domenica 28 maggio 2023

Il giocattolino

 

“Dal traffico all’impatto: ecco perché è inutile e impagabile”
LA “TASSA” DEL PONTE - I 14,6 miliardi di spesa non aiutano commercio, pendolari e turisti, creano poco lavoro e violano la Costituzione
DI MARCO FRANCHI
I flussi di traffico? Risibili, senza impatti effettivi sul turismo, sul pendolarismo. Le ricadute occupazionali? Solo a breve termine. I costi? Una tassa per il Paese. La procedura di Valutazione di impatto ambientale? Illegittima, come pure l’affidamento senza gara. Il ponte sullo stretto di Messina è un’opera che sfida la legge, la logica e il buon senso, che deturpa il paesaggio, ferisce l’ecosistema, viola le leggi e le norme, che non crea sviluppo “buono” né crescita duratura. Eppure il governo Meloni lo vuole tanto da averlo inserito nella Legge di Bilancio 2023. Di più: con il decreto legge n. 35 del 2023 non si è limitato alla revoca della liquidazione della Stretto di Messina SpA, trasformandola in società concessionaria in house con le “funzioni” di realizzazione e gestione dell’opera, ma ha addirittura riesumato il rapporto con il contraente generale Eurolink, sospendendo a colpi di articoli di legge i giudizi civili pendenti, e ha dato nuova vita pure al progetto definitivo redatto dalla stessa Eurolink e approvato dalla Stretto di Messina il 29 luglio 2011. Sono questi i passaggi salienti delle durissime critiche contenute nel dossier di esperti ambientalisti “Lo Stretto di Messina e le ombre sul rilancio del ponte” pubblicato nei giorni scorsi da un pool di esperti di Kyoto Club, Lipu e Wwf, con il contributo di numerose associazioni ambientaliste e della società civile, tra le quali il Coordinamento Invece del ponte – cittadini per lo sviluppo sostenibile dello Stretto.
L’elenco delle principali criticità dell’ecomostro che Salvini e Meloni vogliono erigere su uno dei punti più sismici d’Italia e d’Europa è lungo. Si va da quelli giuridici, con i profili di illegittimità e incostituzionalità delle norme per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina, specie quel fronte delle valutazioni ambientali in conflitto con l’articolo 9 della Costituzione e la pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistica, a quelli tecnico-ingegneristici sulla fattibilità stessa e sull’esigenza di riprogettare il ponte sospeso sino a suoi impatti ambientali ed ecologici.
Ma dove l’analisi demolisce dalle fondamenta il piano del governo è sul fronte dell’economia. Dati alla mano, l’opera è insostenibile finanziariamente, i vantaggi economici inesistenti, evanescenti i presunti benefici per trasporti, turismo, mobilità e occupazione. I problemi scattano già per il traffico marittimo: un ponte con una luce di 65 metri, com’è nel progetto attuale, bloccherebbe il transito delle navi portacontainer maggiori in rotta verso Gioia Tauro, il più importante scalo italiano di transhipment, mentre i cargo da Genova, Napoli, Livorno e Salerno per il canale di Suez dovrebbero circumnavigare la Sicilia, con aggravi di costi e tempi. Se poi si volesse alzare l’impalcato di 15 metri (per avere la certificazione del “franco navigabile”) l’opera andrebbe riprogettata integralmente.
Secondo gli ambientalisti, in base alle norme nazionali ed europee non si può poi riattivare l’intesa con il general contractor Eurolink, sciolta per legge nel 2013, ma occorre rifare la gara. Dal valore originario di 3,9 miliardi del 2003, il costo di riferimento sale oggi a 6,065 miliardi e il tetto entro può crescere senza gara (in base al Codice degli Appalti e alla direttiva 24 del 2014) è poco più di 9, molto sotto i 14,6 (quasi un punto di Pil) indicati dal governo. Le carenze di analisi del governo fanno sì che i privati non siano disponibili a partecipare all’opera, tanto che il piano economico e finanziario pone a totale carico pubblico il rischio finanziario sia dell’investimento che della gestione. Lo stesso gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sostiene che i pedaggi non consentono il project financing. Come i ricavi, così anche i dati sull’occupazione indicati dal Governo sono sovradimensionati. Secondo il costruttore Webuild il monte ore totale per costruire il ponte sarebbe 85.131, con un’occupazione media mensile di non più di 507 addetti: altro che i 100mila stimati, anche nell’indotto, che peraltro sarebbero tutti a termine.
Infine, i flussi di traffico non ripagano l’opera. Secondo il MiMS il 76,2% degli spostamenti su nave sono di passeggeri senza auto ma i pendolari quotidiani sono 4.500, molto pochi. Quanto al trasporto su ferro il canone di uso della ferrovia sarà determinato, secondo il decreto, per perseguire la sostenibilità ambientale del ponte, costituendo una vera e propria tassa sul trasporto ferroviario. Il traffico su gomma previsto è di 11,6 milioni di auto l’anno, a fronte di una capacità di 105 milioni nei due sensi: una saturazione di appena l’11% del ponte, troppo bassa per giustificare l’opera. Ragione e logica dicono no al Ponte, ma al governo pare non importare.

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