giovedì 2 gennaio 2025

L'Amaca

 

La parola che dicono tutti
DI MICHELE SERRA
Il conduttore del veglione di San Silvestro su Raiuno si è scusato per un vigoroso “teste di cazzo” pronunciato da un cantante ed entrato nell’audio della diretta (per la cronaca: il cantante non era un trapper tatuato dal repertorio gaglioffo, ma un anziano melodista, molto “per famiglie”).
Quella che è forse la parola più pronunciata nel linguaggio corrente degli italiani, soprattutto i più giovani, è dunque ancora un tabù per la televisione pubblica, esattamente come quando Cesare Zavattini, in una trasmissione radiofonica del 1976, la scandì solennemente con il proposito dichiarato di creare un piccolo scandalo verbale, in funzione anti-ipocrita.
È passato mezzo secolo e tutto è cambiato: la parolaccia che faceva arrossire le signore, e procurava a chi la pronunciava in pubblico lo stigma della maleducazione, è ormai un intercalare fisso, quasi un’interpunzione. Ha perso ogni aura maledetta, nessun rischio è a carico del suo utilizzatore. È una parola gratis.
Mi è capitato, in un aeroporto lontano, di individuare l’imbarco per l’Italia per via auditiva: gli italiani erano laddove il “cazzo” suona. È stato bello, una specie di richiamo della Patria, come il profumo della pizza, come l’onnipresente “vinceroooooooo”.
Ora, ognuno è libero di giudicare sorpassata e assurda la castigatezza della Rai. Io devo dire di averla apprezzata in chiave anticonformista: una specie di argine disperato contro la norma, la moda, l’abitudine. Oggi Zavattini, alla radio, per scandalizzare direbbe: non la dico, perché la dicono tutti.

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