martedì 7 gennaio 2025

Alta visione

 

La “tecno-destra” l’ha creata chi ora piange
DI ELENA BASILE
Non so se i lettori più avveduti si siano accorti che c’è una nuova parola d’ordine sui giornali mainstream. I cosiddetti “public opinion makers” rispondono efficacemente a misteriose direttive. Le liberal-democrazie vanno difese e presentate come un’alternativa alla “tecno-destra” di Elon Musk e Donald Trump. Duole osservare che anche analisti seri si pieghino al diktat di Repubblica per far credere al lettore che gli Stati Uniti sarebbero oggi di fronte alla catastrofe a causa dell’influenza di miliardari come Musk sulla politica.
Di fatto, sappiamo bene che dai remoti anni 80 di Reagan e Thatcher, del trionfo della deregulation e del monetarismo, la politica ha ceduto il passo ai grandi interessi delle corporation in una fase del capitalismo, quella finanziaria, nella quale il lavoro ha perso potere negoziale e la grande evasione dalle tasse della “società dell’1%” è stata la base della trappola del debito in cui siamo immersi. Decenni di prevalenza degli interessi del capitale nelle società affluenti, di distruzione dei corpi intermedi, di riduzione della politica a spettacolo e populismo. Le liberal-democrazie non sono una alternativa a Trump e ad altre destre impresentabili: ne sono la necessaria preparazione. Come negli anni 30: il lavoro sporco fu eseguito dai nazisti, ma gli artefici erano i grandi gruppi industriali che hanno permesso e finanziato l’ascesa di Hitler. Con le dovute proporzioni, anche oggi il nazionalismo, la libertà sfrenata della belva capitalistica e l’uso brutale della forza contro le parvenze dello Stato di diritto sono lo sbocco naturale di decenni di arretramento della politica e della democrazia, a cui i moderati di destra e di centrosinistra ci hanno preparato. Lo conferma il triste spettacolo di questa Europa neoliberista, che ha dimenticato l’aggettivo sociale, pur declinato in tutte le sue forme nei documenti europei; esercita la censura; e ha dimenticato Montesquieu nella sua architettura costituzionale snaturando la funzione legislativa e dando alla Commissione, organo esecutivo senza responsabilità davanti agli elettori, il compito di tradurre il volere della finanza per gli Stati nazionali, alla larga dalle noie dello scontro sociale e del gioco democratico.
L’Europa che stringe le mani sanguinanti di Netanyahu balbettando senza pudore melense e retoriche parole di dispiacere per la strage di palestinesi, l’Europa che ha approvato la carneficina degli ucraini per una guerra per procura contro la Russia, l’Europa militarista e bellicista che smantella lo Stato sociale per costruire il braccio armato europeo della Nato, per interessi non europei ma statunitensi, questa Europa ha causato la nascita del movimenti della destra attuale, neofascista e neonazista, populista, isolazionista e razzista. Se siamo ritornati ai discorsi del colonialismo e del suprematismo bianco non è colpa di Trump o di Le Pen, ma dei cosiddetti progressisti, dei finti difensori dei diritti umani che praticano doppi standard come respirano.
Sul Fatto ho difeso la modernità occidentale, la tradizione politica e culturale che a partire dalla rivoluzione illuministica, grazie a Locke e a Voltaire, ha modellato la società dei diritti individuali contro la ragion di Stato, la democrazia delle minoranze. Oggi tuttavia chi è incapace di comprendere la grandezza e la legittimità di culture e storie differenti come quella russa, cinese o persiana, poco ha a che vedere con la più alta espressione dell’Occidente. Rappresenta la barbarie dell’impero bullo e apolitico, a-culturale, orwelliano a cui ci stiamo assuefacendo. Il populismo oggi, come rammentai a Paolo Mieli in un programma di La7 che raggiunse un’audience senza precedenti, è di coloro che condannano la violenza terroristica senza vedere e denunciare il terrorismo di Stato. Purtroppo, passo dopo passo, i valori alla base delle democrazie occidentali sono stati calpestati, sepolti dietro retoriche imperialistiche e vergognosi doppi pesi.
Ora, in prima pagina su Repubblica, il “partito Belloni” riemerge. Non so se sia formato solo da pietose connivenze giornalistiche, da una rete di relazioni pubbliche. L’ex diplomatica, mai stata ambasciatrice all’estero, cooptata dalla politica in una rapida carriera interna, ha incarnato (a differenza del commis d’Etat, funzionario che oppone i valori costituzionali alle contingenze politiche) il compromesso quotidiano con tutti gli esponenti di partito: Salvini, Renzi, Gentiloni, Di Maio, Meloni. È stata candidata a tutto, senza che nessuno ne abbia mai conosciuto il pensiero. È un altro piccolo indizio della morte della democrazia. Se il pluralismo democratico esistesse, voci come la mia o di altri diplomatici verrebbero chiamate in tv a dibattere con Belloni, beniamina del provinciale potere nostrano. In fondo, come diplomatiche, abbiamo interpretato il nostro ruolo in modo opposto.

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