilità.
Da qualche giorno, di colpo, i distratti, i colpevoli fiancheggiatori, i simpatizzanti e i negazionisti del genocidio si sono risvegliati, abbondano i riposizionamenti, i risvegli tardivi, si spezzano i silenzi carichi di complicità. Uno degli argomenti più gettonati e più grotteschi è che “Israele così si fa male”. Che è un po’ come andare dalle SS nel ’44, dopo Marzabotto, e dire: “Ehi, ragazzi, state esagerando, così vi fate male da soli”. Chi oggi – bontà sua – chiede la fine del genocidio con 20 mesi di ritardo tenta vergognosamente di ristrutturarsi la coscienza. Quelli che lo hanno sempre detto, censurati, scherniti, infamati, ricorderanno con un certo ribrezzo chi diceva cosa prima e chi dice cosa adesso. Troppo poco, troppo tardi.
Intanto, a Gaza, muoiono, anche oggi, anche domani, ci sarà una nuova Marzabotto.

Ha stato...

 

È stata la mano di Putin
DI MARCO TRAVAGLIO
Già impegnatissimo, nell’ordine, a: incendiare casa, auto e altre proprietà di Starmer, mandare in black-out la Spagna, il Festival di Cannes e pure a Nizza, truccare (invano) le elezioni in Romania e (con successo) in tutti i Paesi dove vince quello sbagliato, provocare anche i più piccoli incidenti elettrici, idrici, ferroviari, navali e aerei nei più remoti angoli del pianeta, Putin colpisce ancora. All’aeroporto di Hanoi, si apre il portellone dell’Airbus presidenziale francese e non ne scende nessuno: è Macron. Ma, prima che percorra la scaletta col sorriso prestampato e una Brigitte ingrugnita come non mai, un video dell’Associated Press immortala due braccia e due mani tese che gli assestano uno sganassone comme il faut, spostandogli la faccia come su un ring. Lui si accorge subito di essere in mondovisione e manda avanti un portavoce con la classica versione prêt-à-porter: “È un fake realizzato con l’IA dalla propaganda russa”. Non a caso le maniche sono rosse, quindi putiniane, anche se Putin in quanto nuovo Hitler è anche nero. A Mosca si ride di gusto: Russia Today e la Zakharova rilanciano il video. Che però purtroppo è autentico: l’unico fake è la smentita dell’Eliseo. Allora parla Macron: “Macché litigio, era uno scherzo con mia moglie, una scaramuccia per ridere che facciamo spesso”. I due, quando scherzano, si prendono a pizze in faccia: se litigano sul serio, passano direttamente all’acido.
Fortuna che il portello non si è aperto un po’ prima, quando lui scherzava con lei, sennò finiva nella lista del patriarcato sessista con Depardieu. Invece si è vista solo lei che mena lui, per nulla intimorita dal galletto volenteroso che vuole le truppe in difesa di Kiev, ma non riesce a difendere neppure se stesso. Nessuno grida al matriarcato, anzi massima stima e un pizzico di invidia per la volenterosa Brigitte: visto che Manu regna in Francia coi consensi di Calenda e Renzi, almeno 9 francesi su 10 vorrebbero tanto essere lei e scherzare un po’ anche loro con lui. Che aggiunge: “Ci sono tanti svitati che inventano ogni tipo di interpretazione. Chi ha interesse a propagandarle? Sempre le stesse reti: le ali estreme (la sinistra e la destra che vincono sempre le elezioni mentre lui arriva terzo su tre, ndr), gli squinternati che non amano ciò che faccio (la stragrande maggioranza dei francesi, ndr) e i russi”. Giusto: se il video è un fake, ha stato Putin; se invece è autentico, ha stato Putin lo stesso. Come faccia a fare così tanta roba che uno normale non riuscirebbe a farla in cento vite, è un mistero. Ha più avvistamenti lui che la Madonna di Civitavecchia. Comunque tanta stima: travestirsi da Brigitte con trucco e parrucco, infilarsi nell’aereo di Macron e prenderlo a sberle non è mica da tutti.

L'Amaca

 

La sai l’ultima sui dazi?
di MICHELE SERRA
Una eventuale tesi di laurea dal titolo “Le dichiarazioni di Trump sui dazi dal giorno del suo insediamento” varrebbe un dottorato in economia o in psichiatria? O in storia dell’arte, in quanto esperimento neo-dadaista? Ha annunciato tutto e il contrario di tutto, mosso guerra e fatto pace nel giro di un minuto, dato i numeri come un pallottoliere rotto, minacciato sconquassi e accettato bonari compromessi con gli stessi interlocutori. I farabutti del mattino diventano amiconi alla sera, il nemico da distruggere varia a seconda di dove cada sul mappamondo il dito di Donald.
I media e le Borse hanno inseguito questa vera e propria taranta di dichiarazioni con il fiato sospeso, come se le parole di Trump avessero un senso compiuto, o perlomeno un secondo fine, contenessero un calcolo politico oppure personale (Trump non distingue i due campi). Questo fa pensare che i media e le Borse dovrebbero dotarsi di ammortizzatori migliori, di un vaglio che consenta, almeno ogni tanto, di separare i fatti dalle chiacchiere.
Va bene che le chiacchiere di un presidente degli Stati Uniti contano qualcosa di più di quelle di un fanfarone qualunque: ma se ogni giorno cambiano l’umore e lo scenario, possibile che non si possa tentare, almeno tentare di mettere, tra Trump e la realtà, la giusta distanza? Dell’umoralità delle Borse si è molto scritto, è come se perfino l’economia avesse dei sentimenti, per esempio panico ed euforia (i sentimenti di mezzo non risultano). Ma i media, non potrebbero mettere la quotidiana esternazione di Trump sui dazi tra le brevi di cronaca, come esercizio di indipendenza critica?

Natangelo

 



Mi sta proprio sulle ciap!

 

Fortuna e spocchia del gran perdente che vuol esser Reagan

Zero carisma ed empatia. Di famiglia bene, nostalgico del nonno nazista, sconfitto da Merkel per la guida della Cdu, uomo di BlackRock, al mendicante che gli ritrovò il computer non diede alcuna ricompensa
COMMENTI

Ci vuole la storia di un mendicante per capire di che pasta è fatto il più ricco politico di Germania, il nuovo Cancelliere Friedrich Merz, 69 anni, che ha messo i cingoli all’esercito tedesco, si candida a guidare il riarmo d’Europa e a spedire i missili Taurus all’Ucraina in grado di volare per 500 chilometri dentro la Russia. Il mendicante che serve lo scopriremo tra un po’.

Diremo, per cominciare, che Merz è un perdente di grande successo. Vent’anni fa, Angela Merkel lo asfaltò dopo una vigorosa battaglia all’interno della Cdu, il partito cristiano democratico che li ospitava entrambi in qualità di “allievi prediletti di Helmut Kohl”, il patriarca. “Volevamo comandare tutti e due” dirà a consuntivo la Merkel. Ma erano incompatibili anche al colpo d’occhio. Lei solida, quadrata, fredda. Lui allampanato con i suoi quasi due metri di altezza, svelto di eloquio, ma troppo irruento.

Lei vinse. Lui si allontanò dalla politica per indossare con massima disinvoltura il gessato dell’avvocato dei ricconi. Scalò dodici consigli di amministrazione per poi accomodarsi alla presidenza dell’americana BlackRock, il più grande fondo di investimento del mondo e moltiplicare fino al cielo il suo reddito di multimilionario. Vent’anni dopo, anno 2021, arriva la sconfitta elettorale della Cdu. E mentre declina Angela Merkel, dopo 16 anni di cancellierato e di tailleur multicolor, ecco che rispunta Merz, stavolta per incassare la candidatura a premier spostando a destra del centro l’asse del partito: meno immigrazione, meno tasse, più investimenti nelle tecnologie e nelle armi. Vince alla sua maniera, perdendo voti, “con uno dei peggiori risultati di sempre”, ma abbastanza per la festa notturna del 23 febbraio con tripudio di ballerine, coriandoli, sassofoni. Pronto a dettare ai socialdemocratici le nuove regole della coalizione. Salvo inciampare (ancora!) al momento della investitura a decimo Cancelliere della Repubblica, scivolando al primo scrutinio in minoranza di 6 voti, cosa mai accaduta dal 1949, con scandalo a seguire e campane a festa della Afd, i neonazi guidati da Alice Weidel, che con il 20 per cento del voto nazionale appena rastrellato, vorrebbero le elezioni anticipate. Ma è solo una scossa elettrica. Merz si rialza quello stesso pomeriggio del 6 maggio, dopo la caccia ai franchi tiratori, un rapido regolamento di conti, il nuovo voto del Bundestag, con definitiva investitura, che per il momento incorpora l’avvertimento senza altre scosse.

Controverso personaggio è il ritrovato Friedrich Merz. Viene da una ricca famiglia della Germania Occidentale, dal paese di Brilon, vicino a Dortmund, dove ai tempi del trionfo nazista il nonno materno era sindaco, intitolò le strade centrali a Hitler e a Göring, anche se il nipote in questi anni s’è sgolato a difenderlo, descrivendolo talmente bravo “da essere stato riconfermato dai britannici”, dopo la guerra. Friedrich cresce storto. Intemperanze e litigi gli valgono ripetizioni e bocciature. “Sono stato un ragazzo selvaggio”, ha scritto nella sua autobiografia, con la passione delle armi, del poligono di tiro, ma specialmente del volo, possiede un biplano a elica che guida personalmente. Una volta, invitato dalla Legione Straniera in Corsica come ospite d’onore, accetta la sfida di lanciarsi con il paracadute nella piazza della festa, anche se non l’aveva mai fatto prima. E non lo rifarà mai più in seguito – se la cava con qualche acciacco – secondo la testimonianza del suo amico John Schmitz, viceconsigliere di George W. Bush.

Raddrizza la sua vita con l’università, con la politica e poi con la carriera di avvocato. Si sposa con una donna giudice con la quale ha cresciuto tre figli, dentro a un matrimonio senza scosse. Viaggia nel partito fino all’incontro con il suo vero mentore Wolfgang Schäuble, architetto con Kohl della riunificazione, l’inflessibile ministro della Finanze negli anni dell’Europa a trazione tedesca. È lui che lo spedisce a Bruxelles alla conquista del suo primo seggio da eurodeputato, anno 1989. E cinque anni dopo al Bundenstag. È dinamico e influente. I giornali lo accusano di essere anche arrogante. Lui scherza: “È solo perché sono alto 1,98 e mi tocca guardare la gente dall’alto”. Si definisce “conservatore valoriale”, membro “della classe media superiore”. Si vanta di passare “cento giorni l’anno” in Inghilterra e in America dove “parlando inglese”, dice, “ho imparato a conoscere la Germania”. Ammira Reagan e la reaganomics. La declina nel suo libro Osare più capitalismo, dove la tesi di fondo è: tasse e burocrazie leggere, investimenti e produttività pesanti.

Mentre declina la stagione socialdemocratica di Olaf Scholz, lui riunisce 35 teste d’uovo nei saloni di Villa Adenauer con vista sul Lago di Como, per scrivere il programma della sua rivincita, intitolato “Agenda 2030”. Che vuol dire: sostenere i mercati azionari, rallentare “gli eccessi del Green Deal”, ridurre i sussidi. Liberarsi dai vincoli di bilancio, puntare 100 miliardi di euro sul riarmo, schierarsi in prima fila con Macron e Starmer in difesa di Kiev. E contro la Russia dichiarare: “La pace si può trovare in qualsiasi cimitero. È la nostra libertà che dobbiamo difendere”. In quanto allo sterminio a Gaza, una delle prime telefonate da cancelliere è a Netanyahu per rassicurarlo: “La sicurezza di Israele fa parte della ragion d’essere della Germania”.

Stessa accelerazione in difesa della identità nazionale, dicendosi pronto, in campagna elettorale, a dichiarare “lo stato di emergenza” contro l’immigrazione clandestina e l’islamismo. Con rotta perigliosamente convergente a quella xenofoba di Afd, per poi allontanarsene con promessa formale: “Non aprirò le porte dell’inferno”.

I giornali e l’establishment non si fidano del tutto della sua eccessiva flessibilità che ondeggia dal rigore finanziario di un tempo alle promesse populiste di oggi. Troppi proclami e almeno un aneddoto per rivelarne il carattere. Quello di un mendicante che nel 2004, alla stazione di Berlino, trova il laptop che Merz ha appena smarrito. Vale un tesoro, ma ugualmente il mendicante lo consegna alla polizia, che informa i Servizi segreti e il titolare. L’inchiesta accerta la buona azione. Il mendicante aspetta la ricompensa che una settimana dopo compare nella casella del dormitorio per homeless: una copia del libro del futuro cancelliere, intitolato: Solo chi cambia sopravvivrà. Con firma autografa del milionario e nemmeno l’ombra di un pasto caldo.

martedì 27 maggio 2025

In rampa

 



Selvaggia e il circo mediatico

 

Dna, esorcisti e comunisti: Sempio rovinato dai legali
DI SELVAGGIA LUCARELLI
Misteri italiani. Perizie su fotografie, macchie di sangue che ci sono e non ci sono. E il “supertestimone” conosciuto come “Pirlòn”
Ieri, Massimo Lovati, avvocato di Andrea Sempio, ha detto che il suo assistito è un “comunista disadattato” e che la vicenda Poggi è legata a una storia di esorcismi. In effetti la dichiarazione sembra frutto di un fenomeno di possessione: l’avvocato era chiaramente posseduto da Italo Bocchino. Non sappiamo se sia stato poi esorcizzato o se si aggiri per Garlasco dando dell’antisemita a Stasi e delle sinistroidi alle sorelle Cappa, ma siamo certi di un fatto: il povero Andrea Sempio non si deve difendere solo dagli avvocati di Stasi ma pure dai suoi, questo ragazzo è letteralmente sotto assedio. Qualcuno gli mandi i caschi blu a Garlasco. Va inserito nella categoria “individui fragili”, da ora in poi si dirà “prima le donne, i bambini, gli anziani e poi Andrea Sempio”.
L’avvocato Lovati ogni giorno ha un’uscita più improbabile di quella del giorno prima. Non solo ha dichiarato che con l’omicidio di Chiara Poggi c’entrano la Chiesa e gli esorcismi, ma ha pure chiarito che “l’ha sognato”. Un po’ come il fioraio del caso Sarah Scazzi che prima disse di aver visto Cosima e Sabrina Misseri caricare Sara in macchina. E poi chiarì che era un sogno. Per la cronaca, col sogno le due hanno preso l’ergastolo. Per Sempio, se va avanti così, ripristinano lo schiaccia-testa medievale. A ogni modo, io penso che Stasi e gli avvocati di Stasi, a ogni dichiarazione di questo tizio, stappino un bordeaux dell’81. Ma anche la storia degli “strani suicidi a Garlasco” è tragicomica. A parte che oggi, nella cronaca contemporanea – fateci caso – non esistono più suicidi, ma solo “omicidi mascherati da suicidi”, qui però non ci capisce una cosa: se c’è un filo rosso che lega queste vittime, perché Chiara Poggi sarebbe stata uccisa barbaramente con un oggetto contundente mentre per gli altri si simulano suicidi per impiccagione, iniezioni letali e tagli di gola e polsi? Per giunta anche a dieci anni dal delitto e in località che per la cronaca sarebbero “Garlasco” e poi, andando a verificare, sono magari Vigevano o altri comuni. È come localizzare un suicidio a Sesto San Giovanni mentre è avvenuto a Melegnano, perché tanto comunque sono entrambi in provincia di Milano.
Trovo poi tragicamente esilarante la corrente innocentista a favore di Stasi che, sull’onda del sensazionalismo mediatico, ha partorito il seguente ragionamento: “Povero Stasi, lo hanno condannato senza prove, solo sulla base di becere supposizioni!”. E fin qui, ci si può anche stare. Per poi proseguire: “Indagate sulle gemelle Cappa piuttosto, che quelle erano sicuramente invidiose della cugina, poi Chiara aveva scoperto qualcosa e sono entrate in casa con Sempio che era ossessionato da Stasi anche se non lo conosceva e l’hanno ammazzata tutti insieme!”. In pratica si può continuare a buttare fango e accuse su tutti, pure sui non indagati, tranne che sul condannato in via definitiva. Condannato che mi auguro davvero sia innocente, perché nel caso non lo fosse, oltre ad aver ucciso la sua ex fidanzata, starebbe pure cercando di far andare in galera un povero cristo al posto suo. E neppure per evitare il carcere, visto che è ormai a fine pena, ma per riabilitare la sua persona, la sua reputazione agli occhi della società. Se ci pensate, arrivati a questo punto, o è una vittima da manuale o un delinquente da manuale.
C’è poi un’altra figura mitologica: quella dell’avvocato di Stasi, Antonio De Rensis (avvocato anche della famiglia Pantani). Cravattone celeste d’ordinanza e aria piaciona, dice di lui il Corriere: “Nelle quattro inchieste riaperte sulla morte del Pirata, di cui tre archiviate, c’è la firma e la caparbietà di De Rensis dietro molti atti ed esposti presentati dalla madre del ciclista”. Insomma, viene citato un precedente di un certo successo. De Rensis critica aspramente il già citato avvocato Lovati quando quest’ultimo sostiene che dietro all’indagine su Sempio ci sia una macchinazione: “Se uno si deve difendere dicendo che forse c’è una macchinazione allora… è un’accusa gravissima!”, polemizza. Secondo le cronache, lo stesso De Rensis tempo fa si sarebbe trovato a una cena in un agriturismo a Modena con Fabrizio Corona e gli avrebbe detto: “Ho fatto di tutto per trovarti, devo dirti una cosa: il caso verrà riaperto. Stasi è innocente. Vedrai”. Verrebbe da commentare: se uno si deve difendere cercando la sponda mediatica di Fabrizio Corona, allora è gravissimo. Poi c’è la storia meravigliosa dell’impronta di Sempio che prima per i giornali è una impronta insanguinata, poi si scopre che non è rossa perché insanguinata, ma a causa del reagente. Qualcuno fa giustamente notare che una ditata sulla parete in una casa frequentata da Sempio non significa nulla (tanto più che lì vicino c’è pure un’impronta del fratello di Chiara Poggi), e allora dopo qualche giorno un nuovo colpo di scena: c’è una traccia biologica nell’impronta di Sempio, forse sangue di Chiara. Lo sostengono i legali di Stasi attraverso una nuova consulenza. Che uno dice: vabbè, avranno usato un nuovo reagente magico. No, perché di quella famosa impronta esiste solo una foto. Il tassello di intonaco che la conteneva è andato perso. “L’orma della mano avrebbe assunto una colorazione rosso intenso proprio perché contenente numerose tracce di materiale organico. La ninidrina assume una colorazione tanto più decisa quante più tracce biologiche sono presenti nell’impronta”, dicono i consulenti. Ok. E quindi chi assicura che il materiale biologico non fosse di Sempio? Ma no, niente, tra un po’ con una foto faranno anche l’emocromo di Chiara Poggi, sapremo se il suo colesterolo era a posto.
E poi, non dimentichiamolo, c’è il supertestimone. Quel “super” è lievemente sovrabbondante vista la qualità della sua testimonianza, ma non polemizziamo. Lui racconta al bar, alle Iene, che 18 anni fa ha incontrato all’ospedale una donna che gli disse che una signora aveva visto Stefania Cappa entrare a casa di sua nonna con una borsa pesante che poi ha buttato forse nel canale, provocando un forte tonfo. Purtroppo però le due signore sono entrambe morte. Non ha mai denunciato questa inchiodante, preziosissima testimonianza perché l’avvocato della famiglia Poggi gli aveva detto che tanto indagavano già su Stasi, e una persona molto in alto lo aveva sconsigliato di parlare. Insomma, il SUPERtestimone aveva paura per la sua incolumità. In effetti è molto più discreto raccontarlo alle Iene che andare in una caserma dei carabinieri. Peccato che in paese lo abbiano riconosciuto tutti. “Il supertestimone? Sì, cara persona, ma qui a Garlasco noi lo chiamiamo simpaticamente il Pirlòn”, mi racconta un ragazzo. Ecco, appunto.

Vademecum

 

Manuale per trattare
DI MARCO TRAVAGLIO
In mancanza dell’Europa, che inventò la diplomazia moderna e ora la schifa, è rimasta solo la Chiesa a spiegare come si fa un negoziato. Magari non lo ospiterà, essendo il Vaticano sprovvisto di un aeroporto per far atterrare Putin senza manette (mica è Netanyahu). Ma è l’unica a possedere il manuale d’istruzioni sulla postura necessaria per trattare. Il Papa invoca “coraggio e perseveranza nel dialogo e nella ricerca sincera della pace”: dopo 11 anni di guerra in Ucraina, servono tempo e determinazione senza arrendersi al primo ostacolo. Il cardinale Zuppi va oltre: “Servono atteggiamenti interiori nuovi verso gli altri. Ognuno deve raccogliersi in se stesso e distruggere in se stesso quello che desidera distruggere negli altri”. Se tutti i protagonisti lo facessero, la guerra sarebbe un lontano ricordo. Ma non lo fa nessuno.
Putin non vuole (ancora) fermare le sue truppe in lenta ma costante avanzata fino al collasso totale di quelle ucraine, ma sfrutta ogni pretesto per dimostrare che è Kiev a non voler trattare. Zelensky, drogato e fomentato dai velleitari volenterosi, fa la stessa cosa gabellando per intransigenza russa la tragica normalità bellica: chi vince non concede tregue gratis al nemico, aiutandolo a riarmarsi e riorganizzarsi, a meno che non gli vengano forniti seri motivi e garanzie per farlo; e, finché non si decide di cessare il fuoco, gli attacchi russi, come quelli ucraini, non sono prove della contrarietà a trattare (semmai della volontà di farlo da posizioni di forza, comune a entrambe le parti). L’Ue, nei suoi variopinti formati, esulta a ogni chiusura di Mosca, ignorando quelle di Kiev, perché non vede l’ora di chiudere la parentesi negoziale che la costringerebbe prima o poi ad ammettere di avere sbagliato e perso tutto: la guerra e la pace. Eppure i suoi governanti sono pressoché gli stessi del 2022 e conoscono benissimo le cause dell’invasione: l’allargamento Nato, l’ansia di stravincere la guerra fredda accerchiando, provocando e sconfiggendo la Russia, il suprematismo dei neocon americani e dei loro camerieri europei, l’uso dell’Ucraina come testa d’ariete anti-Mosca e il tradimento dei patti di Minsk sull’autonomia per i russofoni del Donbass. “Perseveranza” e “nuovo atteggiamento interiore verso l’altro” è l’opposto della postura tutta riarmo, sanzioni e tribunali di Norimberga. È guardare il mondo anche con gli occhi dei russi per immaginarne uno nuovo di cooperazione senza doppie morali né latrati reciproci. Zuppi ricorda “quanto ha contribuito alla lunga pace in Europa l’accordo sul carbone e l’acciaio che sminò le tensioni fra Germania e Francia”. Affari e commerci intrecciati come antidoti alle guerre. Su questo fronte, ed è tutto dire, persino Trump è più avanti dell’Europa.